La legge di Lidia Poët: tra polemiche e apprezzamenti
È andata in onda qualche settimana fa sulla piattaforma streaming Netflix una serie tv che ha fatto parecchio parlare di sé: si tratta de La legge di Lidia Poët, articolata in sei episodi.
La produzione tutta italiana, realizzata in collaborazione con Netflix, è liberamente ispirata alla vita di Lidia Poët, la prima donna iscritta all’Ordine degli Avvocati italiani.
Non meno importante, quando si parla di Lidia, è il contributo eccezionale che ha reso all’Italia e alla questione di genere, battendosi per la sua causa e per la condizione delle donne. La serie tv è diventata un vero e proprio caso mediatico, dividendo l’opinione pubblica.
Una serie godibile, ma manca qualcosa
La serie si svolge nella Torino di fine Ottocento. La città fa da sfondo alle vicende che si articolano in poche puntate, fresche e dal taglio fotografico ricercato, godibili nella visione.
A contribuire a ciò ci pensa un cast molto giovane: Matilda de Angelis veste i panni dell’intrepida Lidia, donandole un tocco di sensualità e, soprattutto, quell’aria che sfida costantemente le convenzioni dell’epoca e non si piega allo sguardo maschile, ma anzi, lo fulmina. Non meno importanti i due personaggi maschili cui si accompagna: il fratello Enrico Poët (Pier Luigi Pasino), dall’aspetto severo ma dal cuore di panna che asseconda sempre la sorella, e il giornalista Jacopo de Barberis (Edoardo Scarpetta), spalla perfetta e aria da ottocentesco bad boy maledetto.
Tutti questi elementi contribuiscono a creare una trama meccanica e godibile, in alcuni punti quasi scontata. Le sequenze sembrano infatti ripetersi con situazioni e personaggi simili: come si suol dire, cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia. E il risultato sembra essere una bella bomboniera, con tanti fronzoli ma pochi confetti.
Vita straordinaria di una donna controcorrente
La legge di Lidia Poët non può annoverarsi tra le serie biografiche. Certo, l’episodio fondamentale della vita di Lidia, ovvero la cacciata dall’Ordine degli Avvocati, compare sin dall’inizio e fa capolino ogni tanto, ma tutto il resto sembra essere stato romanzato ai limiti del possibile.
La storia di Lidia Poët è decisamente diversa da quella interpretata dal suo personaggio (nonostante, diamogliene atto, le magnifiche doti attoriali di Matilda de Angelis). Infatti, Poët fu una donna ben lontana dalle convenzioni della sua epoca, baluardo del femminismo non solo italiano ma di tutta la sua generazione. La sua tesi di laurea, discussa il 17 giugno del 1881, si incentrava sul diritto al voto delle donne. E fin qui, le somiglianze con la trasposizione di Netflix ci sono, ma si fermano a questa essenziale didascalia.
Di Lidia personaggio storico si sa che era originaria di una famiglia valdese religiosissima, e che visse in un piccolo paesino ligure della provincia di Imperia. Le cronache raccontano che non ebbe figli e incentrò la sua intera esistenza a favore delle sue battaglie. Un’altra somiglianza con la serie tv sta nel fatto che collaborò, a seguito dell’estromissione dall’Ordine, con suo fratello Enrico e i due vissero una vita appartata nella casa di famiglia. Nessuno dei due si sposò mai e, dalle descrizioni famigliari, Lidia appare come una donna elegante e riservata.
I pochi parenti rimasti rivelano di essere rimasti profondamente delusi dalla serie tv. Secondo loro non ha reso giustizia a Lidia, trasformandola in un personaggio bidimensionale e scontato. Senza contare le numerosissime inesattezze storiche.
A metà tra Jessica Fletcher ed Enola Holmes
La legge di Lidia Poët presenta una trama in senso orizzontale. Lidia dimette i panni del personaggio storico per calarsi nella parte di un’arguta Jessica Fletcher, con qualche anno in meno e più pizzi e crinoline. Ogni episodio segue sempre lo stesso iter, con un nuovo caso da risolvere per la nostra protagonista dal carattere indomito. E in questo fa il paio con un’altra protagonista della piattaforma streaming un po’ più giovane: Enola Holmes, sorella dell’ investigatore più famoso del Regno Unito, Sherlock.
La giovane avvocata, quindi, lascia la poltrona dello studio legale e si addentra all’interno delle situazioni difficili, armata di una buona dose di sagacia e incoscienza.
Riesce sempre a salvarsi in calcio d’angolo e ad incastrare il colpevole. Un perfetto contenitore, ripetitivo, adatto a soddisfare il pubblico medio e poco impegnativo. La storia, inoltre, assume una sfumatura di rosa perché (ovviamente) è presente la solita, banalissima, storia d’amore dal sapore teen drama americano. Lidia è infatti invaghita dell’avvenente cognato Jacopo, suo complice nelle avventure.
Sullo sfondo, quel ricorso da presentare all’Ordine degli Avvocati per farsi riammettere, che ha purtroppo ben poco spessore nella serie. Sarebbe sicuramente stato interessante svilupparlo meglio.
L’avvocata attraverso le parole di Cristina Ricci
In proposito a quest’o’ultimo punto, l’autrice del libro Lidia Poët. Vita e battaglie della prima avvocata italiana, pioniera dell’emancipazione femminile (Graphot editore, 2022), Cristina Ricci, ha ribadito quanto sia stata distorta l’immagine della legale e quanto siano state manipolate e romanzate le vicende biografiche:
L’unica parte storica è la lettura della sentenza della Cassazione del 1884 che la radiò dall’albo perché con la sua bellezza avrebbe potuto distogliere il giudice dall’applicazione corretta della legge. Il resto è una fiction leggera, giusto per trascorrere qualche ora. […] Ne esce un’immagine distorta di Lidia. A parte la sentenza, tutto il resto è invenzione. Viene dipinta come una donna disinibita ma un articolo della stampa dell’epoca la descrive timida, che arrossisce quando viene applaudita al III Convegno penitenziario internazionale.
Cristina Ricci
Femminismo spicciolo e forzature
All’interno di La legge di Lidia Poët non si possono non notare delle forzature che calcano quel “liberamente ispirato alla vita di”, portandolo allo stremo. Se poi si aggiungono le scenette di femminismo spicciolo e, in alcuni momenti, fuori contesto, si sposa la tesi che vede il prodotto finalizzato esclusivamente all’intrattenimento.
La giovane Lidia, in linea con il suo personaggio storico, cerca a tutti i costi di ottenere l’indipendenza. Indipendenza vista in svariate situazioni, come andare su una biciletta da uomo o portare dei pantaloni.
Nonostante le belle premesse, non si ha un vero e proprio spaccato storico della società in cui vive Lidia. Inoltre, alcune tematiche vengono trattate con eccessiva leggerezza, come il diritto di voto. Carine, invece, le scene di ribaltamento del patriarcato, che tuttavia rimangono solo sullo schermo, senza davvero “entrare dentro” al cuore dello spettatore. Quello che frena la potenzialità di questa serie è proprio il non aver restituito al pubblico la vera immagine di Lidia e della sua battaglia. Interessante, invece, il voler trasportare il linguaggio moderno nella Torino di fine Ottocento… una sorta di licenza poetica.
Ma quindi, cosa ne pensiamo?
Secondo il nostro modesto parere, La legge di Lidia Poët non va né elogiata né condannata. Rimane certamente un prodotto da prendere in considerazione se si vuole passare qualche ora di svago e allo stesso tempo avere una minima idea di chi sia e cos’abbia fatto uno dei personaggi storici più affascinanti dell’Italia di fine Ottocento. Quindi, consigliato, ma con delle riserve.
AS