La persona peggiore del mondo è già cult
Negli ultimi mesi, i fotogrammi di un film in cui una ragazza castana e vagamente somigliante a Dakota Johnson e Phoebe Waller-Bridge parla della vita e d’amore hanno iniziato a fioccare in diversi spazi virtuali passando, erroneamente, per spezzoni della solita commedia romantica.
Film del 2021 di Joachim Trier, La persona peggiore del mondo è il ritratto in 12 capitoli della vita di Julie, una ragazza all’alba dei trenta senza una direzione nella vita. Sì, l’incipit sembra banale, già visto, già sentito ma questa pellicola ha qualcosa di diverso: fidatevi.
[Disclaimer: seguono spoiler su La persona peggiore del mondo.]
È l’amore a identificarci?
Il prologo del film si esaurisce in pochi minuti e ci dà un background sufficiente alla comprensione di Julie (Renate Reinsve). Accompagnati da una voce narrante, spiraglio sulla mente e le credenze della nostra protagonista, scopriamo che la ragazza, nel corso della prima metà dei suoi vent’anni, ha cambiato diversi percorsi professionali. Iscritta a medicina, decide di mollare tutto per darsi alla psicologia; poco dopo, però, si rende conto di avere una fascinazione per la fotografia e lascia l’università per poi scoprire, celata dentro di sé, la passione della scrittura (che decide di inseguire sostentandosi lavorando in una libreria)
Ad ogni cambio di professione, corrisponde un totale cambio di rappresentazione di Julie. La ragazza veste i panni di chi per lei debba essere un medico, una psicologa, una fotografa e una scrittrice. Non solo, ad ogni transizione di carriera segue un cambio di partner: insieme a medicina, lascia anche il suo ragazzo; sbarcata a psicologia si mette con un suo professore; scoperta l’inclinazione per la fotografia, inizia a frequentare un modello. Le cose cambiano quando incontra Aksel (Anders Danielsen Lie), un fumettista underground sull’onda del successo.
Julie prende le sembianze di chi, per lei, sia la persona adatta a stare con Aksel, generando, nonostante la sincera alchimia fra i due, un forte dislivello nella loro relazione: lui è più grande, riesce a vivere della sua creatività, è soddisfatto e sprona Julie ad esserlo a sua volta. E poi vuole essere padre. Julie non vuole figli, non sa nemmeno ancora chi sia. Sente quella relazione come un porto troppo sicuro.
Mi sento spettatrice della mia stessa vita, quasi come fossi un personaggio di serie B.
Julie – La persona peggiore del mondo.
È in questo scenario che Julie incontra ad una festa Eivind (Herbert Nordrum) a sua volta in una relazione squilibrata, fra i due scatta qualcosa.
Einvid sembra essere la rappresentazione speculare di Julie. Il ragazzo sta con Sunniva, una donna che, a seguito di un’importante epifania, fonda la propria personalità su la strenua difesa del clima e una serie di pratiche new age a farvi da contorno. Einvid l’appoggia, la supporta ma sente il peso di questa relazione:
Il senso di colpa dell’intero occidente sedeva accanto a lui sul divano, andava a letto con lui la notte. Tutto era rapportato alla causa maggiore.
La persona peggiore del mondo.
Quando incontra Julie, Einvid vede la possibilità di spensieratezza e la coglie al volo; allo stesso modo, Julie ritrova qualcuno dalla vita meno definita di quella di Aksel. I due trovano, l’uno nell’altra, la fuga dal proprio smarrimento: due personaggi secondari catapultati sulla ribalta.
Vediamo Julie avere tre tipi di relazioni diverse nel corso del film. Se quelle brevemente illustrate nel corso dell’epilogo sono, come già detto, relazioni adatte – nella sua percezione- al tipo di persona che Julie vuole essere, in quella con Aksel è lei a divenire la persona che crede lui debba avere accanto. La relazione con Einvid, infine, sembra essere quella in cui può essere veramente se stessa: lui non sembra avere particolari ambizioni, è una persona buona, nessuno dei due vuole figli. Ma che significa, per Julie, essere se stessa?
Julie e Amelie
Nella locandina, La persona peggiore del mondo è paragonato al favoloso mondo di Amelie: niente di più sbagliato. Già solo da un punto di vista stilistico, il Favoloso mondo di Amelie presenta un’estetica – filtro giallognolo, voce narrante esterna, focus sui dettagli, sguardo in macchina – estremamente riconoscibile, parte integrante del successo del film.
La persona peggiore del mondo condivide, effettivamente, alcune di queste stesse scelte estetiche ma lo fa in maniera molto diversa. Trier è molto abile a trasmettere gli stati d’animo dei suoi personaggi con una regia oculata che si concentra su dettagli di volti e di gesti raggiunti da movimenti di macchina naturali quanto lo sguardo umano. A questi, però, si alternano sequenze volutamente sopra le righe, non solo di realismo magico (come questa), ma anche semplicemente di rallenty che focalizzano ricordi o movimenti scattanti che seguono un’avvincente performance di air drumming. Il regista trasmette esattamente ciò che accade nella mente degli abitanti di questa splendida Oslo e lo fa nella maniera meno artificiosa e spinta possibile.
Le differenze stanno anche nella natura della storia: Il favoloso mondo di Amelie ha come risoluzione una relazione romantica. Trier ci inganna vendendoci una commedia romantica che, ormai ben oltre la metà, cambia volto. Julie non è una nuova Amelie, Julie è esattamente una di quelle ragazze che ha fatto del fantastico mondo di Amelie una religione ma che si ritrova schiaffata – come tutti – nel mondo reale.
Il titolo, su dichiarazione di Renate Reinsve, deriva da un modo di dire norvegese per cui, quando si commettono degli errori, si incontra il fallimento, ci si definisce le persone peggiori del mondo. Julie si sente esattamente così: è alla costante ricerca di quello che per lei sarà l’evento cardine della sua vita. Solo che l’evento cardine della sua vita cambia continuamente. Le relazioni sono lasciate appena presentano difficoltà, lo stesso accade per l’ambito di studio o la carriera: una volta che l’infatuazione sfuma, Julie inizia a veder sbiadire anche quella sensazione di vero-amore-assoluto-e-definitivo che l’aveva spinta a mollare tutto.
Trier rende la sua protagonista sineddoche di una generazione: alla disperata ricerca di risposte semplici, spaesata e senza una via da percorrere. Julie vuole la certezza di star facendo la cosa giusta e, per lei, la cosa giusta non presenta difficoltà: per questo motivo è una persona che lascia e non combatte. Per lo stesso motivo invidia Aksel che passa ore curvo sul tavolo per creare e ha una vocazione. Non vuole figli da lui perché il momento in cui averne dovrebbe essere “quello giusto”, senza intoppi.
L’imprevedibilità della vita
Nella seconda parte del film, striscia in controluce un tema importante: il fatto che la vita sia imprevedibile e non si possa tornare indietro, solo andare avanti.
È il personaggio di Aksel a farsi da portabandiera di questa lezione. Ben oltre metà film viene rivelato che all’uomo, poco dopo la rottura con Julie, è stato diagnosticato un tumore al pancreas. Julie, che ha chiuso la relazione con Aksel persino lasciando aperta la porta a un possibile ritorno futuro, si ritrova spaesata.
Incinta di Einvid di un figlio che non sa se tenere o meno, va a trovare l’ex fidanzato. I due passano insieme il pomeriggio: Aksel parla di come, da poco prima della diagnosi, ormai ultraquarantenne, abbia iniziato a concentrarsi solamente sul passato, sulle sue esperienze e passioni, vivendo praticamente rinchiuso nella nostalgia. Adesso, però, non può non pensare di non avere futuro:
Ho cominciato a venerare il passato e adesso non c’è niente davanti a me. Ora posso solo guardare indietro e questa specie di nostalgia è solo paura della morte.
Aksel – La persona peggiore del mondo
Andare avanti è necessario per non restare bloccati nel passato. La figura stessa di Aksel, porto sicuro e relazione più importante nella vita di Julie, diviene qualcuno da cui è impossibile tornare: morirà.
Curioso è il fatto che Trier usi, in almeno due momenti, riferimenti a Woody Allen per parlare della storia d’amore fra Julie e Aksel. Durante il prologo, quando viene mostrata la sequenza dell’innamoramento fra i due e il trasloco di Julie a casa di Aksel, le scelte stilistiche ricordano moltissimo quelle di un film di Allen, potrebbe benissimo passare per una scena tratta da Io e Annie: in sottofondo si sente la versione di Billie Holiday di The way you look tonight e i due innamorati si muovono battibeccando scherzosamente a giro per casa. Questo quadretto dai toni felici, si contrappone nettamente con una sequenza dell’ultimo capitolo in cui Aksel, ormai stremato dal dolore della malattia, cita quasi letteralmente una famosa frase di Allen:
Non voglio vivere nella mia arte e tutto il resto, voglio solo continuare a vivere nel mio appartamento con te. Saremmo felici.
Aksel – La persona peggiore del mondo
Non voglio raggiungere l’immortalità attraverso le mie opere; voglio raggiungerla vivendo per sempre. Non mi interessa vivere nel cuore degli americani; preferisco vivere nel mio appartamento.
Woody Allen
L’uomo non è uno dei soliti protagonisti nevrotici alter-ego di Allen. Aksel è un fumettista dedito alla sua arte e strenuo nella difesa della sua essenza, al di là di ogni controversia che possa generare. Rincuorata dall’uomo, Julie decide di tenere il bambino di Einvid e i due, dato che lui non vuole figli, si lasciano. La mattina dopo la morte di Aksel, però, Julie ha un aborto.
Un epilogo necessario
È passato qualche anno: siamo all’epilogo di questa storia. Vediamo Julie a lavoro su un set cinematografico come fotografa. Scatta dei ritratti a un’attrice che ha appena finito di registrare una scena e, poco dopo, vede la donna allontanarsi e camminare incontro al suo bambino tenuto in braccio da un uomo: è Einvid. Julie – che, in ultima analisi, un figlio lo voleva – ha avuto un aborto; Einvid, che un figlio non lo voleva tassativamente, si ritrova ad averne uno. L’insensatezza calata sulla fine di questa relazione è la perfetta summa del senso di questa pellicola sull’imprevedibilità della vita.
Il grande pregio de La persona peggiore del mondo sta nel portarci continuamente fuori strada: nessun percorso sembra essere lineare o prevedibile. Eppure, a posteriori, tutto ha senso. Non c’è un lieto fine – sulle note di Waters of March – perché nella vita non c’è un lieto fine: si può solo continuare ad andare avanti, abbracciando l’imprevedibilità.
BV