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Sconfiggere l’invisibilità: Febbre di Jonathan Bazzi e non solo

Abbattere l’invisibilità è una delle grandi sfide della modernità.
“Febbre” di Jonathan Bazzi, “Lo Capisce anche un bambino” di Mattia Zecca, “Signorina” di Chiara Sfregola sono tre libri molto forti e capaci di comunicare al lettore, in maniera incisiva, questa necessità. E di cui è possibile trovare tanti, tantissimi, riferimenti nel cinema contemporaneo.
Ma andiamo con ordine, iniziando dal primo.
Con una citazione:

Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via

Febbre, Jonathan Bazzi, Cap. I

Così comincia, infatti, il romanzo d’esordio di Jonathan Bazzi, Febbre, pubblicato nel 2019 da Fandango. Nello stesso anno ha vinto il premio libro dell’anno di Fahrenheit Radio Rai Tre e nel 2020 è entrato nella dozzina del Premio Strega su proposta di Teresa Ciabatti.

Febbre è un romanzo dall’incipit potente: si viene catapultati, già dalle prime righe, nella vita dell’autore. E nella spirale di un uomo di 31 anni, il quale si sveglia un giorno con una febbriciattola intorno ai 37.3 che non lo lascia più. A dire il vero la dichiarazione d’intenti parte già dall’esergo, dove leggiamo la seguente dedica: “ai bambini invisibili”. Bastano queste poche parole per aiutare il lettore a predisporsi emotivamente alla storia che sta per leggere.

Febbre di Jonathan Bazzi

Tra stigma e pregiudizio

L’autore si racconta seguendo due linee temporali diverse, il passato, trascorso a Rozzano, e il presente in cui fa i conti con la malattia, per poi ricongiungersi nella parte finale. Nei capitoli incentrati sul presente incontriamo il protagonista, Jonathan Bazzi, che nel 2016 all’età di 31 anni è stato colto da una febbre improvvisa. Quando dopo alcuni giorni viene esclusa l’ipotesi dell’influenza, iniziano ad affiorare una serie infinita di preoccupazioni e ansie fino al giorno della diagnosi. Jonathan scopre di essere sieropositivo, in un primo momento la sua reazione è di sollievo perché non è un malato terminale, come aveva immaginato nei suoi scenari nutriti ad angoscia e internet.

In realtà nell’anima di Jonathan qualcosa si rompe: vede la sua vita andare in frantumi, focalizzandosi solo sulla malattia che da un giorno all’altro ha cambiato le carte in tavola. Con lui c’è Marius, il suo compagno, che lo tiene per mano anche nel momento della diagnosi e che non ha nessuna intenzione di lasciarlo da solo nemmeno dopo.

Dopo la fase di condivisione con la madre e gli amici più cari, inizia quella depressiva. Un malessere psicofisico lo annienta: Jonathan perde la voglia e la forza per fare qualsiasi cosa. Quando Marius non è in casa, è sua madre a fargli compagnia e aiutarlo a prendersi cura di sé. Un giorno senza nemmeno sapere come, Jonathan ricomincia a vivere: di nuovo, e a piccoli passi, riprende in mano la sua esistenza. A fine 2016 Jonathan Bazzi decide di scrivere del virus che porta dentro sul sito Gay.it.

Parlare per proteggersi. Proteggersi da pregiudizio e dallo stigma sociale che ruota attorno all’HIV. L’uomo non è la sua malattia, la sieropositività è una piccola parte che caratterizza la sua vita ma non lo definisce; e farsi individuare significa sentirsi meno soli, scrollarsi di dosso la vergogna.

Tu non sei gay. Dubbio, certezza. Estate 2000, crolla tutto. Mi piacciono i ragazzi, gli uomini, i maschi: lo so da Jaco, lo so da quando avevo sei anni. Non mi sono mai dovuto accettare, – il tu quand’è che l’hai capito? Con me non funziona -, sono gli altri semmai che avevano un problema col modo in cui sono fatto

ivi, pag. 256

Nei capitoli dedicati al suo passato il lettore riesce a mettere ogni tassello al suo posto. Si comprende in che modo, Rozzano, il paese della periferia di Milano in cui è cresciuto e le scelte degli adulti, l’abbia influenzato e trasmesso le insicurezze che si porta dietro. Non era adatto per Rozzano e Rozzano non era adatta per lui. Lui che amava studiare e odiava giocare a calcio, dalle risse ne usciva sempre vinto, gli piacevano le bambole e le storie di eroine e principesse; questo lo rendeva preda facile per i bulli.

Venire a conoscenza di storie come quella di Jonathan Bazzi è salvifico per tutte quelle persone invisibili che vivono la malattia come una colpa, una vergogna perché la società in cui viviamo ci fa sentire inadeguati se non siamo conformi all’idea di perfezione propinata da media e social media. Febbre è un libro in cui il dolore dell’autore è palpabile e in qualche modo diventa anche di chi legge.

Davanti al pregiudizio reagire alzando la posta: meglio tacere? Lo sapranno anche i muri.

ivi, pag. 320

Avere l’HIV oggi non è come in passato: le cure sono migliori, con meno effetti collaterali e il virus si riesce a tenere a bada più facilmente senza andare necessariamente incontro alla sindrome dell’AIDS. Purtroppo sono rimasti gli stigmi e i pregiudizi che rendono ancora oggi difficile attuare la prevenzione e aiutare davvero chi ha il virus. Ancora adesso l’HIV è visto come il virus degli omosessuali, delle prostitute e dei tossici; ancora oggi è visto come qualcosa che non riguarda tutti ma solo pochi sfortunati.

Locandina del film120 battiti al minuto

Il pensiero è immediatamente rivolto a Robin Campillo che , nel film 120 battiti al minuto, racconta proprio le battaglie della Parigi degli anni ‘90, piegata dall’epidemia di AIDS. I protagonisti sono giovani e adulti – sieropositivi e non – fondatori di ACT UP. Un’associazione che irrompe nelle scuole per insegnare la prevenzione ai ragazzi, ma anche nei meeting delle case farmaceutiche e nei comizi politici per urlare che l’HIV esiste, che servono cure migliori, che è necessario intervenire per prevenire i contagi.

Ed è proprio durante l’irruzione del gruppo di attivisti in un liceo di Parigi che una studentessa verrà sorpresa a guardarli con disgusto, mentre dispensano preservativi e dépliant. Sostenendo poi di non averne bisogno, non essendo omosessuale. Un’altra scena indimenticabile è quella della Senna colorata di rosso per far uscire dall’invisibilità questo virus, che a tutti i costi si vuole tenere nascosto costringendo chi ce l’ha a vivere con vergogna e senso di colpa.

– Ti rendi conto che non ti ho neanche chiesto cosa fai nella vita?

– Io nella vita faccio il sieropositivo. Direi che può bastare, no?

Conversazione tra Nathan e Sean, dal film 120 battiti al minuto.

Chi sono i bambini invisibili?

Quanto è difficile essere sé stessi ancora oggi? Jonathan Bazzi racconta della sua infanzia durante la quale doveva nascondere il suo interesse per le storie e i giochi considerati “da femmina”. Anche Mattia Zecca, autore del romanzo autobiografico, Lo capisce anche un bambino. Storia di una famiglia inconcepibile edito Feltrinelli, ricordando la sua infanzia racconta di quando giocava, di nascosto dai genitori, con le bambole della sorella.

Ancora oggi si sente parlare di “giochi da femmina” e di “giochi da maschio” oppure di colore azzurro per maschietti e colore rosa per femminucce. Fin da piccoli viene delineato un “confine di genere”: insomma viene detto, più o meno implicitamente, ai bambini e alle bambine come devono essere.
Andare oltre significa attirare la preoccupazione dei genitori e le prese in giro dei coetanei.

Cover di “Lo capisce anche un bambino”.

Solo chi da bambino ha subito episodi di bullismo sulla propria pelle sa quanto sia difficile scrollarsi di dosso quell’insicurezza e quella rabbia che lasciano e porti dietro da adulto. Diventare vittima di bullismo conduce le persone a convincersi che quello che si è non vada bene, che essere sé stessi sia pericoloso; e allora nascondersi diventa la chiave di volta per sopravvivere. Per la società occidentale bisognerebbe essere bianchi, fisicamente attraenti, in perfetta salute, eterosessuali e possibilmente maschi. E se sei maschio devi essere virile, devi tenere a bada le emozioni: l’analfabetismo emotivo è da uomini, no? Se invece hai la sfortuna di nascere donna, allora l’elenco di come dovresti essere si allunga. Quello che fa incazzare il bulletto di turno – che solitamente è un soggetto frustrato – è la felicità degli altri nell’essere sé stessi.

E cosa succede quando tu, omosessuale e sieropositivo, invece di nasconderti e restare il bambino invisibile che eri, pubblichi un articolo su un giornale online e poi un libro raccontando al mondo la tua storia? Beh, Jonathan Bazzi deve aver fatto esplodere non poche teste: questa sì che è una bella rivincita.

Le ragazze stanno bene

Sono sposata con mia moglie. Può sembrare una tautologia, ma fino a qualche tempo fa avrei potuto essere sposata solamente a mio marito. Per questo lo dico esplicitamente, ripetutamente, orgogliosamente: Moglie

Signorina, Chiara Sfregola, Cap. III

Così si apre il terzo capitolo del libro di Chiara Sfregola, Signorina, edito Fandango. Questo libro ci regala un’altra chiave di lettura, quella femminile e femminista, dei passi compiuti per arrivare ad essere orgogliosamente sé stessi.

A metà tra saggio e memoir, Chiara Sfregola racconta il matrimonio tra donne partendo dalla sua esperienza lesbica. Con le unioni civili si esce dallo stato di invisibilità e si è giuridicamente riconosciuti come coppia: la società cambia molto più velocemente rispetto alla politica e questo rende difficile il riconoscimento giuridico di diritti che tutelino le famiglie LGBTQ+.

Signorina di Chiara Sfregola

Chiara Sfregola afferma con orgoglio di essere sposata, di avere una moglie: ed è strano che, in un’epoca in cui il matrimonio sta perdendo potere, lei sia così testardamente convinta di volerlo fare.
D’altronde, come darle torto? Se qualcuno conosce la storia di Elisa e Marcela, storia vera dalla quale è stato tratto il film omonimo di Isabel Coixet per Netflix, sa quanto negli anni passati fosse difficile se non impossibile celebrare liberamente il proprio amore convolando a nozze se ad amarsi erano due donne o due uomini.

Nella Spagna del 1901 due ragazze, Elisa e Marcela appunto, escogitano un piano per sposarsi: una delle due finge di essere un uomo. Una volta scoperte, furono perseguitate come le donne accusate di stregoneria nel Medioevo. Sarà Zapatero nel 2005 a rendere legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Spagna.

Elisa e Marcela.

Citando Vasco Brondi, “forse si tratta di affrontare quello che verrà come una bellissima Odissea di cui nessuno si ricorderà“. Perché far valere i propri diritti, tra cui quello di amare, a volte richiede delle lotte talmente estenuanti da sembrare odissee. E una volta vinte col tempo ci si dimentica dello sforzo che è stato fatto per ottenere quel risultato.

Abbiamo bisogno di belle storie

Ma torniamo a Mattia Zecca, al “Lo capisce anche un bambino”. Con il suo libro, l’autore regala al pubblico la sua storia. Lui e il compagno decidono di diventare padri: avranno due figli grazie alla fecondazione assistita e per farlo si recano in America. Quella di Mattia, del suo compagno Nicola, dei loro figli Lorenzo e Martino, è una famiglia, visibile a tutti tranne alla legge. Quando si presentano in Tribunale, per l’udienza, il giudice sembra poco interessato alle capacità genitoriali di Mattia e Nicola o alle abitudini dei bambini.

La loro è una famiglia talmente inconcepibile dalla legge che il Giudice riconoscerà un padre ciascuno: Lorenzo e Martino non sono nemmeno fratelli per la legge italiana, sono coinquilini. Ed ecco che da essere bambini invisibili, come scrive Jonathan Bazzi nel suo libro, si resta invisibili anche da adulti. Il romanzo di Mattia Zecca è un concentrato di tenerezza e amore: il lettore lo sente e si commuove quando assorbe fino in fondo la profondità del desiderio di paternità di questa coppia. Questo libro è una dichiarazione d’amore ai figli in primis, ma anche a sé stessi e ai cari che hanno sostenuto sempre la causa.

A Lorenzo, che di genitori ne ha due, papà Mattia e papà Nicola, l’ordinamento italiano ne riconosce solo uno. L’altro, per le istituzioni, non è che un mero convivente. Nel caso di Martino, la situazione è identica: solo uno di noi è il genitore legalmente riconosciuto. Martino e Lorenzo, per la legge italiana, non sono fratelli.

Lo capisce anche un bambino, Mattia Zecca.
Chiamami col tuo nome.

A proposito di storie belle, non bisogna dimenticare quella raccontata da André Aciman in Chiamami col tuo nome, edito Guanda. Si va bene, non sarà finito nel migliore dei modi; ma non è il lieto fine che ci interessa in questo momento.

Per chi non l’avesse letto, o non avesse visto il film, Elio è un adolescente, in fase di sperimentazione sentimentale e sessuale, Oliver, invece, è più grande di 7 anni e l’età delle prime esperienze l’ha superata. Tra i due nasce un amore di una tenerezza commovente; è impossibile che leggendo quel libro a nessuno siano tornati in mente i primi amori, con quei picchi assoluti e il sentirsi dentro fino al collo. Ma l’aspetto più bello e significativo del romanzo di Aciman non è la storia tra i due protagonisti. O meglio, non solo: è il rapporto tra Elio e i suoi genitori.

I genitori di Elio, nel momento in cui capiscono che ha una relazione con Oliver, non si intromettono ma lasciano il figlio libero di comprendersi, lo incoraggiano ad essere sé stesso. Gli staranno accanto quando gli si spezzerà il cuore. È vero che il finale ha lasciato lettori e spettatori con l’amaro in bocca ma si può rimediare, leggendo il sequel Cercami.

Senti, avete avuto una splendida amicizia, forse più di un’amicizia, e io ti invidio. Al mio posto, un padre spererebbe che tutto questo svanisse, pregherebbe che il figlio cadesse in piedi ma non sono quel tipo di padre. Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta già a trent’anni. E abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova, ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa, che spreco.

Chiamami col tuo nome, André Aciman.

In fondo abbiamo bisogno di storie belle. Di racconti in cui i genitori siano accoglienti nei confronti dei figli e dei loro bisogni. È importante leggere esperienze di chi come Mattia racconta una storia che sia personale ma anche collettiva, come scrive Mario Desiati in Spatriati, dopotutto, a volte leggiamo un romanzo solo per sapere che qualcuno ci è già passato. Dobbiamo impegnarci a lottare affinché vengano riconosciuti e tutelati i diritti di tutti.
Bisogna insegnare che essere sé stessi è difficile ma non è impossibile.
E soprattutto che non è sbagliato.

ER