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Allah 99: l’altra faccia della guerra

Allah 99 è il titolo del libro di Hassan Blasim, pubblicato da Utopia Editore nel 2001 nella traduzione di Barbara Teresi. Hassan Blasim è un poeta, scrittore e regista iracheno, considerato uno degli scrittori viventi di lingua araba più interessanti. Oggi vive da rifugiato in Finlandia a causa delle critiche al regime Saddam contenute nei suoi film. I sui libri, tradotti in molte lingue, faticano a trovare una casa editrice araba disposta a pubblicarli a causa della censura. Utopia Editore ci regala l’opportunità di conoscere questo autore traducendo per la collana “letteraria straniera” le sue opere. Nel 2022 ha pubblicato anche Il Cristo iracheno.

Hassan Blasim

Ho pensato di creare il blog Allah 99 quando mi è presa la paura di non essere più in grado di scrivere. Non che mi preoccupassi di perdere notorietà o denaro. Sono uno scrittore sconosciuto, vivo da rifugiato in Finlandia e non c’è una sola casa editrice araba che sia stata disposta a pubblicare i miei racconti e le mie poesie. Dicono che la mia lingua sia sporca, priva di bellezza, e che offenda i sacrosanti valori religiosi.

Allah 99, pag. 7

Storie accomunate da un trauma

Il narratore del romanzo è l’alter ego di Blasim: Hassan Gufo. Il libro si sviluppa su tre piani narrativi: quello delle interviste alle vittime di conflitti e dittature raccolte per il blog Allah 99, quello delle email della sua mentore Alia, e quello autobiografico.

Un giorno è venuto a trovarmi in laboratorio un maestro. Sua moglie era rimasta uccisa in seguito all’esplosione di un’autobomba nel parcheggio della banca in cui lavorava. La donna aveva la faccia sfigurata e lui mi ha chiesto di creare una maschera che riproducesse i suoi lineamenti basandomi su una fotografia.

Allah 99, pag. 51

L’autore si muove tra fiction e autobiografia, rendendone i confini talmente labili che è difficile capire dove inizia uno e finisce l’altro. Il narratore Hassan Gufo ha molto in comune con chi scrive il libro. Anche lui, come l’autore, vive in Finlandia dopo essere fuggito dall’Iraq, scrive ma non trova una casa editrice araba che pubblichi i sui lavori, raccoglie interviste per il suo blog e vive una vita dissoluta tra alcol, techno e sesso occasionale.
La sua amica Alia lo aiuta a ricordare il motivo per cui ama la letteratura e la scrittura, e lo supporta quando la motivazione si perde tra un ricordo doloroso e l’altro.

Amnesty International per i crimini di guerra in Iraq

Le interviste riportate assumono la forma di racconti brevi. Attraverso queste interviste conosciamo diversi aspetti della realtà di chi vive sotto dittatura. C’è chi decide di lasciare il paese e di cercare una vita degna di essere definita tale, come la dottoressa Dj, che dopo la morte del suo compagno decide di reinventarsi a Berlino seguendo la sua passione per la musica techno. Chi decide di restare e di alleviare il dolore degli altri, come quell’uomo che ha iniziato a creare maschere per i volti dei morti sfigurati dalle esplosioni terroristiche. Perché se è doloroso piangere la morte di un proprio caro, lo è ancora di più quando il volto su cui ci si china a dare l’ultimo saluto porta i segni dell’orrore umano. Chi scappa attraverso i canali dell’immigrazione clandestina mettendo la propria vita in mani ai trafficanti, e racconta la propria odissea fatta di violenze e di sacrifici prima di raggiungere il paese a cui aggrapparsi per continuare a vivere. Poi c’è chi come Abdallah incanala la propria rabbia verso l’estremismo religioso, e sulla strada affollata di ragazzini che porta all’ingresso di un concerto preme sull’acceleratore dell’auto, finendo la sua corsa contro un muro.

Sono tante e diverse le storie a cui dà voce l’autore, e tutte parlano di un trauma comune: essere nati sotto un regime dittatoriale, in un posto che è teatro di guerre e di orrori da ormai molto tempo.

Ci sono nodi che non possono essere sciolti

Inizialmente è difficile capire dove l’autore vuole portarci, e forse è proprio questo uno dei motivi che tiene il lettore attaccato alle pagine. Solo alla fine viene svelato il filo rosso che lega ogni capitolo e il lettore viene travolto da un’esplosione di meraviglia. Una meraviglia amara e dolorosa, ma necessaria. Hassan Blasim non lascia spazio alla speranza, le sue parole odorano di disperazione, distruzione e delusione. Nessun balsamo è in grado di districare i nodi di una realtà disgustosa e terrificante. È un libro scritto dalla penna cinica di un uomo che usa la provocazione come sola arma contro il fanatismo e il moralismo religioso, e lascia a nudo l’essere umano vestito solo delle sue contraddizioni.

L’Occidente capitalista ha sostenuto i regimi repressivi e ha addestrato la loro polizia segreta alle più orrende forme di tortura per mettere a tacere ed eliminare tutti gli oppositori. Hanno venduto armi, sostanze chimiche e gas alle dittature di tutto il mondo. Poi i piani strategici dell’America e dei suoi alleati sono cambiati. Per esempio, hanno deciso di sbarazzarsi del nostro dittatore. Hanno generato caos per allestire il terreno fertile su cui coltivare il terrorismo islamico nel nostro paese, sotto la loro supervisione, per proteggere i loro interessi.

Allah 99, pag. 175-176

Provocare per distruggere e forse ricostruire

Il Cristo iracheno di Hassan Blasim

Il titolo stesso del libro è provocatorio: per la religione islamica Allah ha 99 nomi e l’autore, nel suo intento di smascherare le contraddizioni di una dottrina in cui non crede, li raggruppa tutti insieme uno accanto all’altro separati solo da una virgola, come se stesse descrivendo un paesaggio. Utilizzando questa tecnica di scrittura, i 99 nomi di dio vengono svuotati del loro significato e perdono unicità. L’autore dimostra la vulnerabilità di una credenza religiosa, il lettore si stanca di leggere l’elenco di nomi e aggettivi dopo le prime tre righe. Allah 99 è un libro che merita di essere letto almeno due volte, per collegare tutti gli indizi e riflettere su una realtà che sembra così distante da noi, ma invece ci riguarda da vicino.

Un consiglio d’ascolto

Sono passati vent’anni dall’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti; vent’anni da quando l’esercito americano ha preso il controllo di Baghdad mettendo la parola fine al regime di Saddam.

Amnesty International ha chiamato in causa gli Stati Uniti accusati di aver violato il diritto internazionale umanitario. Sono stati documentati attacchi indiscriminati verso i civili iracheni, torture, stupri e sparizioni forzate. Inoltre l’invasione da parte degli USA ha dato il via alla violenza settaria, forte del vuoto politico che si era creato. Dai protagonisti di Hassan Blasim si evince la rabbia di un popolo che è stato vittima del gioco spietato dei potenti, un popolo che ancora oggi paga le conseguenze di una guerra non necessaria e le paga con la propria vita.

Don’t wanna be an American idiot
Don’t want a nation under the new media
And can you hear the sound of hysteria?
The subliminal mindfuck America

Green Day, American idiot

American Idiot è uno dei pezzi che da il titolo al settimo album dei Green Day, gruppo punk statunitense. Il singolo American idiot critica il clima del terrore e di odio nel quale siamo stati catapultati subito dopo l’attaccato alle Torri Gemelle. Il gruppo si distanzia dall’americano medio che si lascia manipolare dalla propaganda messa in atto dal governo e dai media, e invita l’ascoltatore a non diventare una marionetta nelle mani di chi detiene il potere. American Idiot è un brano che resta attuale e “fastidioso” e che si accompagna bene alla lettura di Allah 99.

Copertina dell’album American idiot

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