Jorg Ancrath, ovvero vita e miracoli di un eroe antisociale
[DISCLAIMER: in quest’articolo parleremo di Jorg Ancrath, un personaggio con evidenti problemi psicologici, dedito alla violenza, che subisce e infligge torture, abusi fisici e mentali. Pertanto, ci saranno citazioni con linguaggio violento ed esplicito: se vi disturba, non proseguite oltre con la lettura]
La figura dell’eroe in letteratura è sempre stata presa in esame per un’analisi che voglia dirsi tale, e in ogni genere le caratteristiche divergono sostanzialmente. Nel corso degli anni, l’evoluzione del protagonista nel fantasy è diventata oggetto di vari studi, influendo anche sulle dinamiche evolutive di questo genere letterario.
Basti pensare a come i personaggi principali siano cambiati dall’Aragorn di Tolkien a oggi; a ciò si accompagna la ricerca degli autori, sempre più incentrata sull’indagine dell’animo umano. Contemporaneamente, siamo di fronte a una diversità dei messaggi trasmessi, sempre più profondi e rappresentativi di diverse realtà.
Se, infatti, agli albori della letteratura fantastica si può trovare un protagonista senza macchia, con obiettivi nobili e superiori, negli ultimi venti, trent’anni, le condizioni sono profondamente mutate: ha fatto il suo ingresso l’antieroe.
Questa nuova tipologia di personaggio ha sì elementi in comune con quello classico, ma differisce nella sua psicologia. Tipicamente, l’antieroe è una persona con poteri o abilità superiori agli altri, ma non ha come obiettivo principale il voler salvare il mondo: è, quindi, un eroe riluttante.
Un esempio su tutti
Prendiamo come esempio FitzChevalier di Robin Hobb: possiede l’Arte e lo Spirito, ma quello che lo muove non è semplicemente il bene del suo Paese o la ricerca della perfezione nell’uso dei suoi poteri. Se inizialmente a dargli la spinta è il debito maturato verso il Re Sagace, più avanti saranno le motivazioni personali e non il bene dei Sei Ducati, presente solo in secondo luogo e più come conseguenza diretta. Non è quest’ultimo elemento, infatti, a spingerlo all’azione, bensì la richiesta specifica di salvare qualcuno, la vendetta personale, la ricerca di un parente perduto e la consapevolezza che sia l’unico a poter fare qualcosa; Se poi il mondo beneficerà del suo agire, tanto meglio.
A un primo impatto può sembrare egoista, ma è la semplice rappresentazione di un essere umano che, dopo un’infanzia e soprattutto un’adolescenza di mancanze, soprusi e sfruttamento, è stanco e vorrebbe solo vivere in pace.
L’evoluzione del genere
Abbiamo visto, dunque, come la figura del protagonista si evolva insieme al genere e al periodo storico. Com’è normale che sia, la letteratura accompagna – o addirittura anticipa – la società a cui gli autori appartengono. Sono proprio questi ultimi, mossi da una ricerca spesso smodata di originalità, a inserire elementi sempre nuovi. Da qui discende che sia normale assistere alla nascita di sottogeneri fantasy maggiormente articolati, specchio di un discorso sempre più complesso.
Anche il genere epic, spesso considerato ormai superato, cerca di innovarsi con approfondimenti psicologici dei personaggi, worldbuilding e sistema magici ampli e variegati. Tra i sottoinsiemi troviamo il grimdark, cioè quella fetta di fantasy che rappresenta un mondo scuro e cupo, dove le persone faticano a essere buone e comprensive, perché risulterebbero le prime a essere eliminate, sfruttate o derise. Anche chi di natura sarebbe un personaggio positivo, non lo è mai del tutto: ciò comporta una maggiore caratterizzazione, e una maggiore sfaccettatura, dei ruoli destinati agli attori letterari.
Joe Abercrombie e i personaggi grigi
Pioniere del genere è Joe Abercrombie con la trilogia de La Prima Legge e i suoi protagonisti, grigissimi ma con tendenze verso ombra o luce. Pertanto, i lettori si trovano di fronte a una stratificazione immensa dell’animo umano. Il colonnello Glokta interroga con metodi cruenti, ricorrendo alla tortura e al ricatto; eppure Abercrombie ci mostra, di converso, anche un lato riflessivo e spesso impaurito del personaggio. Agli antipodi, ecco Logen Novedita: in generale positivo, pur rimanendo un guerriero che non si fa scrupoli a uccidere e a compiere stragi.
Joe Abercrombie realizza così una varietà ampia di traumi, motivazioni più o meno nobili di personaggi nati e cresciuti in un mondo fatto di guerre, intrighi, povertà, e che si evolvono in base all’ambiente che li circonda e al ruolo che ricoprono nella società di appartenenza.
Mark Lawrence e il suo Principe dei Fulmini Rovi
Un passo in avanti l’ha compiuto Mark Lawrence con la trilogia Broken Empire, composta da Prince of Thorns, King of Thorns e Emperor of Thorns, conosciuta in Italia come trilogia de L’Impero Spezzato. I titoli, purtroppo, sono stati malamente adattati dalla Newton Compton (thorns significa rovi e non fulmini): ed ecco Il Principe dei Fulmini, Il Re dei Fulmini e L’Imperatore dei Fulmini.
Protagonista di questa serie è il principe Jorg Ancrath che porterà avanti la sua missione di riunire l’Impero Spezzato mentre dovrà combattere contro il Re dei Morti e la sua schiera di cadaveri rianimati.
Prima di analizzare la figura così antieroica di Jorg, facciamo un breve excursus sulla trilogia, con alcune precisazioni. È una serie con alcuni difetti soprattutto riguardanti il worldbuilding e i personaggi secondari, prettamente funzionali alla caratterizzazione di Jorg. Infatti, alcuni elementi saranno addirittura spiegati nella trilogia successiva, con un protagonista differente (La Guerra della Regina Rossa, a livello temporale contemporanea con quella de L’Impero Spezzato).
Inoltre, per apprezzare il lavoro di Lawrence è quasi necessario interessarsi della psicologia del protagonista, i cui comportamenti e pensieri a una prima occhiata possono sembrare difficili da comprendere, oltre che disturbanti.
Jorg Ancrath: un quadro generale
Il Principe dei Fulmini parte direttamente dal trauma di Jorg, ovvero dall’omicidio del fratellino William di sei anni e della madre Rowan, con annesso stupro, da parte degli uomini del conte Renar.
Nel rientrare alla capitale, la carrozza della famiglia reale viene assaltata: la regina è trascinata fuori e il principino ucciso immediatamente. Le guardie riescono a spingere via solo il piccolo Jorg, che finisce in un cespuglio di rovi, rimanendo intrappolato e trattenuto dalle spine.
Quando lo uccisero, mia madre non si diede pace, così le tagliarono la gola. Allora ero stupido, avevo solo nove anni, e combattei per salvarli. Ma le spine mi tenevano stretto. Da allora ho imparato ad apprezzarle.
Da “Il Principe dei Fulmini”, capitolo 4.
Il bambino assiste a tutto il delitto, riportando ferite gravissime dovute ai rovi dove rimarrà intrappolato fino a che gli uomini del re, allarmati dal ritardo della famiglia, non si metteranno alla loro ricerca.
Immagino che le spine mi avessero quasi dissanguato. Quindi andarono a prendere un carro e mi riportarono indietro. Io non dormii: guardavo il cielo farsi nero e pensavo.
ivi, capitolo 5.
Jorg viene scoperto in fin di vita e inizialmente ritenuto morto, per poi essere faticosamente liberato e portato al castello. Le ferite si infetteranno, e Jorg sperimenterà una malattia e un delirio dovuto alla febbre, insieme alle prime conseguenze del trauma.
Da tutto ciò deriva a un racconto sommario di quel periodo di degenza da parte dello stesso Jorg, il quale spiega anche di aver provocato un incendio, nel tentativo di porre fine al dolore sia fisico sia psicologico.
Il trauma: un bivio della vita
In letteratura assistiamo sovente all’evento cardine della vita del protagonista, da cui partono le vicende narrate. Solitamente si tratta di un momento doloroso e traumatico e, di conseguenza, il viaggio spirituale dell’eroe consiste nel di riprendersi e riscattarsi. Non si tratta semplicemente di vendetta, anzi; spesso è proprio la presa di coscienza del trauma e il conseguente imparare a convivere con ciò che ne deriva a formarne il carattere, oppure ha luogo una ricerca di rivalsa verso l’antagonista. Normalmente, però, il concetto di vendetta è superato in favore del bene superiore.
Lawrence invece, con Jorg, ci offre una struttura in totale contrapposizione, mostrandoci una vera e propria discesa all’inferno.
La primavera venne a colorare le foglie sugli alberi. Avevo riacquistato le energie, ma sentivo che qualcos’altro mi era stato portato via. Qualcosa che avevo perduto per sempre, tanto da non poterlo nemmeno più nominare.
ivi, capitolo 5.
Il principe, poco dopo essersi ripreso, riesce infatti a fuggire dal castello, liberando dei carcerati. Unendosi a loro passa i successivi cinque anni per strada: vive come un bandito, ammazzando, rubando, stuprando e distruggendo interi villaggi.
Jorg è così manipolatore, crudele e sadico da diventare il capo dei Fratelli di Strada e i suoi compagni, ignari della sua vera identità, sono molto intimiditi dal ragazzino.
I primi capitoli de Il Principe dei Fulmini riescono già a trasmetterci tutta la malvagità di Jorg e, con il procedere della narrazione, Lawrence scende nei dettagli della sua esperienza, mostrando come a quattordici anni sia palesemente disturbato. Pensieri sadici, costante rabbia, sono solo segnali superficiali di ciò che è veramente.
L’odio ti terrà in vita laddove non ci riesce l’amore.
ivi, capitolo 5.
Pur non essendo certo questa la sede per elaborare un delicato paper psicologico, cercheremo comunque di fornire un quadro di una figura così particolare, provando anche a capire quanto sia importante sapere che da un trauma non sempre si riesce a trarre uno sviluppo positivo, ma sia importante rivolgersi a professionisti prima di cadere in un baratro dove non giunge la luce della redenzione.
La violenza e l’importanza dell’ambiente educativo
Ovviamente Jorg non percorre una strada all’inferno improvvisamente e da solo; anzi, era già ben avviato alla violenza dal padre, re Olidan. È vero che un’infanzia tormentata non comporta la certezza di sviluppare disturbi psicologici, ma i rischi aumentano considerevolmente.
Un genitore duro e crudele, con metodi educativi violenti e minacce costanti provoca un profondo stato di stress nei confronti dei figli, a maggior ragione se gli abbina, oltretutto, il ruolo di attività giudiziaria, tipico del sovrano. Da ciò consegue che sia evidente come un figlio possa mostrare già in giovane età una tendenza alla violenza, all’antisocialità e a comportamenti aggressivi, incurante delle conseguenze.
Siamo certamente di fronte a un concetto di moralità sui generis, ed è dunque fondamentale circoscrivere l’analisi di Jorg all’ambiente domestico, contestualizzato in un contesto socio-politico distruttivo.
I valori morali, già così diversi rispetto ai nostri, sono alterati in Jorg, il quale non ha modelli positivi a cui ispirarsi. Di sua madre sappiamo pochissimo, ma dato l’amore e al senso di colpa che Jorg prova nei suoi confronti, possiamo intuire volesse bene ai figli, ma che fosse probabilmente esclusa dalla loro educazione e, altrettanto probabilmente, sottomessa al marito.
«Principe, hai parlato di voler spezzare il ciclo di vendette. Potresti cominciare ora. Potresti lasciar andare sir Renton». «Ne ho parlato, Makin», risposi. «Spezzerò quel ciclo». Sguainai la spada e la posai sulle mie ginocchia. «Sai come si spezza il circolo dell’odio?», chiesi. «L’amore», disse piano padre Gomst. «Il modo per spezzare quel circolo è uccidere ogni singolo bastardo che ti ha fatto incazzare», proseguii. «Tutti, fino all’ultimo. Ucciderli tutti quanti. Le loro madri, i loro fratelli, i loro figli, il loro cane». Feci scorrere il pollice sulla lama della mia spada e osservai le rosse goccioline di sangue sulla ferita. «La gente pensa che io odi il conte, ma in realtà sono un gran sostenitore dei suoi metodi. Ha solo due pecche: primo, si spinge lontano ma mai abbastanza. Secondo, non è me. Mi ha insegnato una lezione importante, però. E quando ci incontreremo lo ringrazierò per questo dandogli una morte veloce».
ivi, capitolo 10.
Quindi, si potrebbe affermare che alla base dei comportamenti violenti ci potrebbe essere uno sviluppo morale inadeguato. Jonathan Haidt, Maria G. Dais e Silvia Helena Koller nel 1993 hanno individuato tre punti che costituiscono la morale: il danno-sofferenza, la reciprocità-onestà e la risposta alla gerarchia sociale. Il primo punto consiste nella sensibilità o avversione agli eventi dolorosi e alle sofferenze subite o inflitte, il secondo comprende le risposte emotive a situazioni di reciproca o mancata riconoscenza, mentre il terzo prende in esame la rabbia nei confronti di chi non è deferente e rispettoso verso chi si trova più in alto nella gerarchia e quest’ultimo punto abbraccia un concetto fondamentale: il dominio.
Soffermandoci in particolare sul primo e terzo punto, è facile comprendere come i bambini nascano solo con una predisposizione per alcune forme di conoscenza; quindi, l’ambiente famigliare in cui si trovano è di fondamentale importanza, dal momento in cui l’autorità genitoriale ha il ruolo di trasmettere i valori e insegnamenti legati alla sofferenza, al danno, alla purezza eccetera.
I genitori sono una guida in questo sviluppo: ci sono vari momenti in cui il bambino è pronto a elaborare e a maturare certi concetti. Se quest’ultimi sono trasmessi già deviati in tenera età, è normale che il soggetto tragga valori alterati da questi insegnamenti una volta in grado di capirne le reazioni emotive.
Normalmente i genitori trasmettono gli insegnamenti attraverso esempi concreti e provando a instaurare nel bambino l’empatia, cercando di far sincronizzare il figlio con gli stati d’animo altrui, per esempio raccontando storie. Ovviamente ciò può avvenire anche in maniera contraria, portando il bambino a provare simpatia per chi commette atti violenti invece che vittime di ingiustizie.
Una volta esposto il rampollo a situazioni deviate, e abituandolo a esse, è possibile sviluppare mancanze di empatia e di sensibilità affettiva, che hanno come conseguenza l’aumento del rischio di generare una psicopatia concernente la sfera emotiva, interpersonale e comportamentale.
Un soggetto del genere è predisposto a commettere reati molto gravi senza provare alcun rimorso, seguendo la propria impulsività. È ovvio che non vi è una correlazione automatica, ma vi si è predisposti. Ricordiamo che tutti noi possiamo non essere responsabili dei nostri pensieri, ma lo siamo totalmente nelle azioni.
È il silenzio che mi spaventa. È la pagina bianca su cui posso scrivere le mie paure. Gli spiriti dei morti nulla possono in confronto. Quella creatura aveva provato a mostrarmi l’inferno, ma era solo una pallida imitazione dell’orrore che io riesco a raffigurarmi nell’oscurità in un momento di silenzio.
ivi, capitolo 6.
Per quanto riguarda il dominio, dobbiamo fare un piccolo salto nei cinque anni vissuti da Jorg con i Fratelli di Strada. Ormai assuefatto alla violenza e dotato di intelligenza e un’educazione speciale in quanto principe, Jorg ha i mezzi per scalare la gerarchia dei Fratelli e imporre la sua volontà ai compagni.
Un esempio dell’educazione di re Olidan a Jorg
[DISCLAIMER: in questo paragrafo vi è uno spoiler dell’infanzia di Jorg, raccontato ne Il Re dei Fulmini]
Da questo iniziale scorcio psicologico, possiamo vedere come questi tratti siano presenti in Jorg già prima del trauma. Come sostenuto in precedenza, l’educazione paterna è stata improntata verso un modello autoritario e violento.
«Hai rubato a tuo padre, Jorg», disse. «Hai preso ciò che è mio». Ero abbastanza scaltro da sapere che non avrei dovuto ricordargli che era di mia madre.
Da “Il Re dei Fulmini”, capitolo 10.
«Ho notato che vuoi molto bene a questo cane», proseguì. Anche se spaventato, quell’affermazione mi fece riflettere. Pensai che forse glielo aveva riferito qualcuno. «È una debolezza, Jorg», disse. «Voler bene a qualcosa è una debolezza. Amare un cane è da stupidi». Non dissi nulla.
«Vuoi che dia fuoco al tuo cane?», domandò mio padre afferrando la torcia più vicina. «No!». Cacciai un urlo terrorizzato. Tornò a sedersi. «Hai visto come ti ha reso debole questo cane?». Lanciò un’occhiata a sir Reilly. «Come farà a governare Ancrath se non riesce a governare se stesso?» «Non bruciarmelo». La mia voce tremava, supplicante, ma quella al contempo era una minaccia che nessuno riconobbe. «Forse c’è un altro modo?», domandò mio padre. «Un compromesso». Guardava il martello. Non capivo. Non volevo capire. «Rompi una zampa al cane», disse. «Un colpo secco e Giustizia sarà a posto».
Un esempio su tutti è la punizione che Olidan infligge a un Jorg, di appena sei anni, per aver tentato un furto al re stesso: per insegnargli a non ripetere un atto del genere nei suoi confronti, e per non avere debolezze, il re usa Giustizia, il cane da caccia dei due fratelli.
In questo passo assistiamo a una cosiddetta lezione mirata a fortificare e allo stesso tempo punire Jorg, secondo la logica di suo padre.
Notiamo, inoltre, che strumentalizza la speranza del principe che tutto possa finire in fretta.
L’orrore stava per cogliermi, e sapevo che avrei potuto permettergli di prendermi e trascinarmi nell’isteria, nei piagnistei o nell’ira. Sarei potuto fuggire e nascondermi tra le lacrime, lasciando Giustizia a bruciare. Raccolsi il martello prima che la mano di mio padre si chiudesse attorno alla torcia. Feci uno sforzo tremendo solamente per sollevarlo, era pesante, in tutti i sensi. Giustizia tremava e mi guardava, guaendo, con la coda tra le zampe, senza capire. Era terrorizzato. «Colpisci duro», disse mio padre. «O gli darò io un colpo come si deve».
ivi, capitolo 10.
Jorg è orripilato dalla situazione, ma capisce che la volontà del padre non sarà scalfita.
Al contrario, quando mi abbandonai a terra tormentato dai singhiozzi e con lo stomaco in preda ai conati, mi strofinò il muso addosso come faceva con William quando piangeva se si era sbucciato un ginocchio o un suo desiderio non veniva esaudito. Questo per dire quanto sono stupidi i cani, Fratelli miei. E per dirvi quanto fossi stupido io all’età di sei anni, lasciando che una mia debolezza prendesse il sopravvento e fornendo così al mondo intero una leva che avrebbe potuto spezzare il ferro della mia anima. «Un’altra volta», disse mio padre. «Ha ancora una zampa sulla quale appoggiarsi, o sbaglio, sir Reilly?». Per una volta, sir Reilly non rispose al suo re. «Un’altra volta, Jorg». Guardai Giustizia, abbattuto. Leccava le lacrime dalle mie mani. «No». A quella risposta, mio padre prese la torcia e la gettò nel carrello.
ivi, capitolo 10.
Nonostante Jorg ubbidisca, re Olidan infligge la punizione finale. Capiamo bene come un’educazione del genere non possa fare altro che creare dei disturbi al figlio.
Jorg Ancrath in Road Brothers
[DISCLAIMER: le citazioni tratte da questo volume sono state tradotte da noi, in quanto si tratta di un’opera non ancora edita in Italia]
In Road Brothers, vi è un racconto ambientato poco tempo dopo questa “lezione”, dove a padre Gomst viene affidato l’incarico di istruire i fratelli Jorg e William. Il prete, dopo averli cercati in lungo e in largo nel castello, trova Jorg sul tetto che si sporge con tutto il corpo, legato solo con una corda.
«Cosa stai facendo là fuori, in nome di Dio, Principe Jorg?».
Da “Know Thyself” in “Road Brothers”.
«Sto cercando di uccidere mio padre. In mio nome, non in quello di Dio. William mi segnalerà quando lo vedrà arrivare. Non sventolerà la banderuola finché Padre non si avvicinerà all’armatura Belpan che sta nella sala. Dopodiché lascerò questa roccia e dovrebbe colpirlo non appena esce dalla sala. Sarebbe troppo tardi se aspettassi di vederlo.»
Gomst intima al principe di fermarsi e riesce nell’intento.
«William non sarà felice che tu mi abbia fermato.»
ivi.
«Ha quattro anni! Se ne sarà dimenticato entro domani.» Gomst si alzò in piedi. Torreggiare sul bambino lo fece sentire meglio.
«Non William.» Jorg scosse la testa. «Non si arrenderà. Padre ha ucciso il nostro cane. Ora noi dobbiamo uccidere lui.»
Dopo essersi allontanati, la conversazione tra i due continua, spostandosi sul fratello minore.
«William lo farà da solo.» Jorg corrugò la fronte.
ivi.
«Ha quattro anni!» Gomst alzò le mani. «Le guardie di Olidan possono respingere un bambino di quattro anni!»
«Non avrà sempre quell’età» disse Jorg.
Gomst fissò il ragazzino di fronte a lui, sei anni in questo mondo ma visivamente vicino ai nove, che parlava come se ne avesse dodici. «è come te? Tuo fratello?»
«Peggio.» Jorg si diresse giù dalle scale.
Un Gomst parecchio turbato fa poi conoscenza con lo stesso William.
«Jorg ti ha spiegato quanto sarebbe stato sbagliato se aveste fatto male a vostro padre? Non ti ha parlato della lezione che ha dovuto imparare?»
ivi.
«Padre ha ucciso il mio cane.» Il bambino aggrottò le sopracciglia.
«Gliel’ho detto», disse Jorg. «Non ascolterà. Ha risposto che io avevo bisogno di una lezione, ma lui ha perso il suo cane.»
Questo tipo di reazioni da parte dei fratelli sono un sintomo di quanto la loro sfera emotiva sia stata ormai compromessa.
Difatti non può stupire se, dopo il trauma, Jorg ormai non sia più in grado di provare empatia e abbia episodi sempre più gravi di aggressività, portandolo a un isolamento emotivo e a una condotta antisociale. Avendo vissuto un’infanzia violenta, con insegnamenti abusivi, e successivamente un trauma così grave come la perdita di due persone a lui care e come la madre e il fratellino, Jorg non è stato capace di formarsi in un ambiente sano. Senza dimenticare che a questo trauma si aggiunge la delusione nei confronti del padre per non aver voluto vendicare la morte della moglie e del figlio più piccolo.
Mi sporsi in avanti, misi le mani sulla mappa e guardai Lundist ancora una volta. Vidi la pietà in lui. Una parte di me voleva esserne oggetto, voleva dirgli quanto avessi sofferto tra quelle spine, come avessi visto William morire. Una parte di me desiderava lasciare andare tutto, abbandonare quel peso che portavo, il dolore acido dei ricordi, la corrosione dell’odio.
Da “Il Principe dei Fulmini”, capitolo 9.
La fuga di Jorg è, quindi, inevitabile e, accompagnatosi da delinquenti, vive per strada in un mondo tipicamente grimdark, arrivando a compiere atti sempre più distruttivi.
Ciò che forse stupisce e potrebbe risultare poco credibile è l’età di Jorg: ha nove anni quando la famiglia viene uccisa e vive con i Fratelli di Strada fino ai quattordici. Considerato quanto siano cruente le azioni descritte nella prima metà del libro, l’età certo può disturbare; non va dimenticato, però, che Lawrence sicuramente voleva realizzare un’iperbole sotto per scandalizzare il lettore. Tuttavia, a livello psicologico il tutto è coerente con il passato e il carattere di Jorg.
Io sono un bastian contrario. Se vengo spinto in una direzione, prendo quella opposta. Anche se a spingere sono io stesso. Sarebbe stato facile sbudellarlo lì, su due piedi. Ma quel bisogno era troppo forte, e mi sentii pressato. Sorrisi e dissi: «Perdonatemi padre, poiché ho peccato».
ivi, capitolo 6.
E per quanto riguarda l’amore?
[DISCLAIMER seguono alcuni spoiler della seconda parte de Il Principe dei Fulmini]
Un altro punto cruciale per capire Jorg è la sfera amorosa. Il principe durante i suoi anni in strada non ha né creato né cercato di creare una relazione, rimanendo totalmente distaccato dall’amore e stuprando donne nei villaggi attaccati.
Quando torna alla corte di Ancrath e conosce Katherine, fin da subito è evidente come il suo comportamento sia insano. Non solo non sarebbe socialmente accettata la relazione in quanto Katherine è sua zia acquisita attraverso il nuovo matrimonio di re Olidan, ma la donna diventa una vera e propria ossessione.
Lei mi sorrise in un modo che mi lasciò il dubbio se farle scomparire quell’espressione con uno schiaffo o baciarla.
ivi, capitolo 19.
Tuttavia i pensieri che la riguardano sono palesemente disturbati.
Uccidila. Mi girai sulla sella, ma Makin era tornato a scherzare con il Nubano. Uccidila, e sarai libero per sempre.
ivi, capitolo 24.
Jorg addirittura passa la sera con una prostituta simile a Katherine, volendola chiamare con il nome della zia. Inoltre, il ragazzo per la prima volta ha un rapporto consenziente e si stupisce di quanto possa essere differente.
Attraverso queste poche frasi è evidente quanto la psicopatia e l’antisocialità di Jorg abbiano ormai preso il sopravvento nella sua mente. I suoi desideri personali sono contaminati dalla violenza, anche quando ricerca del piacere che dovrebbe portargli sollievo da una vita così traumatica.
Quella voce pareva venire dall’oscurità sotto le spire dei rovi. Sussurrava sotto il rumore delle foglie secche pestate dagli zoccoli. Uccidila. Una voce atavica, arida, mai sfiorata dalla pietà. Per un attimo vidi Katherine con il sangue che le affiorava tra i denti bianchi, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Sentii il coltello nella mano, l’elsa premuta sul suo ventre, il sangue caldo che mi scorreva tra le dita. Il veleno sarebbe più discreto. Un tocco lontano. Quell’ultima voce poteva essere la mia o provenire dai rovi: ormai era lo stesso.
ivi, capitolo 24.
Con l’andare avanti dei romanzi, senza anticipare alcunché, questa sua ossessione nei confronti di Katherine è sempre in primo piano, sempre sottolineata, tanto da assumere dei comportamenti da vero e proprio stalker.
L’importanza dell’ambiente
Fino ad ora abbiamo parlato di quanto sia fondamentale il ruolo genitoriale. Passiamo, invece, ad analizzare il ruolo che svolge la comunità che ci circonda.
Come più volte ricordato, Jorg, una volta fuggito dall’Alto Castello, si unisce ai Fratelli di Strada, una banda di criminali che vive di saccheggi, omicidi e violenza generale, adattandosi alla vita dura dell’Impero Spezzato. Per quanto poi il principe diventi importante all’interno di questa piccola comunità, non sarà mai in grado di creare dei rapporti profondi con i suoi compagni, nemmeno con Makin o il Nubano, due uomini che assumono quasi un ruolo paterno per il ragazzo.
Forse sono troppo accondiscendenti, forse hanno sviluppato quell’affetto padre-figlio che impedisce loro di porre un freno alle azioni di Jorg o forse percepiscono il suo potenziale intellettivo e di leader.
O forse ne sono semplicemente intimiditi, poiché sanno che, se dovessero superare un certo limite, anche loro non sarebbero immuni dall’ira del Principe dei Rovi. Il lettore rimarrà, volutamente, con il dubbio.
Tuttavia, questi anni in strada rappresentano un altro tassello allo sviluppo mentale di Jorg. Esposto continuamente alla violenza, il ragazzo diventa ancora più cinico e assiste alla vita nel mondo delle persone comuni: cruda, ingiusta, povera e in balia del più forte.
È un’ulteriore visione della violenza vissuta nell’infanzia, unico metodo per dominare senza essere dominato.
In questo contesto, per quanto Jorg li chiami Fratelli, il principe vive isolato sentendosi al di sopra degli altri. Fisicamente fa parte ed è a capo della comunità, ma psicologicamente vive un dialogo continuo con se stesso, fatto di immagini crudeli, pensieri omicidi, rabbiosi, impulsivi, vendicativi e maligni.
È possibile un recupero? Le quattro stanze
Il dottor Lonnie Athens, professore del dipartimento di criminologia alla Seton Hall University, nel suo The Creation of Dangerous Violent Criminals, prova a rispondere all’interrogativo della genesi della violenza in un individuo e della sua eventuale reversibilità. Senza andare troppo nello specifico1, Athens individua il processo di “violentizzazione”, composto da quattro fasi denominate “stanze”: brutalizzazione, belligeranza, prestazioni violente e virulenza.
La brutalizzazione è il primo stadio, dove il soggetto entra in contatto con la violenza, la quale lascia delle tracce che compongono esperienze durevoli e inizia a organizzarsi una cosmologia violenta. In questa fase a essere portatori di eventi crudeli sono figure rilevanti nella vita dell’individuo e che lo costringono a una sottomissione coercitiva sfruttando il dominio e utilizzando metodi coercitivi (minacce per esempio) oppure ricorrendo alla ritorsione (l’uccisione di Giustizia).
Vi possono poi essere episodi ancora più violenti, dove il soggetto assiste direttamente all’evento e ha un legame con la vittima. Tutte queste esposizioni portano a un’esplosione di rabbia e aggressività; eppure, essendo ancora in un ruolo sottomesso, è probabile che la ribellione si blocchi, innescando anche un senso di impotenza e immane senso di colpa (gli omicidi della regina e di William). Jorg spesso infatti riflette sulla sua impotenza nel soccorrere la madre e il fratellino, menzionando la vergogna e la paura.
La belligeranza è il secondo passo, dove l’attore violento inizia a porsi delle domande che vorrebbero trovare un senso alle esperienze traumatiche subite. Ciò comporta una riflessione distruttiva, che alimenta l’ira e la vergogna: il soggetto realizza, perciò, che l’utilizzo a sua volta della violenza è tra le soluzioni.
Nella terza fase, la prestazione violenta per il dominio, tutta la riflessione precedente è ormai interiorizzata, ma non ancora messa in pratica. È però in questo momento che il soggetto passa all’azione. Siamo davanti a un bivio: se vi è una vittoria significativa, allora l’individuo ha una conferma che la violenza sia la risposta, altrimenti una sconfitta può sia fermare l’azione violenta oppure scatenare un desiderio di ricerca della vittoria.
Nella quarta stanza, la virulenza, la persona deve aver ottenuto necessariamente una vittoria perché, dopo di essa, ne cercherà sempre altre. Più il soggetto consegue successi e, anche attraverso l’esperienza, maggiore sarà il risultato cercato e ottenuto. Va da sé che si entra in una spirale ormai totalmente distruttiva.
Il momento più adatto per intervenire è durante la prima stanza, la brutalizzazione, poiché è quella in cui si è educati alla violenza. Ovviamente ci sono delle difficoltà: non è detto che la società conosca le problematiche del contesto familiare. In questo caso la fase più adatta sarebbe quella della belligeranza.
Vi è però un punto di non ritorno: l’entrata nella stanza della virulenza, dove, secondo Athens, l’unico modo per fermare l’attore violento è isolarlo dalla società.
Nel caso di Jorg Ancrath, quando lo conosciamo a 14 anni, è entrato ormai da tempo in quest’ultima fase e una sua redenzione, oltre non considerata possibile dal punto di vista psicologico, non sarebbe coerente neanche dal punto di vista narrativo.
L’importanza di un protagonista negativo come Jorg
Leggere Il Principe dei Fulmini, però, equivale a un viaggio consapevole all’interno di una mente antisociale, assistendo non solo agli eventi fisici di cui Jorg si rende protagonista, ma soprattutto diventando testimoni dei suoi pensieri disturbati. Il viaggio intrapreso non è semplice o leggero, tuttavia è un qualcosa di raro da trovare in letteratura. Non c’è redenzione, non c’è riscatto, c’è una discesa all’inferno che potrebbe accadere a ognuno di noi dopo esperienze traumatiche. Non tutti sono dotati di uno spirito forte, di una rete sociale positiva o hanno la possibilità di ricorrere a un aiuto psicologico specializzato.
Leggere del percorso di Jorg ci mette davanti una situazione estrema, volutamente esagerata a tratti, ma che porta il lettore a riflettere sull’importanza della salute mentale e alle tante pieghe che la storia impone crea all’interno della mente umana.
MS
NOTE
1 Per approfondire: Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali. Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, Raffaello Cortina Editore, 2009,