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Quantum Break: la quarta parete tra polimorfismo e Novikov

Quantum Break è uno di quei titoli che viene spesso dimenticato nelle varie top/flop di questo o di quello Youtuber. Sarà stata l’uscita a inizio generazione, sarà stato il sistema straniante con serie TV integrata, sarà stata la penalizzante esclusività console per Xbox One, ma di certo ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato.

Questa analisi, divisa in due parti, ha come scopo quello di sottolineare quanto Remedy sia riuscita costruire un gameplay davvero ben bilanciato e unico, una trama che sfrutta i viaggi del tempo in maniera impeccabile e delle scelte di storytelling davvero rare e ben integrate nel racconto.
Va inoltre specificato che questo articolo non ha pretese di esaustività riguardo la trama, sebbene verranno discusse nel dettaglio di alcune scene nel tentativo di cercare di restituire dignità a questo gioco, ponendolo sotto una luce analitica critica.

La prima parte, incentrata sul gameplay, può essere utile a coloro che hanno giocato il titolo ma non trovandolo soddisfacente, o magari a coloro che non conoscono il gioco ma sono curiosi di sapere come funziona.
La seconda parte invece, sarà dedicata alla discussione della trama con grossi spoiler e verranno approfondite le tecniche narrative e metanarrative utilizzate da Remedy, sempre molto attenta e creativa in fatto di storytelling.
Quest’ultima può essere utile a chi, terminandolo, non ci abbia capito granché: la speranza è quella di fornire uno stimolo in più per approfondire le discussioni che ci sono tra gli appassionati e restituire una precisa chiave di lettura.

Un gameplay da capire, un gameplay da spiegare.

Ormai Remedy ci ha abituato ad uno stile ben preciso: estetica fortemente cinematografica, gameplay action e trama ingarbugliata. Questi tre elementi sono presenti e centrali in Max Payne, Alan Wake e anche in Quantum Break; in Control invece si è scelta una narrazione più statica, senza grosso utilizzo di scene di intermezzo, forse dovuto al budget o forse scelta stilistica.

Quantum Break si presenta come un classico third person shooter che mette nel calderone anche un sistema di poteri. Insomma, cerca di unire una struttura da action classico fatta di sparatorie e coperture ad una serie di poteri che complicano ed espandono le possibilità date al giocatore. Già di per sé, questa commistione non è molto comune tra i videogiochi moderni: esistono strutture simili negli fps, ma gli sparatutto in terza persona con poteri sono davvero pochi (Psi Ops e Second Sight, per dirne due, oltre ovviamente al già citato Control).

Perché sottolinearlo? In fase di recensione molte testate non hanno restituito il giusto rilievo a questa caratteristica che si può considerare una vera e proprio rarità, probabilmente penalizzando Quantum Break. Con questo non si vuole certo affermare che raro sia uguale a bello, bensì che questo aspetto andasse quantomeno rilevato in fase di analisi critica.

Ovviamente non basta avere una sistema di gameplay “raro” perché sia automaticamente “bello”: nel caso di Quantum Break, il gameplay è infatti anche molto ben strutturato. Pad alla mano, la prima cosa che si avverte è una certa imprecisione nel sistema di mira, una certa scattosità e ingessatura che può dar fastidio; con il tempo, però, ci si abitua e si padroneggia meglio. Ma è qui che i poteri entrano in gioco, complicando il gameplay: i poteri sono il vero fulcro del sistema, sono sei e meravigliosamente bilanciati negli effetti, nei cool down e negli utilizzi più o meno efficaci contro questo o quell’altro nemico, con questa o quell’altra arma. Due elementi sono inoltre ben bilanciati e intersecati con i poteri: le tipologie di nemici e le armi.

Pur dando per assodato che chiunque stia leggendo questa analisi abbia giocato Quantum Break, sarà utile fare un esempio un po’ più dettagliato ed esplicativo per chi non si sia ancora misurato con la produzione di Remedy. Una delle abilità del gioco è Il time stop, un potere il quale ci permette, con la semplice pressione di un tasto, di creare una bolla dentro la quale ogni cosa si blocca per qualche secondo. Sparando venti colpi di mitra su quella bolla i proiettili si fermeranno sul perimetro; non appena la bolla espirerà, tutti e venti i colpi riprenderanno la loro traiettoria originaria colpendo un eventuale malcapitato con un colpo da venti proiettili.

Il nemico presente all’interno della bolla sarà bloccato nel tempo e potremo accumulare molti proiettili sul perimetro della stessa, pronti a colpire all’unisono non appena espirata.

Questo potere è molto più efficace se usato in combinazione con un mitra o con un fucile d’assalto perché la quantità di proiettili che riusciremo ad accumulare sul perimetro della bolla, nel lasso di tempo in cui sarà attiva, sarà nettamente superiore alla quantità di proiettili che potremmo raggruppare con una pistola o un fucile a colpo singolo; insomma, è una questione di cadenza più che di potenza.
La bolla non è però efficace contro alcuni tipi di nemici, in quanto immuni agli effetti del tempo (narrativamente contestualizzato nel gioco): pertanto in un’arena con quindici opponenti, la bolla andrà utilizzata solo su alcuni avversari e preferibilmente in combo con un’arma dall’alta cadenza.

Ovviamente per i nemici immuni al Time Stop, abbiamo delle alternative: un esempio è rappresentato dal Time Dodge (una sorta di sprint/dash) che sbilancia il nemico e lascia qualche secondo di rallenty per esplodergli un colpo in faccia. In questo caso, il Time Dodge si sposa bene con armi dall’alta potenza e bassa cadenza, come un fucile a pompa.
Oppure si può usare il Time Shield, uno scudo protettivo, utile sia per recuperare punti vita e programmare la prossima mossa, sia per sbilanciare i nemici vicini e colpirli da una posizione sicura, molto utile contro i grossi avversari corazzati che necessitano diversi colpi per essere eliminati.

Il Time Shield può essere utilizzato sia per deviare i proiettili che per sbilanciare i nemici se utilizzato nelle loro immediate vicinanze.

Pur non descrivendo ogni potere, ogni effetto e ogni arma con la quale combinarli, ogni nemico con il quale è più efficace, basta questo breve excursus per rendere l’idea di come la collaborazione tra poteri-arma-debolezza dei nemici sia ben strutturata e incredibilmente bilanciata in Quantum Break.

In un’arena piena di nemici diversi tra loro è fondamentale (soprattutto alla difficoltà massima) scegliere il potere giusto, l’arma giusta, il nemico giusto e il giusto tempismo; aspettando i cool down dei poteri e sfruttandone altri nel frattempo, senza mai fermarsi, senza soluzione di continuità. I cool down sono bilanciati in modo tale da permettere di lasciare sempre almeno uno o due poteri disponibili.

In effetti, Remedy è riuscita a confezionare un gameplay “circolare” estremamente bilanciato e davvero molto efficace se approcciato nel modo giusto. Osservando delle run di altri giocatori, è usuale notare come molto spesso i poteri vengano utilizzati di rado, e soprattutto ci si concentri solo su uno o due preferiti; il che è un peccato. Quantum Break non è Bioshock, qui non abbiamo una barra unica che si consuma a prescindere da quale potere venga utilizzato, in quanto ognuno di essi presenta un suo tempo di ripresa indipendente dagli altri cool down: le armi, le arene e i nemici sono costruiti per obbligare il videogiocatore ad usare tutti i poteri e tutte le armi.

Ovviamente non c’è intenzione di colpevolizzare chi si pianta dietro una copertura, usando solo il Time Stop e rimanendo in copertura fino a quando non si ricarica di nuovo – rischiando ovviamente di morire considerando che le coperture in QB non sono quasi mai sicure al 100% e molti nemici sono velocissimi e le aggirano – ma è impossibile non evidenziare come quel modo di giocare Quantum Break non ne sfrutti tutte le potenzialità del game design.
Forse Remedy non è stata in grado di spiegare correttamente il sistema o forse la critica ha bypassato troppo velocemente questo aspetto concentrandosi molto di più sulla serie tv e questi problemi tecnici gravi del lancio. Se avete avuto problemi con il gameplay, riprovateci ora tenendo a mente che nelle arene bisogna muoversi tanto e che i poteri vanno usati tutti in combo con le armi: potreste scoprire un combat system minuziosamente limato e altamente rigiocabile proprio per il semplice gusto di performare.

Per quanto riguarda le sezioni platform, è meglio passare oltre: sono poco riuscite, al punto di generare fastidio per il potenziale sprecato, e sono molto belle visivamente. A tal proposito, è utile sottolineare come il comparto estetico di Quantum Break sia bellissimo ancora oggi: i modelli e gli ambienti sono curatissimi e dettagliatissimi, e soprattutto gli effetti particellari dei potersi sono strabilianti. Tra scintille e frammenti che distorcono l’ambiente e tutto quello che colpiscono, l’impatto è favoloso.

L’hud è minimale: a destra i sei poteri con la barra dei cooldown, l’arma equipaggiata è un piccolo mirino. Non serve altro.

Narrativa e storytelling: viaggi nel tempo, che passione!

[DISCLAIMER: MASSIVE SPOILER AHEAD. Se fino ad ora l’articolo poteva essere fruito anche da chi non avesse giocato il titolo, d’ora in poi ne è consigliabile la lettura solo a chi l’ha completato: molti passaggi non verranno rispiegati per non risultare ridondanti, ma ci saranno recap della trama e alcune considerazioni dettagliate.]

Il concetto che sta alla base dei viaggi nel tempo in Quantum Break è basato sul principio di autoconsistenza di Novikov o il cosiddetto “paradosso del nonno”. Questo principio, sostanzialmente, afferma che il tempo è un sistema chiuso e se qualcuno riuscisse a viaggiare indietro nel tempo non potrebbe cambiare il corso degli eventi perché quel viaggio sarebbe già contemplato. Esempio classico: se una persona riuscisse a tornare indietro nel tempo e provasse ad uccidere suo nonno prima che conoscesse sua nonna, non ci riuscirebbe perché il solo fatto che quella persona sia nata implica che suo nonno sia riuscito a conoscere sua nonna e a procreare. Pertanto, l’intento è “destinato” a fallire perché è già successo: anzi tutt’al più potrà favorire la conoscenza del nonno e della nonna. Non avete capito nulla? È normale, non è un concetto così immediato se non avete familiarità con queste cose, un giro su Wikipedia e capirete meglio.

Novikov e Donnie Darko. Oh, noi ce la stiamo mettendo tutta per farvi capire, magari è anche colpa vostra.

Uno degli elementi più riusciti nella narrativa di Quantum Break sta proprio nella capacità di snocciolare pian piano attraverso i cinque atti questo concetto: il funzionamento e le regole del viaggio del tempo saranno sempre ben spiegati, sia tramite eventi e dialoghi che attraverso i file sparsi nella mappa di gioco. Viene, infatti, contestualizzato il perché del viaggio solo attraverso la macchina del tempo e il potere andare unicamente in momenti passati o futuri in cui la macchina è accesa. Parte degli eventi sono legati al fatto che Jack Joyce non conosce il principio che sta alla base dei viaggi del tempo e, cercando di sistemare il presente, viaggia nel passato scoprendosi causa integrante di alcuni dei problemi.

A grandi linee, è importante evidenziare il motore della narrativa in Quantum Break: è il 2016 e il tempo sta finendo, di lì a cinque anni si fermerà e con esso tutta la materia, organica o meno che sia.
Paul Serene, il villain, crede che questo sia inevitabile e con la sua società, la Monarch, sta cercando di creare un piccolo luogo immune agli effetti della fine del tempo in cui le migliori menti della società potranno studiare questo evento catastrofico. Questo progetto è definito Arca: così come Noè e famiglia, Paul Serene e scienziati annessi, sperano di salvare l’umanità intera e tutti gli esseri viventi dall’estinzione.
Di contro abbiamo Jack Joyce, Beth Wilder e William Joyce che credono di poter utilizzare la contromisura, un manipolatore del tempo costruito da William, per impedire che la fine avvenga; l’intero gioco si sviluppa quindi in cinque atti, nella quale impersoneremo Jack Joyce e insieme a lui scopriremo questa situazione e proveremo a recuperare la contromisura.

La contromisura è un gingillo creato da Willam per rimediare alla fine del tempo. Serene la vuole per creare un zona sicura in cui studiare la catastrofe, lui è sicuro che non ci sia modo di evitarla.


I primi tre atti fungono da vera e propria introduzione alla scienza che è alla base di Quantum Break e come momento conoscitivo dei personaggi e delle loro motivazioni, anche attraverso l’intervallo offerto dalla serie TV.
Se nella prima metà dell’avventura vivremo quindi una buona storia d’azione, con bei characters e diversi misteri, è nell’atto quattro che emergerà in toto il concetto ipotizzato da Novikov. Il paradosso del nonno esplode in maniera massiccia e complessa: ci troviamo nel presente, nel 2016, con Jack e Beth che hanno intenzione di tornare nel 2010 allo scopo di recuperare la contromisura che nel presente è scomparsa. La Dr. Amaral però non d’accordo; nel tentativo di fermarli spedisce Beth nel 1999, mentre Jack invece riesce a tornare nel 2010 incontrando proprio Beth invecchiata di undici anni.
La ragazza è rimasta bloccata nel 1999 ed ha atteso fino al 2010 l’arrivo di Jack; in questo lasso di tempo, pur commettendo molti errori, Beth ha compreso il funzionamento del tempo, spingendo William a creare la contromisura che poi sarà il motivo per il quale tornerà nel 1999 dal 2016.
Il paradosso del nonno, capite? La Beth dal futuro consiglia a William di costruire la contromisura nel 1999; nel 2016, la Beth ignara di aver consigliato la costruzione dell’oggetto, torna indietro nel tempo per recuperarlo ma scopre di essere stata parte integrante nella costruzione.
Fidatevi che il gioco lo spiega meglio.

Insomma, Beth rimane bloccata nel 1999 e man mano che passano gli anni scopre di aver messo in moto i meccanismi che noi giocatori abbiamo vissuto nel 2016: ha guidato la piccola se stessa verso la Monarch, si è auto fornita indicazioni utili per far sì che la piccola se stessa del 1999 potesse arrivare a Jack nel 2016 e ha dipinto i graffiti che troviamo sparsi in qualche location.

Beth Wilder dal futuro nel 1999 istruisce se stessa da piccola, così da arrivare preparata agli eventi del 2016: questo è uno dei murales che si possono trovare sparsi nel gioco.

La coppia divisasi nel 2016 si ricongiunge nel 2010 e non fa altro che spingere l’acceleratore sul principio di Novikov: insieme si recano nel punto in cui dovrebbe esserci la contromisura ma una volta giunti li si incrociano con Serene. Durante lo scontro danneggiano la contromisura, creando il punto zero: la fonte dalla quale Serine, nel 2016, attingerà a quella quantità di chronon che userà per i suoi soldati e per il suo progetto Arca.

Ancora una volta Novikov ci viene incontro: i ragazzi tornano nel 2010 per recuperare la contromisura e fermare Serene, scoprendo però che proprio questa loro avventura nel passato ha creato i presupposti perché il piano di Serene si realizzi.

Okay, la storia è intricata e spesso ci si ritrova a fare mente locale sugli eventi vissuti fino a quel determinato punto; come se non bastasse neanche la risoluzione è un banale: “allora il tempo è immutabile, tutto è scritto, bello”. Decisamente no.
L’universo narrativo è ricco di elementi misteriosi e il funzionamento dei viaggi del tempo potrebbe non essere solamente quello. In più occasioni sentiamo William farfugliare di possibili realtà alternative, avremo a che fare con i polimorfi (in inglese shifter), degli esseri in grado di sfuggire alle logiche del tempo e dello spazio, un po’ come il gatto di Schrödinger.
Vedremo Martin Hatch, il nostro G-man di half lifeiana memoria, sempre in grado di aggiungere mistero e far viaggiare le teorie.

Il finale è apertissimo: se il principio di auto consistenza di Novikov è valido, la contromisura di William potrebbe essere stata inefficace e probabilmente ha solo rimandato la fine del tempo che vista da Paul Serene nel 2021. Poi c’è quel dannato file che si trova nell’atto cinque, la nota senza titolo, che apre delle ipotesi sui veri obiettivi di Hatch. Anche la scena post credit ci fa intendere un sequel basato proprio sulla collaborazione/scontro con Hatch. Jack alla fine di tutto sembra aver compreso meglio il funzionamento del tempo, probabilmente ha iniziato la sua trasmutazione in polimorfo e il “tornerò a prenderti” sussurrato a quella povera anima di Beth potrebbe essere un segno di qualcosa che il nostro protagonista ha capito e che potrebbe sfruttare per sfuggire dal paradosso del nonno. Chissà.

Insomma, giocatelo che magari Microsoft vede tutti i download via game pass e ci fa un seguito. Sigh.

Lo storytelling al tempo dell’interazione

Questo è un altro elemento troppo spesso sottovalutato, visto che Quantum Break presenta un’idea originale anche dal punto di visto narrativo. Infatti, oltre a impersonare Jack Joyce con tutti i suoi poteri e le sue armi, ci sarà data la possibilità di determinare le macro-scelte del nostro nemico, Paul Serene.
Questa meccanica non è per niente banale: oltre a cambiare in modo abbastanza radicale alcune scene del gioco e moltissime scene della serie TV, apre ad una serie di valutazioni sulla natura stessa del racconto e sull’integrazione del giocatore nello sviluppo dello storytelling. Per rendere chiaro il concetto sarà necessaria qualche altra parola sui polimorfi, cosi da tracciare un parallelo di metanarrativa che si ricolleghi direttamente al videogiocatore.

Il gatto di Schrödinger.

Come detto poco sopra, i polimorfi sfuggono alle logiche del tempo e dello spazio: un po’ come il gatto di Schrödinger che potrebbe essere sia vivo che morto fino al momento di aprire la scatola. Pertanto la sua condizione da morto a vivo “shifta” in modo perpetuo finché un osservatore non ne determina lo stato aprendo la scatola; l’utilizzo della parola “shifta” non è casuale, ma si ricollega agli Shifter, i polimorfi appunto.
Ma cosa sono i polimorfi e in che modo si relazionano al tempo e allo spazio? I polimorfi sono esseri, un tempo umani, che essendo entrati in contatto con le particelle di chronon e hanno progressivamente sviluppato delle capacità di manipolare il tempo. Jack Joyce, nel gioco, è ancora al primo contatto: man mano che proseguiremo negli atti svilupperà sempre più poteri. Paul Serene invece è ad uno stadio più avanzato, presentando non solo dei “poteri” simili a quelli di Jack, ma essendo anche in grado di prevedere il futuro, o meglio, di “vedere” alcuni segmenti del futuro che può creare in base alle sue scelte. Probabilmente questa capacità è legata al fatto che man mano che si progredisce verso lo stato di polimorfo vengono sempre più consapevolezza delle realtà alternative e della possibilità di viverle tutte contemporaneamente. Serene tratta questa progressione come una malattia, cercando di bloccarla con dei farmaci e non comprendendone il potenziale o contemplando la possibilità che vi siano realtà parallele. È uno studioso e crede fermamente nel principio di Novikov, avendolo toccato con mano.
Martin Hatch invece, avendo avuto contatti con una fonte naturale di chronon in Africa (chissà quando, forse decine o centinaia di anni prima) è ormai un vero e proprio polimorfo in grado di vedere, vivere e interagire con tutte le realtà alternative.
Proprio qui entra in gioco il videogiocatore e la struttura di Quantum Break stesso.

Il gioco presenta sedici diverse linee alternative che possiamo imboccare in base alle nostre scelte, o meglio, in base alle scelte che potremmo far compiere al “villain” Paul Serene.
Ogni fine atto infatti, ci sarà chiesto di impersonare quest’ultimo e compiere una scelta in base alle sue visioni segmentate del futuro: ogni scelta che saremo chiamati a compiere ci pone nella posizione di favorire Jack o ostacolarlo. Ciò ha diviso la community: alcuni giocatori hanno aiutato Jack, mentre altri si sono immedesimati nel “cattivone”, ostacolando il protagonista “positivo”. Questo avviene perché le motivazioni di Paul Serene sono tutt’altro che banali e man mano che si va a fondo nella vicenda e si comprendono le regole del viaggio nel tempo, si potrà senza dubbio “dar ragione al cattivo”. Ovviamente c’è anche la terza via, quella che mi piace chiamare “la via dello sceneggiatore”, ovvero cercare di compiere scelte che costruiscano una storia più avvincente e credibile possibile, in barba al buono o al cattivo. Il videogiocatore che sceglie quest’ultimo approccio cerca solo di fare del “bene” alla storia, assumendo un ruolo metanarrativo e di “aiuto sceneggiatore” che si può definire unico, o comunque molto raro.
Il concetto di polimorfo, e la sua capacità di vedere e interagire con ogni realtà parallela si sovrappone al videogiocatore che, in quanto esterno al racconto, è in grado di vedere e interagire con tutte e 16 le realtà alternative che il gioco offre. Infatti, noi potremmo fare una scelta, ricaricare la partita e farne un’altra, potremmo finire il gioco infinite volte e vedere tutte e 16 linee narrative che la stessa storia presenta. Insomma, siamo come dei polimorfi che sono in grado di vedere tutte le possibili vie e di tornare avanti e indietro nel tempo a nostro piacimento; non a caso il gioco presenta un menù davvero molto intuitivo e comodo in cui sarà possibile avviare qualsiasi singolo capitolo, sia dalle sezioni di gameplay che dagli snodi di trama.

Ecco le sedici timeline che possiamo vivere in Quantum Break in base alle scelte di ogni fine atto

L’esperimento di fondere videogioco e serie tv, sebbene difficilmente si possa definire pienamente riuscito, è intrigante nel mostrare come le nostre scelte influenzino gli episodi; tutto sommato, però, quello vediamo in live action avrebbe avuto la stessa valenza se fosse stato prodotto in computer grafica. Sicuramente questo genere di suddivisione aiuta a percepire ancor di più il distacco tra quello che conosce il protagonista e quello che conosce il giocatore, molto più consapevole della situazione grazie a questi grandi cambi di prospettiva, ma è un obiettivo che si sarebbe potuto raggiungere anche, e probabilmente addirittura meglio, facendoci impersonare Paul Serene in sessioni di gameplay più grandi e complesse del semplice “fai una scelta e guarda una puntata”.

La serie tv fornisce una visione estesa degli eventi e riesce ad interessare grazie anche ad un cast di tutto rispetto

In conclusione, è ragionevole affermare che Quantum Break si meriti un po’ di più di quello che ha ricevuto, Chi scrive lo ritiene un ottimo prodotto, capace di intrattenere con una trama dalle basi scientifiche solide, ben congegnata e dallo storytelling unico.
In effetti, l’intero gioco riesce a sfruttare molto bene l’interazione permessa dai videogiochi: il parallelismo tra polimorfo e giocatore si è potuto raggiungere solo attraverso l’interazione e la struttura che la supporta; in aggiunta, la possibilità di utilizzare ed empatizzare con il villain non è assolutamente da sottovalutare.
Essendo una nuova IP ad inizio generazione, forse, non è riuscita ad imporsi come avrebbe potuto e probabilmente è anche colpa di una comunicazione poco efficace sia da parte di Microsoft che di Remedy stessa. Certamente non tutto è pienamente riuscito, ma questo titolo poteva davvero essere un’ottima base per la costruzione di una serie a tema viaggi del tempo davvero ben scritta e diretta.
La buona notizia è che Remedy non sembra aver buttato completamente questo universo narrativo, dato che diversi elementi ci fanno intendere di come possa essere integrato in una sorta di Remedyverse espanso che comprenda anche Alan Wake e Control. Ma questa è un’altra storia che magari tratteremo in un secondo momento: ora non ci resta solo che aspettare qualche novità al riguardo, incrociando le dita forte forte.

La messa è finita, andate in pace: il pippone su Quantum Break termina qui. In effetti discutendone è salita l’acquolina in bocca, è tempo di rigiocarlo. A proposito: se decidete di provarlo lo trovate usato a pochi spicci per PC, Xbox One S/X e Series X/S; è su Steam e anche su Xbox Game Pass.

VC