Con Loki il Marvel Cinematic Universe entra definitivamente nella sua Bronze Age
Il Marvel Cinematic Universe (di qui in poi MCU) è come l’universo: in espansione1. Un’espansione di cui Loki, terza serie TV Marvel-Disney in ordine di uscita, rappresenta forse il momento più significativo dell’ultimo periodo. E lo è anche al di là delle solite frasi di rito che identificano ogni nuovo prodotto del fenomeno di turno come quello “definitivo”, e che hanno l’ingrato (ma remunerativo) compito di iniettare hype nelle vene dei fruitori, contribuendo a gonfiare un gigantesco meccanismo capace di autoalimentarsi prodotto dopo prodotto, generando una tensione senza fine verso il prossimo evento corale o la prossima installazione transmediale.
In effetti, discutere del successo del MCU è un mero esercizio di stile, visto che parlerebbero i numeri; e questi ultimi non fanno altro che confermare la bontà dell’operazione, la quale non dev’essere certo attenzionata da ulteriori contributi. Più che altro, Loki riesce a essere emblema di un certo cambio di paradigma, che si è gradualmente cementato nel corso degli anni; questo rende lo show televisivo effettivamente una cosa grossa, capace di dire più di quello che mostra a livello didascalico, più di un singolo tassello in questa continuity senza fine.
Loki e i suoi fratelli (no, non parliamo di Thor).
In realtà, il percorso che conduce a Loki non nasce con Loki.
Ma andiamo con ordine, approfittando di questa meravigliosa vignetta di Leo Ortolani – realizzata per il suo CineMah a proposito de L’uomo d’Acciaio di Zack Snyder – per chiarire immediatamente il concetto.
Come suo solito, Ortolani è riuscito a rendere graficamente e con immediatezza un punto di vista (giustamente) molto radicato nel 2013: mentre la soffertona DC Comics ricercava un tono più grim and gritty e grounded, spesso affidandosi a delle visioni particolari di alcuni registi (Nolan su tutti), i Marvel Studios producevano dei cinepanettoni per le famiglie, dando spesso l’impressione di una lunga serie TV proiettata al cinema per ragioni squisitamente commerciali. I film Marvel degli esordi erano semplici: villain monodimensionali, mazzate, effetti speciali, morale in bianco/nero, eroismo classico, origini. Una ricetta condivisa con gran parte della Silver Age cartacea, una semplicità adorabile e talvolta anche un pizzico più complessa di ciò che poteva apparire in superficie. Un ottimismo gradevole e uno sguardo compiacente al futuro: tutte caratteristiche che rendono il periodo tanto caro a persone come Grant Morrison, per nominare proprio il primo che passa.
E dunque, a metà 2013 le cose stavano così. In realtà, proprio Iron Man 3 (Black, 2013) e successivamente Avengers: Age of Ultron (ultimo lavoro di Joss Whedon come architetto del MCU, 2015) iniziavano a mostrare qualche crepa all’interno del panorama pastello del primissimo periodo. Il primo introduce, infatti, una riflessione sui media e, il secondo, un certo rapporto tra Autorità e Libertà – riflessione che, come vedremo, tornerà prepotente in Loki. In effetti questo leitmotiv sarà ripreso e solidificato dai lavori successivi, Captain America: Civil War su tutti. Non è un caso che proprio i registi di quest’ultima pellicola, i famosi Russo brothers, abbiano poi continuato quel percorso che è diventato evidente nel dittico Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame. Proprio nei due lavori conclusivi della Fase 3, esplodono alcuni temi innescati dalla dottrina del supervillain Thanos, che qualcuno su internet ha definito – coraggiosamente e non banalmente – una specie di eco-terrorista.
Come abbiamo avuto modo di sottolineare discutendo di Jupiter’s Legacy e soprattutto di Miracleman, a posteriori si tende sempre a compartimentare i periodi storici, non percependo dei meccanismi di continua e graduale evoluzione che ai contemporanei sono chiari (oppure, al contrario, sono così graduali da non essere immediatamente percepibili tout-court). Guardando oggi la forma del MCU e confrontandola con quella di un paio di Fasi fa, è indubbio che sia andato incontro a una maturazione sensibile, che ricorda tantissimo la coda della Silver Age fumettistica, capace poi di sfociare nel periodo successivo, quella Bronze Age caratterizzata da una maturità maggiore rispetto al passato.
L’approdo del MCU su piccolo schermo, tramite le serie televisive prodotte direttamente dai Marvel Studios, se da un lato ha espanso ancora di più la componente transmediale del franchise, dall’altro ha consolidato quella tendenza a “dire di più” già vista al cinema, di cui discutevamo poc’anzi. Attraverso il più intimo (nel senso lato del termine) e concessivo palcoscenico televisivo, il MCU ha potuto spingere su temi sempre più attuali e riflessioni sempre più pregnanti, iniziando contemporaneamente a “giocare” con la forma propria di questo medium. In particolare, The Falcon and the Winter Soldier porta alla luce un conflitto etnico e sociale che ha occupato la seconda metà del XX secolo statunitense, riflettendo sulla figura del supereroe; Wandavision si concede il lusso di sperimentare delle soluzioni visive interessanti, parodiando determinati format televisivi presenti in altrettanto determinati periodi della storia americana.
A conclusione di questa lunghissima introduzione, bisogna quindi sottolineare ancora il cuore della questione: il MCU era già soggetto a un percorso di accrescimento e Loki rappresenta il primo, vero, prodotto che nasce già totalmente consapevole di quel percorso. E probabilmente fa anche qualcosa in più – o almeno ci prova – aprendo la strada a un discorso ancora più complesso.
No Gods or Kings, only Man (e burocrazia).
[DISCLAIMER: da questo punto in poi, l’articolo contiene SPOILER.]
– Quindi quando avranno finito, che cosa accadrà?
– Avremo finito. Niente più eventi Nexus, solo Ordine. E ci incontreremo, in pace, alla fine dei tempi. Bello vero?
– Solo Ordine? Niente Caos? Sembra noioso.
– Sono certo che a te sembri così.
– Sai mi hai dato del ragazzino impaurito…
– Ti ho chiamato in molti modi.
– È vero. Avevi torto. Io so qualcosa che i ragazzini non sanno.
– E sarebbe?
– Che nessun cattivo è mai veramente cattivo, e nessun buono è mai veramente buono.Stralcio di una conversazione tra Loki e Mobius. Loki, Ep. 2 “La Variante”.
Dopo aver rubato il Tesseract a un Tony Stark scaraventato in aria da un arrabbiatissimo Hulk durante il viaggio nella New York del 2012 per fermare Thanos nel presente, Loki si trasferisce su un pianeta desolato pronto a iniziare un piano malvagio per riprendersi dalla sconfitta impartitagli dagli Avengers. Tutto fa presagire una serie non propriamente sui generis, quando improvvisamente dei paramilitari intervengono sul posto e, senza tanti complimenti, arrestano il dio norreno per un presunto crimine nei confronti della linea temporale. Da quel momento Loki smette di essere un prodotto tipicamente Marvel, e per almeno metà serie riesce ad allunare dove nessun altro autore di questo cattivissimo meccanismo commerciale-industriale Disney era mai riuscito a mettere piede in precedenza.
Spogliato dei suoi vestiti asgardiani, Loki attraversa una serie di passaggi formali e umilianti per poi venire sottoposto a un processo affrettato e senza contraddittorio, che ricorda un tribunale ecclesiastico nei confronti di chi si è macchiato di eresia. Lo spettatore, come il protagonista, viene a conoscenza della Time Variance Authority (di qui in poi TVA) realizzata con uno spettacolare stile retrofuturistico che ricorda vagamente Fallout. La TVA non mostra alcun rispetto per la vita di chi viene condotto al proprio cospetto: si può essere falciati per non aver obbedito a un obbligo burocratico apparentemente inutile quale ritirare il numerino della fila nonostante quest’ultima non vi fosse.
Qualsiasi deviazione dal corso della storia, definito in modo quasi sacrale dai Guardiani del Tempo, delle entità cosmiche, viene immediatamente troncata dall’opera di alcune squadre dal look e dai modi autoritari. L’agente Mobius si avvicina a una bambina nel 1500 dopo un evento Nexus – così vengono chiamate le divergenze dal flusso – e, appena ottiene informazioni, cancella definitivamente (resetta) quella diramazione. Alcuni interrogativi sono inizialmente solo suggeriti, e poi espressi in maniera sempre più forte: una Variante – cioè una persona uscita fuori dal suo percorso precostituito – non è unicamente un errore, ma una vita a tutti gli effetti. E, in questo caso, i “buoni” hanno appena eliminato una ragazzina perché non aderente ai piani dei Creatori, che nemmeno loro conoscono in profondità.
Loki mostra il vero male: una burocrazia spersonalizzata che fa ciò che fa senza domandarsi nemmeno più il motivo per cui abbia iniziato a farlo. Sopra gli dei, ci sono gli uomini che seguono una procedura, usando le Gemme dell’Infinito come segnaposto. Sono sempre stati lì, hanno sempre lavorato in quel modo; ma perseguire un fine giusto attraverso un metodo sbagliato è davvero più etico che perseguire un fine sbagliato? Dove si trova il punto di equilibrio tra Autorità e Libertà? Bloccare sul nascere il caos che può generare una vita è più accettabile che lasciarglielo fare? Quanto peso ha il libero arbitrio nell’Universo, soprattutto se può portare una persona a cambiare, fidandosi degli altri?
Vedere delle simil-SS entrare in una linea temporale, dove sta per accadere una catastrofe climatica, spaventando persone che – varianti o meno – sarebbero in procinto di morire, non può che portare il telespettatore sempre più vicino al punto di vista di Loki e Sylvie. Lo stesso omicidio di colui-che-rimane da parte di quest’ultima, ricorda vagamente la posizione di Rorschach alla conclusione di Watchmen: “nessun compromesso, nemmeno di fronte all’Apocalisse”. E, in effetti, così è stato. Il rimando critico a episodi storici come l’esperienza della Germania nazista, al semplice esecutore di ordini dall’alto Eichmann e ai totalitarismi in generale può apparire forse azzardato per un prodotto che è e rimane Disney; ma non è, a conti fatti, così peregrino. Soprattutto analizzando il personaggio di Ravonna.
Proprio a proposito di colui-che-rimane, è interessante osservare come – svelata la messinscena dei Guardiani – al vertice della piramide ci sia non una divinità come Loki o un’entità cosmica, e nemmeno un’organizzazione, ma un uomo. E non un uomo qualunque, bensì uno scienziato. La ricerca tra dimensioni parallele non ha generato solo una circolazione della cultura, ma anche e soprattutto ciò che gli uomini hanno sempre saputo fare: la guerra.
Se già Kang il Conquistatore ha sempre esercitato un fascino particolare nella sua versione fumettistica, il modo e il contesto nel quale è introdotto nel MCU è credibile e carico di significato, grazie anche a una prestazione teatrale e azzeccata di Jonathan Mayors, nonostante il poco minutaggio (fisiologicamente) concessogli. In questo caso la scienza, da sempre intesa con accezione positiva, simbolo di miglioramento, evoluzione, progresso, diventa letteralmente la porta di ingresso di una guerra tra Mondi, le cui conseguenze si riverberanno per tutta la Fase 4.
Nonostante il formato televisivo si presti, in teoria, a una maggiore possibilità di concentrarsi sulle dinamiche seriali, Loki paradossalmente riesce a prendersi tempo riflettendo su cosa dire e come dirlo, piuttosto che mandare avanti solo i fatti. Anche dal punto di vista stilistico, oltre la già citata TVA, è molto interessante realizzare come ci siano continui cambi di mood all’interno di poche puntate: prima di svelare Sylvie, la serie ricorda vagamente un thriller temporale, in cui Loki e Mobius devono catturare un serial killer, in una specie di True Detective in salsa supereroistica. Solo poi si tornerà su binari più vicini al fantastico e alla Space Opera pur rimanendo il disegno dell’evoluzione psicologica dei personaggi.
Tra voglia di decostruzione ed esigenze di serialità.
[DISCLAIMER: contiene spoiler su Animal Man di Grant Morrison.]
Non sei nato per diventare Re, Loki. Sei nato per causare dolore, sofferenza e morte. È così ora, è sempre stato così, e così sempre sarà. Tutto affinché gli altri possano diventare la migliore versione di se stessi.
Mobius a Loki. Loki, Ep. 1, “Gloriosi Propositi”.
In apertura, suggerivamo che Loki potesse sfiorare addirittura qualcosa in più della Bronze Age, non vincolando solo temi e riflessioni, ma anche altro. L’altro, in questo caso, è riferito ai processi decostruzionistici e metanarrativi che la serie pare possedere a tratti, per poi ritirare tutto e proseguire su binari strettamente seriali.
In effetti, i discorsi tra Mobius e Loki sembrano introdurre una riflessione di più ampio respiro sul ruolo del villain, la cui funzione è talvolta quella di sacco da boxe per rendere gli eroi tali. Il cattivo strumentale alla storia e mezzo fondamentale per l’esaltazione dell’eroe è uno dei topos della fase “classica” del fumetto supereroistico; e Loki, in effetti, svolge proprio quel compito nel primo Avengers, controparte cinematografica di un periodo simile. È malvagio perché malvagio, vuole regnare perché è il suo destino, ciò che gli era promesso dal Fato.
Perciò, più che all’evoluzione psicologica del solo personaggio di Loki – che, sia chiaro, pure c’è e rappresentata dal conflitto finale con Sylvie – sembra quasi che la serie voglia suggerire tematiche capaci di revisionare il concetto di antagonista e in grado di introdurre una riflessione sul rapporto tra Autore e Personaggi. Loki incontra due volte delle sceneggiature: quella della sua vita, appena arrivato alla TVA, e quella dell’intero MCU, in mano a colui-che-rimane. In questo senso, pur apprezzando il modo in cui è inserito Kang nel giocattolo Marvel-Disney, rimane un velo di amarezza nel non aver potuto godere di un Loki totalmente indipendente dalle dinamiche di rigida continuity dell’universo Marvel.
Infatti, l’oppositore finale del dio asgardiano e creatore della sua linea temporale e delle disgrazie a cui è andato, va e andrà incontro, avrebbe potuto essere benissimo lo showrunner della serie o lo stesso Kevin Feige, proponendo in salsa televisiva il concetto eviscerato da Grant Morrison in Animal Man. Chi meglio dell’Autore è avversario del protagonista? Invece ci dobbiamo accontentare di una semplice crescita di Loki e del suo funambolico rapporto con Sylvie, di cui si innamora non in quanto variante di se stesso ma come incarnazione del concetto di libertà stesso a cui lui è, e rimane, devoto. In questo senso la serie sembra poi normalizzare il racconto, ponendo Loki a contatto con le sue versioni più disparate, traslando da tipo a individuo nelle dinamiche complessive della storia.
Loki è una serie particolare, capace di unire la sperimentazione visiva già apprezzata in Wandavision con il ritorno di temi e riflessioni emerse in The Falcon and the Winter Soldier, ed è simbolo dell’ingresso definitivo del MCU nella sua età del bronzo, in attesa di quella moderna e decostruzionista che chissà se avrà mai luogo (ma di cui si apprezza qualche semino già adesso). La seconda stagione, annunciata dalla Disney, potrebbe avanzare nella trama orizzontale a un ritmo più spedito di questa prima, ribaltando un’idea apprezzabile e a tratti molto coraggiosa: chissà che non possa essere così, e confermare definitivamente come la televisione sia il “luogo del coraggio” della Casa delle Idee nella sua versione live action.
AAS
1 Sì, l’abbiamo fatto. Abbiamo citato gli Offlaga Disco Pax per parlare di un prodotto Marvel. Prego.