The Batman: un nuovo pipistrello, per una nuova epoca
Batman (senza The), quello del 1989 con Michael Keaton diretto da Tim Burton, inizia con una scena iconica, un inganno: allo spettatore viene mostrata una famigliola in pericolo che sta per essere derubata e uccisa. Ovviamente la mente va subito all’omicidio di Martha e Thomas Wayne, e tutti sono convinti che stiano venendo rivelate proprio le origini del supereroe. Eppure, pochi attimi dopo, Batman irrompe teatralmente, punendo i maldestri criminali e collocando l’episodio diversi decenni dopo il momento traumatico, quello che ha creato i presupposti per la missione punitiva di Bruce.
Gli anglosassoni, che hanno un termine molto elegante per (quasi) qualsiasi cosa, parlerebbero di subverting expectations, ribaltare le aspettative: chi guarda crede che gli stiano mostrando (o per mostrare) qualcosa, e poi se ne trova davanti un’altra. The Batman (stavolta con il The) compie la stessa operazione e, voluto o meno che sia, è un atto fortemente simbolico. Lo spettatore guarda, da lontano, un bambino travestito da spadaccino in una stanza: delle figure gli si avvicinano, unendosi al gioco. Si compone, in questo modo, un quadretto familiare che tanto rassomiglia a quello del piccolo Wayne con i genitori, prima della loro morte: non staranno per farci vedere mica questo, di nuovo? La risposta è no.
Subverting expectations in Batman (1989)…
Stavolta il ribaltamento delle aspettative assume le sembianze dell’enigmista di Paul Dano, che emerge letteralmente dall’ombra per compiere un efferato omicidio ai danni del candidato sindaco di Gotham City. Dicevamo prima del parallelismo con l’incipit del film del 1989: ecco, The Batman di Matt Reeves è tutto qui, in questa sequenza di apertura, e nel confronto con ciò che fu. Si svela subito nelle intenzioni, al contrario della sua trama corpulenta e posata: una gigantesca, enorme, vorticosa operazione di subverting expectations. Dall’ombra non emerge l’eroe, ma il villain; ad accompagnare ci sono solo l’Ave Maria di Schubert, in una versione compressa e rivisitata che diventa un grido d’aiuto. Poi c’è Lei, la morte, onnipresente e centrale: tutto gira intorno a essa, evitata, cruenta o impetuosa che sia. E forse questo film la conduce addirittura a un livello superiore, descrivendo la necrosi di una comunità, se non di una società.
Ma ci arriveremo poi. Per ora, ci basti sapere che The Batman è una pellicola non solo importante perché dimostra come si possa ancora oggi proporre un cinema supereroistico diverso, accanto alla macchina industriale perfettamente sincronizzata della Marvel-Disney. Un modo di fare film più riflessivo, e autonomo da ramificazioni esterne; per quanto perfino pretenzioso possa apparire, a tratti, il risultato finale. Abbracciando questo punto di vista, la versione di Reeves risponde a una domanda fondamentale e che, forse, diamo spesso per scontato: “perché oggi è ancora importante raccontare Batman?”. Perché, nei nostri ruggenti anni Venti tra pandemie, riarmi nucleari, conflitti regionali che rischiano di allargarsi a macchia d’olio, un personaggio vecchio quasi un secolo riesce ad attrarre così le persone? Cos’avrà mai da dire ancora, in un tempo così diverso da quello in cui è nato?
Certo, si potrebbe rispondere a questa domanda facendo leva sull’aspetto estetico, sull’incredibile carisma del personaggio, sulla potenza dell’ambientazione di Gotham, contemporaneamente gotica e moderna, accelerazionista e classica. Eppure c’è qualcosa di più: l’ingrediente segreto è la dualità. Il personaggio di Batman è non solo costantemente in bilico tra l’essere un vigilante e un eroe, ma simboleggia eternamente la tensione tra due forze che si contrappongono: quella più istintiva e bestiale, che discende direttamente dalla ferinità dell’essere umano, e il desiderio profondo di darsi delle regole – siano esse codici di autocondotta o estensibili alla maggioranza dei consociati – per controllare proprio quel sentimento primitivo.
…e in The Batman (2022).
Batman, quindi, è da sempre in lotta sia con se stesso, e i suoi impulsi distruttivi, che con la società che l’ha (di riffa o di raffa) modellato; pertanto, rappresenta un fenomenale personaggio – ascensore tra la dimensione collettiva delle cose e quella individuale. Descrive l’uomo in quanto tale e l’uomo in quanto cittadino, muovendosi al limite in entrambi i casi. Non che l’immagine di un supereroe con superproblemi,tanto cara a Stan Lee, volesse giungere a un risultato diverso rispetto a quello di far comunicare il protagonista con il mondo che lo circonda, sia chiaro; eppure Batman, con la sua assenza di poteri sovrannaturali e la sua regressione quasi archetipica (a tratti sembra un concetto antropomorfo più che un personaggio), diventa l’alfiere perfetto per parlare di Umanità.
Più e meglio di altri.
Ecco: Matt Reeves questa cosa l’ha capita e ci ha costruito sopra un’intera pellicola. Utilizzando, come strumento per dialogare con lo spettatore, quel ribaltamento delle aspettative che abbiamo tratteggiato a inizio articolo.
Il primo livello: l’individuo
[DISCLAIMER: di qui in poi l’articolo contiene SPOILER su The Batman]
The Batman è un romanzo di formazione capovolto, dove la persona si sviluppa attraverso la maschera. Le varie opinioni che evidenziano negativamente la poca presenza di Bruce Wayne, o la scarsa appetibilità dello stesso quando è fisicamente in scena, vanno prese e rispedite al mittente: l’alter ego di Batman non c’è perché, semplicemente, non si è ancora formato. Esiste solo Batman e la sua crociata, nient’altro: tutto il resto è un ricordo sbiadito di un giovane fantasma, incapace anche di tenere lo sguardo in su. Questo stato d’animo è perfettamente descritto dalla prima parte della magnifica colonna sonora di Michael Giacchino: un motivetto tetro che si ripete ossessivamente, apparentemente per sempre.
Oltre a lasciargli in dono una psiche devastata e una notevole incomunicabilità con gli altri, con i quali Bruce interagisce solo a suon di pugni quando indossa il costume e con vari gradi di distacco in abiti civili, il trauma a cui il rampollo di casa Wayne è stato esposto in giovane età ha portato a una totale idealizzazione dei suoi genitori. Questi gli appaiono come nulla più che santi, e si approccia alle loro figure con l’emotività di un bambino, incapace di cogliere gli aspetti equivoci del loro omicidio; per uno che si presume sia il più grande detective del mondo è un bel guaio.
Rivivere il trauma.
La faccenda è così imbarazzante da far sembrare l’incapacità analitica di Bruce – e la distorsione dei suoi ricordi – tanto innaturale da apparire quasi come una repressione autoinflitta, più che una mancanza di comprensione a causa della giovane età. La giustizia è cieca perché ha scelto di essere tale. Dopotutto, più che all’ormai abusato concetto di giornata storta attribuibile a The Killing Joke (Moore, Bolland, 1988), The Batman sembra raccontare una giornata interpretata male e che, automaticamente, crea una crociata deformata perché basata su delle fondamenta non certo solide. In parole semplici: se l’Uomo Pipistrello nasce per vendicare quello che, di fatto, ai suoi occhi è stato un martirio e che tale non era, qual è l’elemento ultimo che fonda la missione di Batman?
Più precisamente, saccheggiando un termine tanto caro a Jacques Lacan, Bruce Wayne deve evaporizzare la figura paterna, sostituendola con dei valori propri. È costretto a smettere di essere figlio e diventare, pienamente, autonomo; e, in questo, sarà fondamentale anche il legame con Catwoman, che segna il momento (per quanto distorto, incompleto e sui generis) dell’allontanamento dal nucleo familiare originario per raggiungere una maturità piena, tramite il rapporto di coppia. Tutto questo mentre lotta con chi – l’Enigmista – vuole che le colpe dei padri ricadano sui figli: e quindi evoca il diritto di vendicarsi.
Dal punto di vista visivo, la regia di Reeves realizza questo concetto con la tripla scena dell’Iceberg Lounge: prima si presenta Batman, poi Bruce e infine un misto tra i due, che entra in maniera furtiva e solo dopo indossa il costume. Rappresenta la ricerca affannosa di un’identità e di un equilibrio, il quale arriverà solo alla fine e prendendo il meglio di entrambi. A cadere dalla torre, nel processo di rinnovamento personale, è proprio il costrutto della vendetta come unico motore del Cavaliere Oscuro.
Speranza. La fotografia di Greig Fraser fa il resto.
Dopotutto, The Batman degrada l’omicidio dei Wayne (pur rimanendo un certo grado di incertezza) a un probabile regolamento di conti interno ai potenti di Gotham; lo sveste della sacralità, dove l’agire del Pipistrello non è correlato una visione messianica, a un’illuminazione al sapore di perle strappate e colpi di pistola, ma a un’illusione fanciullesca durata anche troppo a lungo.
Eliminato il velo di Maya, rimane solo uno psicopatico vestito da topo volante. Dunque bisogna ricostruirsi, edificando un nuovo simbolo; affidandosi, questa volta, alla speranza. Un sentimento che porta a un’emulazione positiva, a un cerchio virtuoso e non a una spirale di violenza insensata (come, del resto, ci hanno spiegato molte produzioni contemporanee, da The Last of Us Parte II a Red Dead Redemption II).
Alla fine del film, Bruce sembra addirittura quasi pronto a diventare padre: chissà che il ragazzo visto all’inizio non sia proprio l’ex delinquente Jason Todd, e un potenziale sequel non ci mostri finalmente Robin?
Il secondo livello: la società
L’aspetto che più risulta convincente – sebbene non fornisca una prospettiva certo originale – è il rapporto tra Batman e la società che lo circonda. Il nostro viene dipinto quasi come un idiot savant, tanto concentrato sulla sua crociata da non rendersi conto nemmeno di cosa gli sta accadendo intorno. A rifletterci attentamente, non è il Cavaliere Oscuro a svelare l’intrigo che avvolge la classe dirigente di Gotham, ma l’Enigmista; e allora non ci si può chiedere quale tipo di persone siano quelle a cui Batman dà la caccia, che posizione ricoprano i soggetti verso cui rivolge la sua collera e di chi, senz’ombra di dubbio incidentalmente, stia difendendo il privilegio. È una condizione che non sfuggirà all’occhio felino di Selina Kyle che, a un certo punto, gli domanderà appunto cosa freghi a Batman di difendere le prerogative di certa gente.
Per comprendere meglio l’operazione effettuata sul personaggio, bisogna partire da questa splendida e famosa vignetta di Batman: Anno Uno (Miller, Mazzucchelli, 1988) che rappresenta una delle maggiori influenze fumettistiche di The Batman.
Da Anno Uno, di Frank Miller.
Come si può osservare, è Batman a intervenire direttamente nei confronti dell’élite, e non a scontrarvisi per caso dopo che il problema è stato sollevato dal villain di turno. Sebbene sia innegabile che alla stesura della sceneggiatura abbiano contribuito altre storie di un certo peso – Terra Uno (Johns, Frank, 2012) e parte del ciclo di Scott Snyder e Greg Capullo su tutte – è pacifico che un ribaltamento del genere, al cinema, non si era mai visto. Che, quindi, assume proprio i crismi della presa di coscienza.
Dicevamo idiot savant non a caso: Bruce Wayne sembra un uomo dalle straordinarie capacità (fisiche e mentali), ma con dei grossi problemi cognitivi che lo portano a non capire le istanze che attraversano la città di cui si propone come guardiano. Senz’altro parte del problema deriva dal trauma di cui si discuteva nel paragrafo precedente; ma è altrettanto chiaro come, per concentrarsi unicamente su un’ossessione, bisogna essere nella posizione di farlo. Bruce Wayne è, insomma, anch’egli un privilegiato – come gli farà notare proprio l’Enigmista. Un privilegiato illuminato, certo; ma pur sempre un privilegiato. Ed è proprio quello status ad aver creato lo spazio vitale per la creazione della maschera, di Batman.
Seguendo questo ragionamento, è chiaro che un eroe non possa limitarsi solo a menare le mani su chi si è trovato a delinquere, ma debba anche essere proattivo e costruire un ambiente che riduca la possibilità di farlo per bisogno. La diseguaglianza dei redditi, le diverse possibilità legate al livello economico del singolo, il silenzio delle istituzioni e il ruolo della filantropia – non elemosina, ma redistribuzione – sono temi chiave del film. Il quale mostra, di concerto, come a Batman serva Bruce Wayne per raggiungere una certa rotondità, in termini di capacità di plasmare la società in cui vive (e non solo quella).
Sei orfano? Meglio essere un orfano ricco. Avrebbe dovuto scriverci questo.
In un periodo economico segnato da un allargamento costante e sfacciato della forbice sociale, The Batman sembra quindi essere una pellicola affine al tempo che l’ha prodotta. Su queste pagine ci interrogavamo – già nel 2019 – su una riscoperta del conflitto di classe da parte del cinema mainstream, con proprio Joker (Phillips, 2019) come esponente più rumoroso di questa new wave di responsabilità. Sebbene sia concreto il rischio di ricadere nel “we live in a society”, foriero di una certa de-responsabilizzazione individuale se accompagnato a una narrazione superficiale di tensioni irrisolte e quesiti complessi, è inevitabile che anche il cinema più squisitamente fantastico tenti di approcciarsi alla modernità.
Pur non volendo entrare nelle idiote classifiche di gradimento oggettivo (?) e nell’onanismo derivante dalle comparazioni tra film con scopi diversi, il modo in cui viene trattato il tema della Rivoluzione in The Dark Knight Rises (Nolan, 2012) e in The Batman è praticamente antitetico. Questo è vero non solo nella maturità con cui viene discusso un argomento così pesante (basti vedere la descrizione di Nolan e Goyer riguardo Occupy Wall Street, sebbene rifiutata dagli stessi autori), ma anche nel rapporto tra autorità e popolo.
In The Batman, la delusione e la disperazione creano terreno fertile per la rivolta, con la vendetta che diventa il motore di un intero segmento sociale: l’unico modo per evitarla, ed evitare che venga strumentalizzata da folli in maschera, è l’impegno concreto, attraverso un simbolo di speranza. In Rises, qualsiasi sistema politico che si opponga a quello vigente diventa una parodia, in attesa dell’inevitabile reazione (e della repressione) capace di liberare un popolo minorenne e malato. Nel film di Reeves la gente si vede, e si percepisce il disagio nei vicoli che puzzano di piscio, sangue e abbandono: lo stesso giudizio morale (vd. paragrafo successivo), come già in Joker, sfuma. Le azioni dell’Enigmista non sono accettabili ma – a tratti – almeno comprensibili nella genesi, mentre si leva la coltre di fumo sulla città-cloaca; quelle di Bane e soci, praticamente mai.
Le riprese della battaglia di Gotham in The Dark Knight Rises (Nolan, 2012). Uno dei momenti più controversi della pellicola.
Anche il rapporto con i villain diventa, di conseguenza, ambiguo: l’Enigmista, come il personaggio interpretato da Joaquin Phoenix, potrebbe esistere anche in un mondo dove non c’è alcun Uomo-Pipistrello, modificando parzialmente il canone (presente in Batman: Il Lungo Halloween di Loeb e Sale, ma non solo) di Batman che crea i suoi nemici e non viceversa.
Il che ci conduce all’ultimo punto della nostra analisi.
Il terzo livello: lo spettatore
NO MORE LIES
La catchphrase dell’Enigmista in The Batman
Volendo spingerci un po’ oltre (in chiusura possiamo farlo), si potrebbe osservare come il discorso di The Batman voglia impattare direttamente sullo spettatore. In effetti, quest’ultimo è da sempre stato educato a credere, come Bruce, alla santità dei coniugi Wayne e alla favola del mecenatismo; la scoperta della verità conduce non solo il protagonista a ripensare al suo ruolo nella società, ma anche il fruitore a indagare sui meccanismi che la governano. Ad esempio, che in certi ambienti nessuno è davvero pulito: e che credere diversamente, pensare in maniera polarizzata, significa solo raccontarsi delle bugie.
I temi squisitamente politici che Reeves cerca di rivolgere all’attenzione dello spettatore sono, inoltre, molteplici. Non solo c’è un richiamo esplicito alle tensioni etniche che muovono l’America contemporanea – white privilege, afferma esplicitamente Catwoman – che si riflette in Jim Gordon e la nuova sindaca di Gotham quali simboli di speranza istituzionale anche perché neri, ma lascia al fruitore il compito di esprimere un giudizio sulle azioni dell’Enigmista stesso. The Batman è anche un film sul concetto di limite: non solo sulla liceità dell’omicidio, tema caro al personaggio, ma anche e soprattutto sulla distanza che esiste tra rivoluzione e terrorismo, tra follia e voglia di modificare le ingiustizie, tra voler tutelare l’ordinamento e assumere delle posizioni ciecamente reazionarie.
D’altronde, se pensiamo che,
La verità è sempre rivoluzionaria.
Antonio Gramsci
è proprio la rivoluzione a essere collegata allo svelamento della verità. Come nell’abbondantemente citato Joker, qualcuno potrà pensare che la sanzione morale non sia netta; The Batman, però, è una di quelle pellicole in cui la domanda irrisolta è più centrale del giudizio di valore che le si accompagna. Certo è che l’Enigmista assume contorni più netti rispetto a Mr. J: uno stragista, più che un (sedicente) rivoluzionario. Eppure, la sua rabbia – come dicevamo poc’anzi – ha un’origine ancorata alla disparità, capace di colpire chi è dall’altra parte dello schermo.
La domanda. Ciò che conta è la domanda.
Per quanto riguarda la componente individuale, va rimarcato che sono proprio i film precedenti, in cui papà Thomas subiva un certo processo di evangelizzazione,
Sai perché cadiamo, Bruce? Per imparare a rimetterci in piedi.
Batman Begins, regia di C. Nolan, 2005
a creare quelle aspettative che poi il regista si diverte a ribaltare, e di cui – come abbiamo precedentemente suggerito – la sequenza iniziale ne costituisce un certo testamento. Non è solo Bruce Wayne a essere spiazzato, ma anche chi vede il film; e il messaggio arriva dritto e forte.
Dal punto di vista del contenitore, Reeves sceglie di girare un film noir e con un pizzico di hard-boiled, sacrificando un linguaggio ormai metabolizzato dallo spettatore di cinecomics. Le scene d’azione si contano sulle dita di una mano, pur essendo ottimamente, e a volte addirittura magistralmente, orchestrate. Gli stessi trailer mostrano la più gran parte dei combattimenti, diventando addirittura un pizzico ingannevoli; The Batman è una pellicola molto più dialogica e posata rispetto al montaggio frenetico del materiale promozionale.
Anche questa è una decisione forte, in controtendenza: ma sicuramente amalgamata a un film che vuole dire, e in effetti dice, qualcosa di speciale. Tutto questo è in linea con l’idea, da sempre presente nel fumetto seriale, che il personaggio subisca pesantemente l’influsso dell’autore al comando; il quale, a sua volta, si interfaccia con il suo presente. Il nostro presente, quello disperato e apocalittico di cui The Batman è, volutamente, impregnato.
AAS