La visuale: il modo con cui il videogioco visualizza se stesso, le interazioni del giocatore e le sue dirette conseguenze. Una finestra sul mondo digitale che permette al videogioco di essere fruito. La sua storia inizia insieme a quella del medium, ovviamente. Pong, immortale leggenda dei videogiochi. Questo “simulatore di tennis da tavolo” aveva a disposizione una potenza hardware molto bassa, cosa che rendeva obbligatorie alcune limitazioni; per permettere al gioco di essere chiaro nel suo svolgimento, e al tempo stesso di funzionare senza intoppi, Pong utilizzava lo schermo come immaginario tavolo da gioco, in modo che sembrasse di vedere la partita dall’alto.
Un po’ di storia
Può sembrare una cosa futile o poco importante, ma nel 1972 i videogiochi praticamente non esistevano. Non c’era nessuna nozione su come dovesse essere costruita o visualizzata una schermata. Gli ingegneri dell’Atari inventarono, di fatto, uno dei modi più comuni e immediati per rappresentare qualcosa in una grafica a due dimensioni. Inventarono la visuale dall’alto.
Man mano che sempre più giochi venivano creati, le esigenze da parte degli sviluppatori sul punto di vista del giocatore cambiarono. Un gioco di basket aveva meno senso visto dall’alto, poiché il canestro, un elemento verticale, era parte centrale del gioco: ecco quindi che Basketball (1972) della Magnavox aveva una visuale laterale. Un gioco ambientato all’interno di un labirinto avrebbe avuto più senso con una visione in soggettiva, così da simulare il senso di disorientamento e claustrofobia: ecco quindi che Maze War (1973) aveva una visuale in prima persona.
Col passare degli anni la tecnologia avanzava e i giochi diventavano più complessi. Si sentì, quindi, la necessità di avere più tipi di visuali nello stesso gioco, in base a cosa accadeva sullo schermo. Giochi come Ultima I (1981), Dragon Quest (1986) o Zelda II (1987), ad esempio, hanno combattimenti ed esplorazione in schermate differenti, con punti di vista differenti. Addirittura vennero utilizzate visuali dalle prospettive e dalle dimensioni volutamente sbagliate, ma perfettamente funzionali alla necessità sia di mostrare che di giocare, come la famosa visuale adottata da Final Fantasy (1987).
Diverse varianti di ogni visuale furono man mano implementate, sempre a seconda delle necessità del gioco sviluppato. Da citare Another World (1991), uno dei primi videogiochi ad utilizzare la visuale in maniera peculiare, così da creare quella che potremmo definire una “regia”, similare a quella di un film.
L’avvento del 3D cambiò totalmente ogni aspetto dei videogiochi e la visuale non fece eccezione. Non ci furono più sequenze di schermate disegnate, ma una telecamera interna ad un ambiente 3D, che poteva essere liberamente spostata.
Passare da una visuale qualsiasi ad un’altra era molto più agevole, così come era possibile avere infinite varianti di ogni visuale, andando a sfumare il concetto stesso di visuali diverse. Ma gli archetipi classici rimasero – dall’alto, laterale, isometrica, in terza persona ed in prima persona – così come rimase la componente essenziale per cui ne esistono così tante e varie.
Gameplay e visuale
È importante notare che la visuale è un elemento di gameplay in tutto e per tutto, e, come tale, va scelta in modo adeguato. Per questo deve avere un bilanciamento ottimale tra chiarezza, funzionalità e impatto.
La necessità di chiarezza nella visuale è abbastanza ovvia: se non si riesce a localizzare a colpo d’occhio gli elementi principali del gioco, sarà impossibile giocare. Prendiamo come esempio gli strategici. Questo genere di videogiochi necessitano, il più delle volte, di una ampia visione generale, e per questo hanno solitamente visuali dall’alto o isometriche, poiché più congeniali allo scopo. Ma c’è dell’altro: ciò che si vede a schermo deve rendere lo svolgimento del gioco agevole. Ed ecco che la visuale influenza il resto del titolo: Warcraft utilizza uno stile dove i personaggi sono enormi rispetto agli edifici, con proporzioni errate. Questo perché, in un gioco dove la velocità è tutto, è importante che le varie unità siano riconoscibili immediatamente, non solo per chiarezza, ma per funzionalità. Con un’altra visuale questo non sarebbe necessario, magari, ma si perderebbe in chiarezza e anche in impatto. Questo è l’aspetto più artistico o “registico”.
In Warcraft è molto importante l’effetto estetico dello scontro tra eserciti. La visuale scelta enfatizza le battaglie dal punto di vista delle proporzioni e della vastità. Ogni visuale può essere utilizzata per rafforzare una scena o narrare qualcosa in un determinato modo.
Valkyria Chronicles, pur essendo uno strategico, utilizza una visuale in terza persona. Innanzitutto è un titolo che presenta una mappa è piena di elementi ambientali; vederne la conformazione dal punto di vista dei soldati, dà una chiarezza migliore degli spazi, degli ostacoli e dei possibili percorsi presenti. Inoltre i personaggi utilizzano armi da fuoco: poter sparare con la visuale alle spalle è ovviamente più funzionale e permette di usare un sistema di mira semi-manuale. Infine, Valkyria Chronicles punta molto sulla narrazione tra i personaggi, tutti unici e con un loro background preciso. Qui è importante controllare ogni personaggio, guidarlo attraverso il campo di battaglia e cercare di farlo sopravvivere. Ecco quindi che una visuale più “vicina” ai personaggi diventa un elemento d’impatto.
Il gioco vuole che il giocatore si immedesimi nella loro situazione, mentre corrono tra i proiettili e vengono feriti. La prova che cambiare la visuale, anche se nello stesso genere, cambia totalmente il videogioco.
Alcuni esempi pratici
È già evidente con questi esempi che la visuale è un elemento cardine nella creazione di un videogioco, poichè inficia massivamente sulle sensazioni che darà al giocatore e sulla giocabilità del titolo. Pensate a quanto caotico e incomprensibile potrebbe diventare un Devil May Cry se la visuale fosse in prima persona. Un gioco frenetico ed action solitamente utilizza visuali che possano mostrare tutto quello che succede attorno al personaggio (chiarezza). Inoltre negli action le combo sono un elemento centrale, sequenze di azioni concatenate che sarebbero impossibili da fare se il giocatore non potesse vedere il personaggio che controlla (funzionalità). Senza contare quanto lo stile delle combo e del personaggio siano importanti per la caratterizzazione di una figura come quella di Dante (impatto).
Dall’altra parte abbiamo DOOM: veloce, ma in prima persona. Enormi le differenze strutturali nel gameplay dovuto alla visuale in soggettiva: il fatto che si utilizzino quasi esclusivamente armi da fuoco e non melee, oppure tutti i nemici che attaccano quasi sempre a distanza e solo raramente con colpi ravvicinati. Notevole poi l’effetto scenico che dà il punto di vista del nostro Doomguy, faccia a faccia con terribili esseri demoniaci da maciullare con violenza viscerale.
Ancora: il cambiamento enorme che si è avuto con God of War (2018) passando dall’isometrica dei precedenti, alla terza persona. Le orde di mostri tipiche della serie sono ancora presenti, ma ripensate dalle fondamenta. Gli attacchi alle spalle sono gestiti in maniera totalmente differente: l’IA tende sempre a portare i nemici davanti al personaggio, avvisi sonori e visivi sono presenti per gli attacchi che vengono dalle spalle della telecamera, inoltre il numero dei nemici in campo è decisamente inferiore ai vecchi capitoli della saga. Lo stesso vale per le combo, gli enigmi ambientali, l’esplorazione, eccetera.
Altri aspetti rilevanti
Diventa così chiaro che non esistono visuali migliori o peggiori, obsolete o moderne. Esistono solo visuali adatte e non adatte, in base dalla giocabilità del titolo e dalle scelte artistiche di chi questo titolo lo crea. Anche per questo ci sono giochi che utilizzano diversi tipi di visuali. Considerate i dialoghi nei giochi Bioware come Mass Effect o Dragon Age: una inquadratura stretta sui personaggi aiuta a dare più immersione nella discussione, oltre a focalizzare lo sguardo sulle espressioni di un personaggio. Una scelta fatta anche in giochi più vecchi, come i primi Fallout. Nella saga The Elder Scrolls, invece, è possibile cambiare tra una visuale in prima ed una in terza persona; nell’economia del gameplay però, è tutto impostato per essere giocato in soggettiva. La presenza della seconda visuale è pensata per dare uno sguardo all’ampio mondo di gioco, sviluppato in orizzontale e ricco di paesaggi. In più aiuta nell’esplorazione, una delle componenti principali della saga.
Si potrebbe parlare ancora molto degli utilizzi della visuale. L’uso o meno di cutscene, per esempio, cambia molto il modo di raccontare la storia, rispetto ad un gioco che non ne ha. Oppure il falso mito che alcune visuali siano più economiche di altre, quando, con le giuste tecniche, ogni visuale è fattibile anche per giochi a basso budget. Ma dilungarsi oltre sarebbe superfluo.
La visuale è un elemento strutturale in un videogioco. Non è solo una scelta a piacere dagli sviluppatori, ma un tassello fondamentale che influisce sul gameplay e su come il gioco verrà fruito e percepito. È una parte basilare del gameplay, la cui importanza non va sottovalutata o sminuita. Ogni videogioco ha la propria visuale per un motivo, ed è un motivo ben preciso.
GT
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