Freaks Out: la guerra tra revisionismo e metafora
Il sodalizio tra linguaggio artistico e storia non è certo un’invenzione del nuovo millennio. Dalla pittura alla musica, passando per la letteratura e il cinema, ogni forma d’arte ha scomodato la storia dalle trame del passato e le ha dato una nuova forma. L’arte però, a differenza della cronaca, ha dalla sua un vantaggio enorme, rappresentato dal Revisionismo Storico, che dona all’autore una libertà pressoché illimitata e relega lo storico nella gabbia angusta della verità.
In linea generale, per Revisionismo Storico si intende la rivalutazione di avvenimenti passati sulla base di nuove conoscenze e, sebbene tale espressione abbia una vita relativamente giovane, l’argomento è motivo di discussione fin dalla notte dei tempi. In epoca Classica, ad esempio, c’era una netta distinzione tra gli Annales che erano registrazioni cronologiche e l’Historiae che, invece, era ricerca e interpretazione storiografica.
Quando invece applichiamo il revisionismo al linguaggio artistico, la “rivalutazione” abbandona il sentiero dell’oggettività per sposare quello della pura soggettività. Restringiamo però il campo e prendiamo in considerazione la letteratura e il cinema. Quello che noteremo è come entrambi i linguaggi abbiano declinato la pratica del revisionismo in tre macro-categorie. Pensiamo al genere Fantasy e a quello distopico e come riescano a creare veri e propri mondi complessi e strutturati che, nella mente del lettore o dello spettatore, convivono nella stessa galassia in perfetta armonia.
Un altro esempio proviene dal genere ucronico, che prende la storia e la stravolge sulla base di dati e avvenimenti non realistici. State pensando alla scarica di proiettili su Hitler e alla grigliata di gerarchi in Bastardi senza gloria? Risposta esatta! L’esempio, naturalmente, non è casuale perché è stato proprio Quentin Tarantino a sostenere che il cineasta ha il dovere di cambiare la storia per restituire giustizia e dignità alle vittime del passato. Ed è proprio di guerra che parleremo all’interno di questo articolo, e di come la settima arte ci ha raccontato le sue brutture.
Il sopracitato Bastardi senza gloria apre quella che viene definita la “trilogia del revisionismo” di Tarantino che prosegue con “Django Unchained” e “C’era una volta a…Hollywood“. Tra pittoresche sparatorie, droghe pesanti e tutte le sue cifre stilistiche chiamate in trincea, il regista libera schiavi ed evita stragi di cronaca, cambiando non solo le sorti della storia scritta ma portando se stesso in quella del cinema mondiale.
C’è però un altro regista che ha deciso di prendere gli orrori della seconda guerra mondiale e di trasportarli in un altrove che si dondola tra storia e magia. Sì, esatto, stiamo parlando di Gabriele Mainetti e del suo Circo Mezzapiotta.
Un circo nel circo (e un altro, e un altro ancora)
Eccolo qui il nostro Israel, interpretato da Giorgio Tirabassi, che ci conduce nelle meraviglie del circo Mezzapiotta. Il primo a fare il suo ingresso è Cencio (Pietro Castellitto), un ragazzo albino che incanta al suo cospetto ogni sorta di insetto, fatta eccezione per le api.
Poi è la volta del nano dalla pancia magnetica e dell’uomo lupo che piega i fucili perché non sparino e ha sempre un libro tra le mani. Ed infine c’è lei, la bambina elettrica che accende le lampadine con la bocca e che non può essere toccata.
Sono dei freak, dei disadattati, e il circo non è solo la loro professione ma è l’unica realtà alla quale sentono di appartenere e senza la quale sarebbero solo dei mostri. C’è un secondo tendone, sotto il cielo di una Roma sgarrupata e divelta, ed è quello del Zirkus Berlin guidato dal terribile Herr Franz (Franz Rogowski). Tra luci scintillanti e ballerine in abiti succinti, Franz chiama al suo cospetto ogni “creatura atipica” con lo scopo di creare una sorta di esercito da portare al cospetto di Hitler ed entrare nelle sue grazie.
La narrazione si sposta continuamente tra questi due tendoni fisici per poi squarciarli e far entrare la storia della guerra e della sua atrocità. Questa sorta di danza porta lo spettatore a perlustrare ogni livello della storia e a trovarsi di fronte al circo privato della disperazione di ogni personaggio e anche immerso nel circo del terrore che ruota intorno alla guerra, con la sua crudeltà e la sua follia.
[DISCLAIMER: seguono spoiler su Freaks Out]
Adottare soluzioni freak(s) per sopravvivere (semi cit.)
La scomparsa di Israel, deportato perché ebreo, fa emergere tutti i problemi personali all’interno del gruppo, alterando quell’equilibrio che aveva il profumo di famiglia. La compagine maschile capitanata da Fulvio (uomo lupo) decide di arruolarsi nel circo di Franz e di rifugiarsi nella sicurezza di un altro tendone, mentre Matilde (la ragazzina elettrica) decide di fare come Jack Frusciante e di uscire dal gruppo per mettersi alla ricerca di Israel.
Questo cambiamento porta in dono l’arrivo di un ulteriore piano narrativo. Vedremo, infatti, l’arrivo dei nostri baldi eroi nel nuovo circo con un lusso che appare in completa contraddizione con il freddo e il buio vissuti da Matilde, alle prese con la sua totale solitudine. Sarà proprio la bambina elettrica a farci conoscere un altro circo: quello dei Diavoli storpi, un manipolo di partigiani monchi e disperati che continua a vivere solo per vendicarsi e fare giustizia. L’arrivo dei Diavoli dunque, guidato dal Gobbo, non rappresenta solo un’aggiunta all’interno del cast ma porta con sé l’inizio del cambiamento di Matilde che, da semplice circense, diventa protagonista dell’intera storia.
Le soluzioni scelte da Mainetti per Freaks Out non rifanno il verso a quelle utilizzate nel cinema americano: rimangono fedeli ai colori dei personaggi descritti e si fondono perfettamente nelle linee della storia. Non vediamo Cencio afferrare una pistola e fare strage di Nazisti, ma intento a soffiare insetti sui visi dei suoi nemici per creare un diversivo e permettere ai suoi compari di fare il proprio numero.
Questa coerenza così armoniosa non coinvolge solo i freaks del circo Mezzapiotta ma si estende a tutta la platea dei personaggi e l’equilibrio che ne deriva dona all’intera opera una coralità non scontata, che salta all’occhio quando si prendono in considerazione il minutaggio corposo del film e un cast molto nutrito.
Revisionismo o metafora?
Nel corso del film si assiste al continuo intreccio tra il percorso intimo di ogni personaggio e le coordinate della storia originale. Sebbene il film riesca bene nel far procedere questa danza senza troppi scossoni, viene quasi naturale chiedersi dove effettivamente storia universale e storia privata si dividano e quando la seconda diventi protagonista. La risposta, come spesso accade, risiede nell’occhio di chi guarda.
È vero che le caratteristiche fisiche dei personaggi possono rappresentare un elemento straniante – ne abbiamo parlato qui – ai fini della comprensione dell’opera, ma è altrettanto vero che un occhio attento può facilmente cogliere la metafora che si cela tra le trame del film e “sfruttare” le immagini per ricordare uno dei capitoli più tristi dell’umanità.
Special guest: Roma
La romanità, per Mainetti, è una faccenda seria. Lo ha fatto ampiamente capire in Lo chiamavano Jeeg Robot d’acciaio e in Freaks Out diventa una vera protagonista.
La straordinaria musicalità dell’inflessione romana, e i suoi incredibili tempi comici, non sono solo elementi caratterizzanti dei personaggi e di tutto il comparto dei dialoghi ma tracciano una linea di demarcazione netta tra Freaks Out e tutta la produzione cinematografica del genere.
Sarebbe infatti troppo facile, e forse addirittura ingiusto, andare a cercare affinità e divergenze con i film di Tarantino o magari andare a scomodare pure Spielberg e la sua particolare predilezione per lo straordinario che entra nell’ordinario. La romanità che emerge da Freaks Out è bella e permette al film di non rimanere intrappolato in una sola categoria.
Quindi si, Freaks Out è un film che parla di guerra, di improbabili circensi che diventano eroi e, sì, è anche un film ucronico nel quale viene stravolta la storia sulla base di eventi discutibili. Lo dobbiamo proprio dire? È anche un film pieno di rimandi a quei signori che abbiamo citato qui sopra.
Freaks Out, però, è anche una storia che parla di accettazione e di maledizioni che diventano doni e, in un presente come questo, che fa abbastanza schifo, è bello poter ricordare che amare se stessi è una vera rivoluzione e sperare che, magari, un giorno possa cambiare anche il mondo.
SL