Derry Girls: l’adolescenza al tempo del “The Troubles”
Non è la prima volta che ci troviamo a parlare di serie TV comunemente definite “adolescenziali”, da Yellowjackets a Sex Education, questa tipologia ha alzato parecchio l’asticella negli ultimi anni.
Ora, i problemi dell’adolescenza portati su schermo sono affrontati con senso critico, sviscerati ma visti anche da un punto di vista ironico. È proprio il caso di Derry Girls, serie semi-autobiografica creata e scritta da Lisa McGee, che nel 2022 ha visto la sua conclusione dopo tre stagioni.
Welcome to Derry
Derry Girls apre le scene sulla città di Derry (o Londonderry, in base all’orientamento politico) dell’Irlanda del Nord. Siamo a metà degli anni ‘90 e precisamente in uno dei periodi storici più duri e sanguinosi per i cittadini irlandesi. Per questo motivo, prima di procedere a parlare di questa sitcom vogliamo darvi delle coordinate storiche, in modo da inquadrare meglio il contesto in cui si muovono le nostre Derry Girls.
A partire dalla fine degli anni ‘60 e fino al 1998, a causa di discriminazioni e divisioni successive al precedente conflitto civile, in Irlanda del Nord la comunità cattolica, maggiormente legata a idee repubblicane, e la comunità protestante più identificata nell’unionismo, si scontrarono ferocemente. Il conflitto vide ben presto la partecipazione di organizzazioni paramilitari come l’IRA (Irish Republican Army) e si espanse velocemente anche nella Repubblica d’Irlanda e nel Regno Unito. Portando a un totale di oltre 3.500 morti da entrambe le fazioni.
Tra gli episodi più significativi del conflitto nordirlandese, denominato The Troubles, vi è la cosiddetta Bloody Sunday. Avvenuta proprio a Derry nel 1972 vide i soldati dell’esercito britannico sparare sulla folla di manifestanti disarmati uccidendone 14. L’episodio passò alla storia, segnando profondamente il paese e nell’immediato portò a un vero e proprio ripopolamento delle file dell’IRA.
Dopo uno dei periodi più violenti di offensive tra IRA, lealisti e forze britanniche (1988-1993) si iniziò ad assistere a periodi di tregue, fino ad arrivare al 1998 con l’Accordo (di pace) del Venerdì Santo, sottoposto poi a referendum e passato con il 71% di sì, che segnò definitivamente la fine del conflitto armato. Ed è proprio qualche anno prima di questo evento che inizia la serie.
Crescere in un paese violento
Derry Girls racconta la vita ordinaria in un paese violento. E lo fa mostrandoci Erin, sua cugina Orla, Clare, Michelle e suo cugino James alle prese con quello che per un gruppo di adolescenti è importantissimo: scuola, gite, esami e feste.
Se nella narrazione di guerre e conflitti comunemente sono l’uomo, la violenza e l’aspetto militare e politico ad essere al centro, qui Lisa McGee attua un ribaltamento di prospettiva.
Pone infatti sotto i riflettori una fascia che normalmente era esclusa da questo tipo di storie: le donne e, nello specifico, le ragazze. La stessa autrice ha infatti affermato di aver dato ampio spazio all’aspetto della “Ma culture” cioè al senso di sorellanza e solidarietà creatosi tra le donne in quel frangente.
Il conflitto c’è, è sempre presente grazie ai posti di blocco, i controlli e le notizie alla televisione ma non assume mai il ruolo di protagonista. Non viene ignorato ma più semplicemente la narrazione non riguarda lui, perché per la prima volta a parlare non sono leader o attivisti ma persone che devono imparare e vivere e gestire una quotidianità violenta.
I riferimenti storici rimangono ben presenti ma sono affidati a battute o brevi dialoghi. Restano quindi sempre sullo sfondo perché quello che Lisa McGee preferisce mostrare e raccontare non è la violenza, gli scontri o la tragedia del conflitto, bensì la quotidianità. Come persone e soprattutto, come un gruppo di amici adolescenti vive la propria vita in un momento storico particolare.
E lo fa senza rinunciare a una sana dose di ironia. La realtà infatti non viene ammorbidita ma le situazioni drammatiche vengono affrontate con sottile e tagliente humour. Questo è ben chiaro sin dalla prima puntata quando la notizia di una bomba su un ponte è fonte di paura, ma perché i ragazzi faranno tardi a scuola e la svagata zia Sarah potrebbe addirittura perdere il suo appuntamento al centro abbronzante.
L’ironia diventa un’arma da usare per affrontare e gestire una realtà che fa paura, per riappropriarsi di una quotidianità che nonostante tutto c’è ancora. L’aspetto vincente di questa serie è proprio questo.
Trattandosi di una serie semi-autobiografica ci immergiamo anche con un pizzico di nostalgia nello spaccato della vita a Derry negli anni ‘90. In questa quotidianità domestica fatta di mondanità, faccende, Dr Martens, musica dei The Cranberries e piani per andare al concerto dei Take That.
Se le tre stagioni seguono il percorso verso la pace dell’Irlanda del Nord è proprio l’ultima stagione a riflettere maggiormente il peso del conflitto. Questo si evince specialmente nell’ultimo episodio “The Agreement”, l’unico ad avere un tono più serio, che mostra proprio il giorno del referendum per approvare o meno l’Accordo del Venerdì Santo.
Qui viene mostrata con forza l’Irlanda in un momento storico segnante. Un intero paese in bilico, straziato dalle violenze, chiamato a fare una delle decisioni più importanti di sempre. Una decisione in cui le persone comuni devono destreggiarsi per capire essenzialmente cosa si chiede loro. Cosa riguarda la scelta e cosa realmente comporterà. Emblematica infatti la sequenza di nonno Joe che, munito di schema fatto di post-it, mappa e buste di patatine per indicare lealisti e repubblicani, chiama a raccolta gli adulti affermando di aver “capito le nozioni di base”.
Nonostante qualche battuta, qui il conflitto, i danni, le conseguenze, le ricadute e la moralità sono affrontati con più serietà. Non solo dagli adulti ma anche (e specialmente) dalle ragazze che, finalmente maggiorenni, sono per la prima volta chiamate a decidere per le sorti del loro paese.
E sulle note di Dreams dei The Cranberries, canzone che apriva anche il primo episodio della serie, è la speranza a fare da filo conduttore. Perché nonostante la bruttezza del conflitto, specialmente nella fascia più giovane c’è la volontà di andare avanti e cercare il meglio in un futuro ancora poco roseo.
L’episodio segna davvero la fine di un’era ma è anche un punto di svolta. Negli ultimi minuti, al significativo monologo di Erin si alternano fotogrammi e dialoghi reali del conflitto, come a mostrare una crescita, un cambiamento parallelo vissuto sia dal singolo che dall’intera nazione.
Le Derry Girls entrano nell’età adulta, in una nuova fase delle loro vite, e lo fanno in paese trasformato ma finalmente in pace dopo trent’anni di sangue e violenza.
Una parte di me vorrebbe che tutto rimanesse uguale. Che restassimo così per sempre. Una parte di me non vuole crescere.
Derry Girls, stagione 3, episodio 7
Non sono sicura di essere pronta. Di essere pronta per il mondo. Ma le cose non possono rimanere uguali. E non devono. Non importa quanto può fare paura. Dobbiamo andare avanti. E dobbiamo crescere. Perché le cose potrebbero cambiare in meglio.
Dobbiamo avere coraggio. E se i nostri sogni vengono infranti lungo il percorso, dobbiamo usare i pezzi per crearne di nuovi.
CC