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copertina Hellboy

Perché il reboot di Hellboy è un pessimo adattamento

Nessuno sentiva il bisogno di un reboot di Hellboy al cinema; quello che quasi tutti chiedevano era l’ultimo film che concludesse la trilogia realizzata da Guillermo Del Toro. Purtroppo però le trattative per il terzo film sono fallite e Mike Mignola insieme ad Andrew Cosby (alla sceneggiatura) e Neil Marshall (alla regia), ne hanno approfittato per realizzare questo reboot che doveva dare nuova linfa vitale al personaggio, sul piano cinematografico, e una maggiore fedeltà al fumetto, visto che Del Toro aveva dato la sua visione dell’opera e aveva messo in scena una trama totalmente inedita.
In questo articolo non verranno fatti paragoni con i due film di
Del Toro, poiché la presenza di una forte visione autoriale in questi ultimi renderebbe il confronto ingenuo e velleitario.
 
In cosa fallisce dunque questo nuovo Hellboy? Innanzitutto nella maggior fedeltà al fumetto tanto ribadita più e più volte. È vero che ci sono molti rimandi all’opera originale ma il film sembra essere un minestrone di citazioni, ovvero un’accozzaglia di eventi sparsi qui e là e raramente collegati tra loro tramite un filo logico. Già l’intervista fatta a Mignola poco prima dell’uscita del film recava con sé il seme del dubbio: Mignola diceva di aver inserito alcuni elementi di determinati volumi, per la precisione: “Hellboy in Messico”, “Hellboy il Seme della Distruzione” e “Hellboy la Caccia Selvaggia”, contenenti eventi molto distanti e diversi tra loro. Purtroppo la visione del film ha confermato subito l’idea della mancanza di un impasto narrativo coeso. L’impressione che è restituita allo spettatore è quella di un film in cui si sono volute inserire più cose possibili per paura di non vedere mai la realizzazione di uno o più sequel, timore che ad oggi si è rivelato fondato dato il flop di incassi.
 
Uno dei punti fondamentali del fumetto di Hellboy sono le atmosfere. Mignola, anche omettendo qualsiasi dialogo, riesce a comunicare e a trasmettere emozioni solamente con le ambientazioni e le atmosfere dark, folkloristiche e anche fantasy/paranormali. Tutto ciò nel film manca, probabilmente perché era stato prefissato di realizzare un B-movie che assomigliasse il più possibile agli ormai standardizzati cinecomic supereroistici. E già questo è un fallimento di per sé perchè Hellboy non è un supereroe; la contraddizione di fondo tra forma e sostanza non viene mai superata.
Parlando invece del cast il problema non sono il colore della pelle di Lady Hatton e di Alice Monaghan, o Hellboy con i capelli lunghi e una nuova attaccatura, ma la caratterizzazione dei personaggi.
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Abbiamo un Trevor Bruttenholm, interpretato da Ian McShane, che non ha nulla in comune con il professore e “papà” di Hellboy. Non sembra essere una persona colta, che ha dedicato la sua intera vita per studiare e affrontare il paranormale; inoltre si comporta da cinico senza alcun motivo, stravolgendo totalmente il personaggio, e ha anche zero intesa con l’Hellboy interpretato da David Harbour, quasi come se i due non avessero un legame affettivo. Il rapporto tra padre e figlio è stato completamente cannato e tutto ciò non è giustificabile nemmeno dal fatto che Trevor è ancora in vita. Nei fumetti la sua dipartita avviene fin da subito e non si ha modo di vedere approfondito il rapporto tra Hellboy e suo padre. Mignola però ce lo mostra tramite dei volumi ambientati durante l’infanzia di Hellboy dimostrandoci quanto Trevor in giovane età tenesse molto al nostro protagonista, considerandolo come un figlio e soprattutto non ritenendolo un mostro. Questi elementi sono stati trasposti anche nel film ma il professore dà l’impressione di essere davvero distaccato, facendo salire il dubbio che lo voglia utilizzare come arma.
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Hellboy, interpretato da David Harbour, dà l’impressione di essere un adolescente capriccioso che deve trovare il suo posto nel mondo. Va detto che ciò non ha nulla a che vedere con l’interpretazione di Harbour – che anzi cerca di dare del suo meglio – ma con i problemi di scrittura accennati poc’anzi: va sottolineata nuovamente la questione della fedeltà al fumetto, ma di fedele al fumetto questo Hellboy non ha nulla, né l’estetica né la caratterizzazione. Sembra che lo abbiano rimbambito e gli abbiano tolto tutta la serietà e le battute ironiche – usate per sdrammatizzare le situazioni cupe – sostituendo il tutto con delle gag che utilizzano un humor imbarazzante, il quale non riesce a strappare nemmeno un sorriso, con l’evidente intento di assomigliare ai cinecomic moderni, dove però lì molte volte funziona. In Italia, tra l’altro, si è aggiunta anche la sfortuna di avere un doppiatore con un timbro vocale non adatto al personaggio.
 

Lo stravolgimento di Alice Monaghan non riguarda il fatto che sia passata da irlandese ad afroamericana, ma che sia passata dall’essere un personaggio complesso, timido e romantico ad essere una ragazzina che spara battutine durante il film e che sembra dovesse prendere a tutti i costi il posto di Liz Sherman, non presente in questo reboot. Ovviamente non la si poteva tenere come comparsa, quindi le sono stati dati dei poteri e delle abilità utili da utilizzare in combattimento, non presenti anch’essi nel fumetto.
Riguardo a Ben Daimio, avendo già utilizzato Johann nei precedenti film di Del Toro – il quale però non si vantava di aver realizzato un film fedele al fumetto – è toccato a lui scendere in campo: l’impressione è che, per gli autori, utilizzare Alice al posto di Liz e Daimio al posto di Johann servisse solo a non fare paragoni con i film di Del Toro e non perchè la trama richiedesse quei personaggi. Nei fumetti Daimio non si è mai incontrato con Hellboy e – sempre per rimaner fedeli al materiale originale, sia chiaro… – Ben è stato addolcito di molto rispetto al fumetto. Altra cosa inspiegabile: la bestia in cui si trasforma è passata dall’essere rossa a gialla, senza alcun motivo; magari il giallo costava meno, chissà.
Baba Yaga è stata resa molto più horror di com’è nel fumetto. La scena che la riguarda è forse quella che rimane più impressa alla fine del film. Eppure c’è da sollevare un appunto critico anche su di lei, ma che riguarda tutto il film in generale, ancora una volta sulla presupposta fedeltà alla carta, più volte sottolineata come punto di partenza dell’intero progetto e di distinzione rispetto a quello autoriale di Guillermo. La scena Horror di Baba è completamente fuori contesto, Hellboy è un horror (se così lo possiamo definire) molto soft, che non ha mai scene così pesanti; stessa cosa dicasi per lo splatter presente dall’inizio alla fine del film. Sì, ogni tanto capita di trovare qualche cadavere sbudellato, ma ciò avviene molto raramente e non si tratta di elementi fondamentali, bensì ampiamente circostanziati.
 
Su Nimue non c’è molto da dire. La sua caratterizzazione non brillava già su carta, ma qui è stata resa il classico villain che non ha nulla di originale. Anche questa volta non è un problema di interpretazione ma di scrittura.

 
Un applauso va fatto invece per la caratterizzazione di Gruagach e di Lobster Johnson: tanto perfetti da infastidire il pensiero, se confrontati con gli altri.
Un ultimo punto dolente da toccare è la CGI. La scena di combattimento con i giganti ha una fisica totalmente irrealistica, probabilmente anche a causa del basso budget produttivo; inoltre, è da rilevare anche la creazione di creature totalmente inedite – nonostante vi fossero centinaia di mostri da cui attingere rispettando il materiale originale – le quali sbudellano dei malcapitati cittadini al fine solo di sfoggiare una mediocre computer grafica in chiave splatter.
Anche loro si sono rivelate inutili ai fini della trama non venendo nemmeno sconfitte in combattimento, ma risucchiate come se nulla fosse accaduto. Menzione d’onore per il corpo ectoplasmatico del professore, dove si nota palesemente il distacco tra la faccia dell’attore Ian McShane e il resto in CGI.
 
Cosa rimane dunque di questo film? Rimorso, per un film che poteva sorprendere tutti e invece lascia un sapore amaro in bocca. Si spera che dopo quest’esperienza Mignola e Cosby tornino ad occuparsi di fumetti e non di cinema, ambito in cui si sono rivelati decisamente più rilevanti e seminali.
CM