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Il concetto del doppio: se guardo nello specchio, chi vedo?

Il concetto del doppio, nelle sue molteplici versioni, ha radici antichissime e ha affascinato nei secoli l’occhio dello spettatore. Il tema del sosia (e quindi del doppio e dello specchio), così come quello dell’ombra, che materializza i la proiezione del doppio fuori dal corpo, costituiscono dei topoi ricorrenti in letteratura e nel cinema (ne abbiamo parlato qui). Ancor prima nel teatro.

Nel trattarlo, non ci si sofferma sull’aspetto psicologico, che potrebbe interessare chi si occupa di medicina o di antropologia, ma al significato profondo, a livello esistenziale, che emerge quando un personaggio o una storia ruotano attorno a una simile situazione psicologica.

La riproduzione vietata – Magritte

Ricordate la piccola Lindsay Lohan in Genitori in trappola? Un’adorabile ragazzina sdoppiata in due gemelle diversissime tra loro ma identiche. O, ancora, che dire dell’opera di Mark Tawain Il principe e il povero? Che dire di Dorian Gray e del suo ritratto particolare? E ci sarebbero altri esempi del genere, sfilacciati in ogni significato più recondito.

Pensandoci, l’essere umano guarda il proprio doppio allo specchio tutte le mattine: inquietante, no?

Plauto ed Euripide: i pater familias

La genesi del concetto del doppio è da ricercare nelle rappresentazioni teatrali antiche. A tal proposito occorre parlare di colui che ha inaugurato questo topos: Tito Maccio Plauto, il miglior regista dell’antichità.

I Menecmi di Plauto

Il commediografo latino è stato uno dei primi a utilizzare due coppie di gemelli e a sviluppare una trama basata sull’equivoco e sugli scambi di identità. Scopo di questi intrecci era strappare più di una risata al pubblico. Le commedie nelle quali tratta questo argomento sono l’Anfitrione e i Menecmi.

Nella prima, per la prima volta, un personaggio incontra il suo doppio. Si scatenano, come è prevedibile, una serie di vicende ingarbugliate, nelle quali si arriva a non capire più chi sia l’uno e chi sia l’altro. Probabilmente Plauto non immaginava di aver creato uno dei temi più riutilizzati della storia o che il nome del suo personaggio, Sosia, sarebbe stato riproposto, assumendo il significato di “persona straordinariamente somigliante ad un’altra”.

L’altra grande commedia, “I Menecmi” esplora il concetto del doppio ricorrendo all’espediente dei gemelli. I due gemelli, Menecmo I e Menecmo II, che vengono scambiati l’uno per l’altro creando fraintendimenti al limite del comico.
Entrambe le opere teatrali si concludono con un lieto fine nel quale i dubbi vengono sciolti e avviene il riconoscimento dei simillimi (sosia). Inutile dire che la tematica verrà ripresa nel corso dei secoli.

Ancor prima di Plauto, occorre citare Euripide: nel 412 a.C. va in scena l’Elena, nella quale il concetto del doppio ha risvolti particolari. Presenta Elena non come seduttrice adultera, ma fedele. Elena non è né colpevole né vittima degli dei: in quest’opera non è mai andata a Troia, rimane infatti in Egitto mantenendosi fedele a Menelao.

Il doppio è rappresentato dalla conflittualità interna di Elena, aspetto su cui Euripide pone l’accento. Oltre all’analisi delle conseguenze fisiche del doppio vi è un’attenzione per quelle morali. Infatti l’attenzione, più che su Elena e il suo fantasma (generante la guerra di Troia), è soprattutto sulla dislocazione interna del personaggio; tematica che, curiosamente, anticipa di secoli il cinema contemporaneo.

Il Doppelgänger o “doppio viandante”

Nella tradizione europea, la figura del doppio nasce dal teatro del folklore germanico. Doppelgänger, letteralmente, significa “doppio che cammina”, “doppio viandante”. Esso è legato alla credenza secondo cui ogni uomo avrebbe una copia esatta di se stesso alla quale è collegato. Il sosia di solito è invisibile e vederlo porta con sé presagio di morte se visto dalla stessa persona, mentre da amici e parenti porterebbe malattia.

Il Doppelgänger, dunque, è identico a noi per fisionomia ma ha una natura antitetica alla nostra; rappresenterebbe la parte più oscura, l’altra metà della mela (quella marcia, per intenderci). Il nostro doppio è quella parte di noi stessi che non vorremmo mai essere, eppure c’è. Una sorta di compagno invisibile, rappresenta ciò che non abbiamo il coraggio di essere perché sbagliato, quei comportamenti incresciosi e contro natura. Queste due metà sono in continuo conflitto, con il rischio di perdere la propria identità.

Nella produzione letteraria- cinematografica questo concetto è stato ripreso in più significati, come degenerazione del male sempre in antagonismo con il protagonista. Gli esiti di questo contrasto sono da posizionarsi in due poli: il conflitto delle due parti non si risolve e una metà distrugge l’altra, oppure vi è una riconciliazione che può avvenire in vari modi.

Caso 1: lo studente di Praga (1913)

Una scena del film

Lo “Studente di Praga” (1913) è un capolavoro del cinema muto tedesco, di Stellan Rye, con la sceneggiatura di Hanns Heiz Ewers. Il copione presenta diverse ascendenze letterarie: si ispira al racconto di Adalbert von Chamisso, il Peter Schlemihl (1814), nel quale un giovane vende la sua ombra, e alle “Avventure della notte di San Sivestro (1814-1815), in cui E.T.A. Hoffmann fa viaggiare l’eroe di Chamisso con il suo Erasmus Spilcher, ovvero il suo doppio speculare. C’è anche un evidente riferimento al “Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.

L’ intero film rispecchia la tematica romantica del Doppelgänger: il protagonista (lo studente Baldovino) stringe un patto con il diavolo e gli vende la propria immagine riflessa nello specchio, in cambio di un indigente patrimonio. Nel corso della storia questa immagine gli apparirà di fronte, con sembianze identiche ma autonoma e con iniziative personali, ostacolandolo sempre e ovunque. Il Doppio si contrappone all’Io, lo perseguita, generando una vera e propria angoscia e portando Balduino alla follia, realizzata nell’ultimo atto: quello in cui sparerà alla figura, rendendosi conto di aver ucciso se stesso.

Caso 2: il Fight Club

Trasferiamoci alle soglie degli anni Novanta (precisamente nel 1999): nelle sale esce Fight Club, basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk del 1996. La regia è di David Fincher e vanta la partecipazione di un giovane Brad Pitt (sì, nel periodo Jennifer Aniston), Helena Bonham Carter ed Edward Norton. Nel film si assiste a un rovesciamento del concetto del doppio.

Il protagonista senza nome (Edward Norton) incarna lo stereotipo dell’impiegato moderno, schiacciato dalla società moderna, dal consumismo fine a se stesso, in preda a nevrosi e insonnia tipici dell’uomo contemporaneo. Durante un viaggio di lavoro conosce un venditore di saponette, Tyler (Brad Pitt). Dopo uno scontro iniziale, ha inizio il Fight Club, un’organizzazione clandestina di combattimenti per individui affranti dalla loro esistenza.

Questa iniziativa dilaga a macchia d’olio in tutti i bassifondi d’America e porta in sé un semplice scopo: quello di minare l’ordine sociale e rovesciarlo. Il leader indiscusso è Tyler, il quale indottrina i suoi adepti al combattimento, visto come un atto di rivolta verso la società, verso il consumismo e la legge dell’apparire al posto dell’essere.

Una scena di Fight Club

Il film è disseminato da indizi che conducono inevitabilmente a una tragica consapevolezza: il personaggio si rende conto che Tyler è il suo alter-ego, frutto delle sue psicosi e della sua insonnia. Viene spiegato anche il suo eccessivo attaccamento al combattimento: egli ha trovato nel dolore fisico il modo per sconfiggere il malessere mentale che lo attanagliava. Ciò lo ha portato ad assaporare la libertà auspicata.

Sono la totale mancanza di sorpresa di Jack; sono la vendetta sghignazzante di Jack; sono la vita sprecata di Tyler.

Fight Club

Ma Tyler rappresenta soprattutto il desiderio di essere altro: l’impiegato all’inizio è convinto di relazionarsi con un’altra persona che, a differenza sua, ha il coraggio e la capacità di lottare contro il sistema. Preso atto che si tratta, in realtà, del suo doppio si rende conto di dover mettere fine a tutto questo. Deve lottare un’ultima volta con se stesso e metterlo a tacere per sempre: iconica la scena in cui Tyler preme il grilletto e si spara, non prima di aver salvato la sua parte migliore, ovvero quella nella qualche si era sempre identificato fin dall’inizio.

Caso 3: il “Visconte dimezzato” e un doppio ricucito

Fino ad ora si è parlato di casi in cui un doppio prevale sull’altro, causando il tragico epilogo. Ma vi sono delle situazioni nel quale si auspica ad una unione delle parti e, quindi, all’unità dell’intero. È il caso del Visconte dimezzato (1951), celebre romanzo di Italo Calvino.

Medardo, protagonista del romanzo

Tra ambientazioni medievali e sviluppo fantastico della trama, Calvino riflette sul dimidiamento della personalità, dell’essere. Medardo e la sua metà malvagia, detto il Gramo, si rincorrono in una scia di eventi paradossali e scambio delle personalità, sino a scegliere di ricongiungersi. In questo caso Calvino parla della possibilità di abbattere tutti i dimezzamenti dell’animo umano, e identifica l’unità come fine ultimo verso cui tendere.

Qualche parola finale

Il concetto del doppio è una condizione che parte dalla realtà: in particolar modo, l’uomo contemporaneo si trova a vivere in un’epoca in cui rimanere integri è una sfida. Dissemina versioni del sé, alter ego, in giro: che sia su una piattaforma tramite account social, oppure in contesti reali nei quali può “giocare” con le mille sfaccettature della personalità.

Tuttavia, quello che c’è allo specchio non cambia. E, forse, è questo il motivo del dimidiamento, del continuo modellare, tagliare e ricucire ogni volta un costume diverso. Un’identità diversa. È l’insoddisfazione che parte da una base storica: rispettare certi modelli significa scindersi e creare una versione che è socialmente accettabile. Nel privato, però, l’individuo incontra le varie versioni di se stesso e arriva a non comprendere dove finisca la recita. Forse, è per questo che ha deciso di trasportare tale malessere nella produzione artistica: per trovare delle risposte e per capire chi è il doppione di chi; e chi è, dopotutto, l’originale.

AS