Breaking bad e la chimica delle facce.
Se scrivere di una serie iconica è una missione per penne impavide, scrivere di una serie come Breaking Bad potrebbe tranquillamente rientrare nella categoria degli sport estremi.
Innanzitutto è necessario grattare via l’aura di timore reverenziale che spesso avvolge quelle produzioni che godono di una spiaggetta privata nel gotha delle serie tv, poi si deve fare appello a tutto il senso critico del quale si dispone prima di temperare a dovere la vena artistica e mettersi all’opera.
Il rischio di incappare in un cliché è sempre in agguato e la pena per il povero e sprovveduto scribacchino è quella di essere confinato in quella sorta di girone infernale del web che straborda di pattume sintatticamente modificato.
Breaking bad, o forse no.
Il titolo della fortunata serie è un’espressione che appartiene al Sud degli Stati Uniti e vuole esprimere l’abbandono della retta via in favore di una cattiva strada.
È proprio su questo gioco di parole che si plasma il personaggio di Walter White interpretato meravigliosamente da Bryan Cranston; un uomo di mezza età che, da gregario della società, diventa una sorta di divinità nello spietato sottobosco del traffico di droga.
La bravura di Vince Gilligan è stata proprio quella di creare un personaggio in grado di suscitare nello spettatore una gamma di emozioni che va dalla compassione nella sua accezione più letterale allo sdegno per i crimini efferati di cui si macchia nel corso delle stagioni, passando per l’inquietudine che rasenta quasi il terrore nell’assistere ad una trasformazione che sa di trasfigurazione.
Tra le teorie che ruotano attorno al personaggio di Walter White, sono due quelle più accreditate: la prima è quella che assegna alla malattia terminale che colpisce il protagonista il ruolo di un Caronte che traghetta il malcapitato professore in un inferno fatto di becher, tute di protezione e proiettili, la seconda invece è quella che conferisce al cancro la funzione di cartina di tornasole che svela la sua vera natura di uomo crudele e privo di pietas.
Entrambe le teorie sembrano calzare alla perfezione ed era proprio nei piani di Gilligan quello di disegnare un personaggio che fosse al contempo vittima e carnefice della storia. Ma forse c’è una terza teoria che potrebbe spazzare via ogni frammento di quelle appena accennate e dare nuovi colori ad un personaggio che, con le sue tinte oscure, ha delineato un nuovo paradigma di cattivo nell’universo delle serie tv.
Paura, eh? È comprensibile ma d’altronde è stato proprio il nostro Heisenberg a rendere chiaro che è lui “the one who knocks.”
Erving Goffman e tutte le “facce” di Walter White.
Nella prima metà del ‘900 il sociologo canadese Erving Goffman si dedicò allo studio delle interazioni “faccia a faccia” e ne dedusse che l’intera gamma delle relazioni umane si fondava su schemi e rituali appartenenti alla drammaturgia.
La vita sociale si trasforma in un sapiente intreccio di scenari teatrali, all’interno dei quali l’uomo si muove e sceglie quale parte di se far emergere dopo aver considerato attentamente il contesto e l’interlocutore.
Questa nuova chiave di lettura offre una visione del tutto nuova al soggetto Heisenberg che appare, sì ancora più ricco e pieno di sfumature, ma anche impossibile da etichettare e catalogare.
Walter White è l’uomo che decide quando essere solo un professore frustrato e sottopagato, quando essere un padre ed un marito devoto, uno dei tanti malati di cancro, uno chef stellato di metanfetamine, un martire o un assassino. E tutte le altre persone che ruotano nella sua orbita sono solo elementi di un’equazione, gli ingredienti della sua droga personale.
Anche il personaggio di Jesse Pinkman, interpretato da Aaron Paul, sembra assumere una nuova sfumatura. Al contrario del suo padre e padrone, lui ha solo una faccia e la sua purezza, anche quando tiene in mano una pistola, non fa altro che sottolineare ed enfatizzare il carattere del suo eclettico sodale.
Alla luce di quanto detto, sono due gli elementi che contribuiscono a rendere il protagonista di questa serie una vera e propria divinità nell’universo variegato delle serie crime.
Il primo è sicuramente la penna di Gilligan, che è riuscita a dipingere e a cesellare un personaggio trasversale, che incarna e dissacra tutti gli stilemi del villain e dona una veste tutta nuova al ruolo.
Il secondo, non meno importante del primo, è il talento incredibile dell’attore, che ha saputo dare corpo ad ogni “faccia” senza mai perdere la sua cifra e tenendosi ben lontano dal rischio di diventare una macchietta di se stesso.
Che siano dieci, cento o mille le facce che Bryan Cranston indossa in laboratorio in Breaking Bad poco importa, ognuna di loro merita di essere osservata e letta in tutto il suo oscuro splendore.
SL