La Figlia della Foresta e l’importanza di fiabe e racconti
Roland Barthes, nel suo libro L’Analisi del racconto, asserì che
L’arte del narrare “è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità, non esiste, non è mai esistito un popolo senza racconti.
Roland Barthes, L’analisi del racconto
Le storie, le fiabe, i miti ci accompagnano sin dall’alba dei tempi. Hanno un’utilità da non sottovalutare e che potremmo definire inestimabile perché parlano al nostro inconscio. Se dobbiamo basarci sulla tesi di Jonathan Gottschall, quello di raccontare storie è un istinto umano primario e fondamentale. Un modo per simulare e affrontare i problemi per renderci più empatici, comprensivi e in grado di dominare sentimenti e angosce.
Proprio fiabe e racconti sono al centro dell’opera La Figlia della Foresta di Juliet Marillier, che recentemente è tornato sugli scaffali delle librerie italiane dopo un’assenza di quasi vent’anni.
Il mio mondo stava cambiando e io non ero pronta ad accettarlo.
La figlia della Foresta, pag. 43
Tra Paganesimo Celtico e Primo Cristianesimo
La Figlia della Foresta è un romanzo che unisce fantasy, historical saga, romance ed elementi mitologici. Narrato interamente dal punto di vista femminile di Sorha, si basa fortemente su due leggende:
- I Figli di Lir: famosissima leggenda appartenente alla mitologia irlandese nata dopo la cristianizzazione. Unisce elementi magici (gli incantesimi druidici) al messaggio cristiano secondo cui la fede conduce alla libertà attraverso la sofferenza.
- I Sei Cigni: fiaba di cui esistono svariate versioni, tra cui quella dei fratelli Grimm da cui Juliet Marillier ha attinto per la sua opera.
Ambientata nell’Irlanda Altomedievale, quindi in un periodo conflittuale e sanguinario tra Irlandesi e Britanni, la storia di Sorha e dei suoi sei fratelli segue il percorso già tracciato dalle fiabe, combinando appunto gli elementi tipici (ad esempio la matrigna) a una storia potente, delicata quanto dolorosa.
Marillier è un’abile narratrice e inizia il racconto di Sorha anni prima l’arrivo della matrigna che sconvolgerà la sua vita, evidenziando così immediatamente il forte legame che lega questi fratelli tra loro e a Sevenwaters, la loro casa, e che spingerà la ragazza a un estremo sacrificio per salvare ciò che ama.
Tre bambini sdraiati sulle rocce presso il ciglio dell’acqua. Una ragazzina dai capelli scuri. Due ragazzi, appena più grandi. Questa immagine è impressa nella mia memoria in modo indelebile, come un fragile insetto conservato nell’ambra. Io e i miei fratelli.
La figlia della Foresta, pagina 13
La sua casa, sicura e solare, roccaforte dell’amore fraterno, viene turbata dall’arrivo della matrigna Lady Oonagh, subdola, ammaliante e pericolosa. Ma soprattutto inarrestabile nel suo tentativo di sbarazzarsi di Sorha e dei suoi fratelli per rendere unico erede il figlio ancora non nato. Nell’ultimo, disperato tentativo di scacciarla, i sei fratelli vengono maledetti e trasformati in cigni da Oonagh. Sorha per salvarli dovrà non solo cucire sei camicie (una per ogni fratello) filando la stellaria, una pianta dall’alto potere urticante, ma anche non proferire parola con nessuno. Qualunque cosa accada.
Per tutto il romanzo sono forti ed evidenti gli elementi del paganesimo celtico e del primo cristianesimo irlandese. Aspetti che contribuiscono ad arricchire il testo di dettagli ed elementi suggestivi.
Questo lago e questa foresta sono luoghi dove accadono cose strane, dove l’imprevisto è un fatto ordinario. L’arrivo di persone come me, e della nostra fede, può aver mutato le cose in superficie. Ma vi sono dei punti, più sotto, dove la magia corre ancora forte e profonda come ai tempi in cui il popolo fatato giunse da ovest. I fili di diverse fedi possono correre paralleli e intrecciarsi di tanto intanto, e comporre così una corda ancora più robusta.
La figlia della Foresta, pag. 97
In queste parole di padre Brien viene racchiusa quella che è la dualità dell’ambientazione presente nel libro e che si snoda davanti agli occhi del lettore. L’Irlanda selvaggia, fatata, pericolosa e ricca di tranelli in cui diventa facile perdersi in una foresta ed essere catturati dal popolo fatato. Una terra stregata e ammaliante, in cui il paganesimo è ancora forte, che si contrappone alla Britannia in cui il Cristianesimo ha ormai messo radici. Eppure anche la fiorente terra cristiana racchiude insidie, ma in questo caso non è il popolo fatato a rappresentare un pericolo, bensì l’uomo stesso e le sue ambizioni.
L’importanza dei racconti
Quella di Sorha è una storia che immerge il lettore in eventi dolorosi, strazianti in cui perdite e stravolgimenti la fanno da padrone. Per quanto La figlia della foresta sia una lettura di evasione e intrattenimento, abbiamo davanti comunque un viaggio personale, in cui politica e scontri restano sempre sullo sfondo. Per questo riesce a trattare temi forti in cui l’importanza di miti e favole riveste un ruolo chiave.
Le fiabe e i racconti popolari riescono ad attingere a verità profonde poiché narrano di esperienze che hanno un fondo di verità. Queste storie di amore, tradimenti, coraggio e perfidia, come afferma l’autrice stessa, mostrano tanto il meglio quanto il peggio dell’animo umano. Riuscendo ad arrivare al nostro io più profondo smuovendoci, facendoci ridere, piangere ma anche riflettere. Diventano un balsamo, ad esempio, per Simon, un britanno fatto prigioniero dal padre e i fratelli più grandi di Sorha. La ragazza si prenderà cura del ragazzo grazie alle sue abilità come erborista insieme a padre Brien. E spesso gli racconterà miti e fiabe per calmarlo e cullarlo in un’atmosfera rassicurante.
I suoi racconti diventano una vera e propria cura per la mente spezzata e l’animo lacerato di Simon. Un’ancora di salvezza in grado di rassicurarlo portandolo però a confrontarsi con i suoi demoni.
L’utilizzo delle fiabe correlate all’elemento celtico diventano un modo per riconnettersi con elementi antichi e ancestrali. Primitivi, selvaggi ma anche più semplici. Un ritorno alle origini, di connessione con se stessi e la natura, in modo da ritrovare un equilibrio andato perso o frammentato. E sarà così anche per Sorha stessa. Costretta alla solitudine, le storie che racconterà a stessa saranno la sua unica fonte di compagnia; fonte di sostegno e forza specialmente nei momenti più bui della sua vita.
Tra sacrificio e trasformazione
La presenza di Simon diventa un primo elemento di crescita di Sorha, che deve fare così i conti con la realtà, spogliando i suoi fratelli dell’aura mitica e positiva, comprendendo che possono essere tanto buoni con lei quanto crudeli con gli invasori Britanni. Nel Fantasy non manca la dualità, la contrapposizione forte tra buoni e cattivi. Uno degli archetipi più sfruttati è infatti quello della lotta tra Bene e Male, in cui non manca un viaggio avventuroso e un epico scontro. L’epicità quindi diventa un elemento essenziale e caratterizzante.
Ma non è sempre così: spesso il viaggio dell’Eroe è più individuale, personale tanto da portarlo alla crescita e alla maturità di sé. A una trasformazione interiore profonda quanto necessaria. In La figlia della Foresta viene portata in primo piano l’individualità e la personalità non solo della sua protagonista ma anche degli altri personaggi. Aprendo cos’ uno spaccato sui comportamenti umani, mostrando punti di forza e debolezze in egual misura.
Si potrebbe identificare Lady Oonagh come la cattiva della storia, la villain per eccellenza, abilissima nel colpire nel profondo, alle cose che più amiamo, per spezzarci e buttarci via come giocattoli rotti.
Eppure, nonostante sia lei la causa primaria del male che si abbatterà su Sorha e i suoi fratelli, non è l’unico elemento malvagio che Marillier inserisce. A dimostrazione che il male ha molte sfaccettature e molti modi di agire soprattutto quando si cade preda di pregiudizi e ci si lascia trascinare da paure irrazionali.
Ma è attraverso due elementi tipici delle fiabe, che Marillier ci mostra l’evoluzione dei suoi personaggi: sacrificio e trasformazione.
Un piede dopo l’altro. Sempre dritto. questo è il cammino. Sempre dritto, Sorha. Sapevi quanto sarebbe stato difficile, e quanto ancora sarà difficile. Prima un piede, poi un altro. Ancora. Nell’oscurità.
La Figlia della Foresta, pag. 487
Ne La Figlia della Foresta Sorha obbliga se stessa a tre anni di mutismo forzato e dolore fisico per salvare i suoi fratelli. Non esita un solo secondo nella sua scelta e sopporta senza mai emettere un solo fiato, abusi, solitudine, e giudizi crudeli di persone che la credono pazza. Le figure positive si contano sulle dita della mano, ma tra tutti spicca Red, fratello di Simon, che instaura un rapporto con Sorha genuino e profondo, basato su una fiducia costruita giorno dopo giorno.
Nelle fiabe il sacrificio equivale alla rinuncia a qualcosa di proprio per raggiungere un bene maggiore. Il successo non è assicurato, gli ostacoli da superare potrebbero essere troppi, la rinuncia eccessiva, il dolore insopportabile. Eppure Sorha persevera, un passo dopo l’altro, prosegue il suo cammino conscia che tutto il tempo trascorso avrebbe comunque portato qualcosa di positivo: una comprensione profonda di sé, della sua forza e della sua maturazione.
La trasformazione, evidente nei fratelli per via della mutazione uomo-cigno, in lei è intima e personale. Invisibile per gli altri ma non per il lettore che accompagna Sorha in ogni momento. Il lancio della camicia verso il collo dei fratelli per per trasformarli di nuovo in esseri umani, segna la fine di questo percorso di crescita e rappresenta anche l’atto simbolico di rinascita. Ma nessuno dei personaggi coinvolti tornerà come prima. E questo è facile intuirlo. L’esperienza scioccante che li ha costretti a rinunciare alla loro vita per ben tre anni li ha lasciati comunque lesi nell’animo, chi più, chi meno.
Ne La Figlia della Foresta di Juliet Marillier, sacrificio e trasformazione sono quindi legati in modo indissolubile, l’uno diventa causa e conseguenza dell’altro. Loro sono cambiati, così come il loro mondo. E questo è anche il motivo per cui il sacrificio non riporta le cose al loro stato originario, ma a una soluzione comunque positiva anche se magari agrodolce.
CC