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Il nome del vento: una malinconica melodia che racconta un fallimento

IlIl Period Drama è da sempre uno dei generi che più è in grado di coinvolgere gli spettatori: storie d’amore senza tempo – costellate di dame, cavalieri, regine, principi, nobili di ogni tipo e di ogni genere – hanno un enorme appeal sul pubblico odierno, mezzo per eccellenza per fuggire dalla squallida realtà e lasciarsi alle spalle le fatiche di una lunga giornata.a.ata.

Insomma, ci basta solamente scrivere: “Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante.” per far capire alla stragrande maggioranza di voi che questo non è altro che l’incipit di Harry Potter.
Oppure, per chi ama i classici: “Era una fresca limpida giornata d’aprile e gli orologi segnavano l’una.” E via, ecco che inizia il viaggio in 1984 di George Orwell.

E ora, eccovi le primissime righe de Il nome del vento, protagonista di questo articolo:

Era di nuovo notte. La locanda della Pietra Miliare era in silenzio, e si trattava di un silenzio in tre parti.

Incipit de Il nome del vento

Di per sé, non è niente di eccezionale. La notte, il silenzio: banale, no? Potremmo anche essere d’accordo, se questo incipit non fosse la preparazione a uno dei prologhi più belli di sempre. Vorremmo – davvero, lo vorremmo tanto – portarvi in questo articolo il prologo completo, ma ne riporteremo qui sotto solo alcune parti, consigliandovi caldamente di fare una piccola ricerca su internet (o di scaricare l’estratto da Amazon) per poterlo leggere e goderlo in tutta la sua interezza. Dal canto nostro, siamo sicuri che queste prime righe, così come il prologo, siano rimasti impressi in coloro che amano l’opera di Rothfuss.

Parole che si trasformano in una melodia malinconica

La parte più ovvia era la quiete vuota, riecheggiante, formata da cose che mancavano. […] All’interno della Pietra Miliare alcuni uomini erano radunati a un angolo del bancone. Bevevano con calma determinazione, evitando serie discussioni di notizie preoccupanti. Nel fare ciò, essi aggiungevano un piccolo, cupo silenzio a quello vuoto più grande. Formava una sorta di lega, un contrappunto. Il terzo silenzio non era facile da notare. […] Ed era nelle mani dell’uomo che se ne stava lì in piedi a pulire un tratto di mogano che già risplendeva alla luce delle lampade. L’uomo aveva capelli di color rosso vivo, come fiamma. I suoi occhi erano scuri e distanti, e lui si muoveva con la sottile certezza che proviene dal conoscere molte cose. La Pietra Miliare era sua, proprio come il terzo silenzio. Era appropriato, dato che fra i tre era il silenzio più grande, che avvolgeva gli altri dentro di sé. […] Era il paziente suono di fiori recisi, di un uomo che sta aspettando di morire.

Prologo. Un silenzio in tre parti.

Questo prologo è stato a dir poco sbalorditivo. L’ultimo silenzio, il più grande, si trasforma nella quieta attesa della morte, nella solitudine di un uomo disperato che sembra conoscere tutto, ma che allo stesso tempo non sembra gradire la compagnia di qualcuno al quale affidare i propri segreti.

Sembra assurdo, ma possiamo dire con certezza di esserci innamorati dello stile di Patrick Rothfuss dopo sole tre pagine, dopo aver ascoltato i tre silenzi. De Il nome del vento si possono dire tante cose, così come del suo protagonista Kvothe, ma è indubbia la capacità autoriale di Rothfuss. È bene ricordare, però, di come venga aspramente criticato per gli immensi ritardi nella stesura del terzo e ultimo volume della trilogia; ma di questo abbiamo già parlato altrove e oggi vogliamo concentrarci sull’opera, piuttosto che sull’autore.

Kvothe. Dipinti originali di Daniel Dos Santos creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss
Ben e Kvothe. Dipinti originali di Daniel Dos Santos creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss

Nel corso della stesura di questo articolo, ci siamo più volte chiesti: “come descrivere lo stile di Patrick Rothfuss?”. E, mentre ascoltavamo un brano al piano in cuffia, abbiamo trovato la lampante risposta: è una melodia. I caratteri che compongono Il nome del vento potrebbero tranquillamente trasformarsi in note musicali e le pagine bianche in un pentagramma ed eccola: la composizione di Patrick Rothfuss. Raramente capita di leggere un libro che non si limita soltanto a raccontare e a coinvolgere il senso della vista, ma che attraverso la lettura interessa anche il senso dell’olfatto e dell’udito, tanto è capace Rothfuss di descrivere ciò che circonda il suo protagonista.

Nelle scene dove viene descritta e raccontata la musica, in particolare, l’autore dà il meglio di sé, riuscendo a trasmettere emozioni che colmano il cuore e fanno vibrare l’anima, come fosse la corda di un liuto pizzicata da mani abili e talentuose. La prosa di Rothfuss è una melodia continua; è un canto appena sussurrato che penetra la mente ed evoca immagini, suoni, sapori, colori, come il rosso acceso dei capelli di un locandiere, il colore smorto di foglie che cadono in autunno, il nero lucente di un’elsa dimenticata, che sembra voler raccontare di vecchi rimpianti.

Ora, l’ultima cosa che vogliamo fare oggi è portare su schermo una disamina – sarebbe anche difficile, vista la portata – sullo stile di Rothfuss, quindi ci limitiamo a dire di esserne rimasti estremamente affascinati, un po’ innamorati. Ci fermiamo qui, per davvero.

Una storia dentro a una storia, il racconto di un fallimento

Vi raccontiamo, però, della storia di Kvothe, un ragazzo che eccelle in tutto ciò che fa, sembra non sbagliare mai, è estremamente intelligente e talentuoso e ne è del tutto cosciente. Eppure questa non è la cronaca di una vittoria, bensì di un amaro fallimento.

Il mio primo mentore mi chiamava E’lir perché ero intelligente e lo sapevo. Il mio primo amore mi chiamava Dulator perché le piaceva il suono. Sono stato chiamato Shadicar, Ditoleggero e Sei Corde. Sono stato chiamato Kvothe il Senzasangue, Kvothe l’Arcano e Kvothe il Regicida. Mi sono guadagnato quei nomi. Li ho acquistati e ne ho pagato il prezzo. […] Sono stato espulso dall’Accademia a un’età inferiore a quella in cui la maggior parte della gente viene ammessa. Ho percorso alla luce della luna sentieri di cui altri temono di parlare durante il giorno. Ho parlato a dèi, amato donne e scritto canzoni che fanno piangere i menestrelli. Potresti aver sentito parlare di me.

Capitolo 7. Sugli inizi e i nomi delle cose

Il romanzo è strutturato come una storia dentro una storia, raccontato da tre distinti punti di vista narrativi. Il primo è il narratore cupo e riflessivo che troviamo nel prologo e nell’epilogo, che dà un tono oscuro al romanzo e crea il giusto clima per raccontare le avventure di Kvothe. Poi abbiamo il punto di vista narrativo ancorato al presente con, tra i protagonisti principali, colui che si fa chiamare Kote, il locandiere proprietario della Pietra Miliare e del terzo silenzio, Bast – il suo allievo misterioso – e il Cronista.

Il locandiere racconta la verità sulla sua vita, partendo dalla sua giovinezza, quando si chiamava solo Kvothe, che è il terzo narratore. Sarà appunto Kvothe, in questo primo libro giovanissimo, a narrare nel corso della maggior parte del romanzo. A raccogliere il tutto è il Cronista che, assetato di conoscenza e sapere, non vede l’ora di poter raccogliere Le cronache della leggenda che è stato l’assassino del Re. Nel corso delle sue numerose pagine, osserveremo crescere Kvothe mentre sarà costretto ad affrontare diverse insidie nel corso della sua vita e noi, umilissimi spettatori, non potremo far altro che tifare per lui – o forse no? -, un bambino che sembrava avere il mondo nelle proprie mani, ma che poi, in un battito di ciglia, ha perso tutto.

Kvothe, uno dei personaggi più divisivi del fantasy contemporaneo

Devi tenere a mente che, prima di ogni altra cosa, io ero uno degli Edema Ruh. Contrariamente alla credenza popolare, non tutti gli artisti girovaghi fanno parte dei Ruh. La mia compagnia non era solo un povero gruppo di mimi, che si esibivano agli incroci per qualche soldo, che cantavano per guadagnarsi la cena. Noi eravamo artisti di corte, gli Uomini di Lord Greyfallow.

Capitolo 8. Ladri, eretici e prostitute

Kvothe è stato uno dei personaggi più divisivi che ci sia mai capitato d’incontrare nel corso della nostra carriera di lettori di narrativa fantastica. Parlando con diversi lettori di Rothfuss, e sembra che la maggior parte del pubblico sia diviso tra chi ha amato Kvothe senza remore e chi, invece, lo ha profondamente odiato (ed è difficile a dar loro torto). E poi c’è chi, come parte di noi di Pop-Eye, ha amato e odiato Kvothe a pari merito.

Forse il modo più semplice per chiarire il dualismo emotivo creato da questo personaggio è spiegare di quanto, all’inizio, un bambino di appena nove anni che sembrava esser capace di qualunque cosa in cui si applicasse, sia apparso all’occhio di molti lettori estremamente irrealistico. Perché il piccolo Kvothe, affiancato dal suo primo maestro, sembra inizialmente apprendere a una velocità anomala, sembra che il suo sguardo rivolto al mondo non sia, appunto, quello di un bambino, ma di un adulto racchiuso nel corpo di un’infante. Lo si vedeva privo di difetti, circondato dalla sua arroganza e dalla più profonda saccenza. Per poi, rendersi conto di una cosa.

Ovvero che quella stessa arroganza è il più grande difetto di Kvothe. Quell’arroganza che spesso gli è costata cara, nel corso della sua vita da bambino prima – portandolo a essere un giovane solitario con difficoltà a socializzare con i suoi coetanei – e nel corso della sua carriera accademica poi, dove si inimicherà non pochi individui di spicco all’interno dell’Accademia.

Quella sfrontata prepotenza altro non è che una maschera, o meglio, uno scudo contro tutte quelle persone dal quale si sente minacciato, reduce da diversi traumi che (purtroppo) non possiamo di certo star qui a raccontarvi. In più, ci si rende conto nel corso della lettura che con personaggi come Wil, Sim, Denna, tende ad avere un comportamento del tutto opposto, a momenti facendo scorgere un leggere velo di timidezza. Con Auri, invece, vediamo un Kvothe protettivo e gentile. Di questi personaggi secondari, comunque, parleremo poco più avanti.

Kvothe bambino. Dipinti originali di Sam Weber creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss

Kvothe è un ragazzo intraprendente, affamato di sapere e conoscenza, perfettamente cosciente delle sue abnormi abilità e consapevole delle armi a sua disposizione, come le sue capacità attoriali, il saper mentire con scioltezza e saper, incredibilmente, schivare qualsiasi ostacolo che cerca di pararsi sul suo cammino. Insomma, Kvothe sembra, anzi è, uno di quei personaggi difficilmente avvicinabili proprio perché straordinariamente eclettico. Chiariamoci, nella realtà esistono persone come Kvothe: rientra nella sfera del plausibile, quindi è accettabile, ma comunque criticabile.

La mancata occasione di personaggi secondari carismatici

Ecco cosa accadde quando Denna mi sorrise. Non voglio insinuare che mi sentissi come se il ghiaccio si stesse sgretolando sotto di me. No. Mi sentivo come il ghiaccio stesso, improvvisamente infranto, con crepe a forma di spirale che partivano dal punto in cui lei aveva toccato il mio petto.

Capitolo 58. Nomi per iniziare

Avrete tutti ormai ben compreso quanto sia curioso il protagonista di questo romanzo, ma secondo noi Il nome del vento si trascina dietro, per tutta l’opera, un difetto (quello più grande): Kvothe stesso, o meglio, quello che ci piace definire il Kvothecentrismo.

Questo è un termine che può far sorridere, ma allo stesso tempo riflettere. La narrazione è talmente incentrata su Kvothe e sulle sue capacità, che tutto l’insieme di personaggi secondari non viene mai sfruttato, se non per mettere in evidenza le sue inconsuete abilità e la sua intelligenza. E vogliamo specificarlo per non lasciar spazio a dubbi: di personaggi secondari con enormi potenzialità, Il nome del vento è pieno.

Elodin e Kvothe. Dipinti originali di Daniel Dos Santos creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss

A partire dal singolare Magister Onomante Elodin, con il suo indimenticabile “Passo. Passo. Passo. Sciiiiiiiivolata.” e la sua capacità di chiamare le cose con il loro nome. Ma non solo, abbiamo i due migliori amici: Simmon e Wilem, che sembrano essere gli unici con il quale Kvothe riesce ad avere un rapporto privo di difese, con il quale si confida e per i quali prova un indiscutibile affetto. E poi, Denna.

Denna, insieme agli altri personaggi femminili, è uno dei più grandi rimpianti di questo romanzo. Lei è fondamentalmente il fulcro delle attenzioni amorose del giovane Kvothe, ma di donne con del potenziale in questo romanzo purtroppo ce ne sono poche: a partire da Devi, ex membro dell’Accademia, cambiavalute e usuraia che per stipulare un prestito non chiede una firma, ma alcune gocce di sangue. Oppure Auri, ex studentessa dell’Accademia impazzita a causa dell’uso della Simpatia, che altro non è che la magia (una delle due) utilizzata nel romanzo, di cui abbiamo già parlato nel nostro precedente articolo, dove – tra le altre cose – approfondiamo l’ambientazione del romanzo.

Ad ogni modo, Denna è il personaggio femminile più importante che, di fronte a Kvothe, perde comunque tantissimo. Viene descritta come una ragazza alla quale la vita non offre altro che difficoltà: senza una fissa dimora, cerca di vivere dignitosamente grazie alla sua voce e al suo fascino indiscusso, cercando uomini facoltosi che le facciano da mecenati. A momenti risulta facile trovare il suo personaggio davvero stucchevole e forzato, e magari non vedere l’ora che si tolga di torno.

Purtroppo, Denna e tutti gli altri personaggi secondari di questo romanzo non avranno mai una vera e propria voce in capitolo; serviranno da contorno per mettere in mostra le abilità e il carattere di Kvothe e per far procedere la trama. In più, se mettiamo a paragone numericamente la presenza di personaggi maschili e femminili carismatici, queste ultime segnano un punteggio decisamente basso nella classifica. Qualcuno può per favore dire a Patrick Rothfuss che le donne esistono e non hanno sempre un ruolo così marginale nelle opere fantastiche?

Un enorme peccato, a nostro parere, viste le enormi capacità di Patrick Rothfuss. Non escludiamo e speriamo, nelle prossime opere, di rilevare un cambiamento in positivo sotto questo aspetto dei personaggi secondari, e magari trovare qualche personaggio femminile in più.

Denna. Dipinti originali di Daniel Dos Santos creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss

Conoscenza, soldi e musica

Kvothe. Dipinti originali di Daniel Dos Santos creati per l’edizione del 10° anniversario di The Name of the Wind, di Patrick Rothfuss

Questi tre elementi sono i temi che reputiamo il perno di quest’opera. Tre parti fondamentali della storia di Kvothe. La prima di cui vogliamo parlarvi è la conoscenza che, come detto in precedenza, altro non è che la fonte vitale di cui si nutre il nostro protagonista. Fin da bambino, Kvothe è affamato di sapere e, quando si pone dinanzi a lui la possibilità di frequentare l’Accademia e di metter mano all’incalcolabile numero di volumi presenti nell’Archivio, l’attrattiva è decisamente troppo forte per il giovane, che cerca non solo risposte, ma anche vendetta.

La conoscenza è potere: questa è una cosa che Rothfuss mette bene in chiaro nel corso della narrazione. In fondo, la magia dell’Onomanzia si basa sulla conoscenza del nome delle cose. Ma questa non è la sola a decretare il destino della vita umana, no: c’è anche il denaro. Quest’ultimo è un tema molto importante, mai ai margini della narrazione poiché la povertà e la mancanza di denaro, in Kvothe, sono sempre inesorabilmente presenti.

La critica alla stratificazione sociale basata sul prestigio è ovunque, in questo primo romanzo: a partire da Tarbean, dove Kvothe passa gli anni più bui della sua infanzia, per poi arrivare all’Accademia, dove per poter accedere – e rimanerci – si chiede un notevole pegno in denaro. E sarà a causa – o meglio, grazie a – della mancanza di denaro che Kvothe riscoprirà un elemento fondamentale che aveva rimosso dalla sua vita, dopo un enorme trauma: la musica. Perché è per la mancanza di fondi e per disperazione che il giovane prenderà nuovamente tra le mani un liuto, e incanterà le masse con la sua capacità senza precedenti.

Poi sentii qualcosa rompersi dentro di me e la musica cominciò a riversarsi nella quiete. Le mie dita danzavano; intricate e veloci filavano qualcosa di sottile e tremulo nel cerchio di luce del nostro fuoco. La musica si muoveva come una ragnatela mossa da una brezza gentile, cambiava come una foglia che rotea mentre cade a terra, e aveva in sé tre anni al Porto a Tarbean, con un vuoto dentro e le mani che dolevano per il freddo pungente.

Capitolo 34. Ancora da imparare.

Abbiamo colto fin da subito la musicalità nello stile di Patrick Rothfuss e abbiamo messo all’istante in evidenza la sua prodigiosa capacità di rendere vive le parole, e questa sagacia la si ritrova con ancora più vigore nelle scene in cui Kvothe suona il liuto. Queste parti del romanzo sono anche le più sbalorditive, e non ci sarebbe da sorprendervi se, nel corso della lettura del brano sopra citato, una lacrima – forse più d’una – bagnasse la pagina. La potenza emotiva che scaturisce da questi frammenti di testo è a dir poco esplosiva, la stessa forza che spesso si sente mancare nel corso del resto dell’opera, quando Kvothe ci sembrava emotivamente inarrivabile a causa del suo carattere. La musica, nella vita del giovane protagonista, è come respirare, lo dice lui stesso.

Cresciuto e vissuto in mezzo alla musica, con un liuto in mano, nel presente troviamo un Kvothe che è padrone di un silenzio, e non uno qualunque, ma quello più grande di tutti. La domanda sorge spontanea: perché? Perché Kvothe ha smesso di suonare, perché quel giovane che desiderava ardentemente conoscere il nome del vento ora attende la morte, in silenzio? Questa è una delle tantissime domande che rimangono alla fine di questa lettura, con i suoi pregi e con i suoi (imperdonabili) difetti, ma pur sempre unica e indimenticabile. Speriamo di poter ricevere delle risposte, nella consapevolezza che questo primo volume non è stato altro che l’impercettibile e meravigliosa introduzione di una storia decisamente molto, molto più vasta.

RF