Lucifer Morningstar: piano terreno vs piano celeste
Tra i nomi altisonanti del catalogo Netflix, quello di Lucifer Morningstar è sicuramente uno dei più googlati. Nato dalla costola del fumetto Sandman, si guadagna prima un posto da protagonista nel 2006 quando Neil Gaiman decide di disegnargli una storia tutta per lui, per poi salire sul trono delle serie tv grazie a Mike Carey. Dapprima trasmessa su Fox, la serie rischia la chiusura alla fine della terza stagione ma una vera e propria sommossa organizzata sul web da numerosi fan convince Netflix ad acquisirne i diritti, inserirla nella sua programmazione e a produrre altre tre stagioni.
Il trasloco sulla grande piattaforma ha rappresentato una vera e propria benedizione per questa produzione che nel giro di poco tempo si è trasformata in un oggetto di culto.
Tra le cause più evidenti di questo clamore c’è sicuramente la scelta di Tom Ellis come protagonista. L’attore gallese, infatti, è riuscito a vestire i panni dell’ angelo caduto con uno stile del tutto personale senza lasciare che fosse solo la sua avvenenza a tracciare le linee essenziali di un personaggio ricco di sfaccettature che lascia spazio ad interpretazioni ben più profonde.
Di certo non si è al cospetto di un capolavoro ma non serve molto per capire che l’accento british, i casi da risolvere e i momenti che strizzano l’occhio a Broadway siano solo circo e che, sotto il tendone variopinto, si nasconda una storia che merita di essere raccontata.
Antropomorfismo biblico e famiglie celesti disfunzionali
Il concetto di antropomorfismo affonda le sue radici nelle religioni politeiste come quella dell’antica Grecia e si allunga fino al Cristianesimo mostrando divinità che hanno sembianze e peculiarità umane.
Lo scopo è sicuramente quello di assottigliare la distanza tra il piano divino e quello terreno e di rendere più semplice la comprensione di un mondo che ha davvero poco a che fare con la razionalità.
Nel corso della serie si assiste ad un processo di umanizzazione di tutti i personaggi che appartengono alla schiera celeste. Che si tratti del demone Mazikeen, dell’angelo Amenadiel, di Lucifero o di Dio in persona poco importa. Ogni creatura ultraterrena viene spogliata della luce divina che la avvolge e mostrata nella sua nuda e umana debolezza.
Le interazioni tra i personaggi e l’infittirsi della trama creano un terzo piano dell’esistenza: una sorta di terra di confine all’interno della quale i mortali si avvicinano alla divinità e le creature ultraterrene sperimentano ogni emozione.
Lucifer Samael Morningstar non è più solo l’angelo che ha osato ribellarsi al volere di Dio e che per questo è stato relegato all’Inferno, è anche un figlio arrabbiato e indurito dal rifiuto, un uomo solo che si dibatte per emanciparsi dal ruolo che gli è stato attribuito, che si è convinto di aver meritato quella punizione e che ancora non ha capito quale sia il ruolo nel mondo.
Solo nella seconda metà della quinta stagione la nebbia inizia a diradarsi e si intravede la fine del viaggio iniziatico intrapreso dal figlio di Dio nel momento in cui ha deciso di prendersi una lunga vacanza a Los Angeles.
Al culmine di uno scontro tra fratelli, Dio decide di palesarsi per mettere pace tra i suoi figli ed è proprio in quel momento che Lucifer ha finalmente la possibilità di confrontarsi con quel padre che lui definisce assente e che accusa di nascondere la sua crudeltà dietro l’imperscrutabilità dei suoi piani.
L’immagine di rimando che viene offerta allo spettatore è quella di una famiglia normale, piena di quel minestrone di gelosie e verità taciute che caratterizza anche la più perfetta delle dinastie sprovviste di ali. È proprio su questo canovaccio intessuto di domande e verità rivelate che prende corpo la vera rivoluzione del nostro non più povero diavolo.
Il principe delle tenebre comprende di essere molto di più di un torturatore full-time di anime dannate, impara a mettersi in discussione e si convince di essere anche lui degno di quell’amore che tanto desidera e del quale ha visto il ruolo salvifico negli occhi dell’amata detective Decker.
A rendere ancora più umano questo percorso di redenzione e consapevolezza ci pensa la Dottoressa Linda Martin, interpretata da Rachel Harris.
La psicologa è la prima persona a vedere il vero volto di Lucifer e nella storia assume un vero ruolo di Virgilio non solo per il suo atipico paziente ma anche per tutta la schiera di creature sovrannaturali che si siedono sul suo stiloso divano.
In mezzo a loop infernali e ad ali che compaiono e scompaiono a loro piacimento, quello di Lucifer e dei suoi soci divini è un percorso volto all’autoaffermazione e al perdono di se stessi come unica chiave necessaria per aprirsi all’amore di chi è altro da noi.
Dalla matita alla pellicola
La trasposizione su pellicola di un personaggio letterario non è mai priva di insidie. Sono infatti i diversi tempi narrativi a dettare legge nella stesura dei protagonisti e delle storie; l’autore che si cimenterà nell’ardua impresa di questo “trasloco “ dovrà decidere, sì quale storia raccontare ma, soprattutto, dovrà sottoporsi alla prova specchio e decidere quanto le due versioni del personaggio dovranno somigliarsi.
Nel caso di Lucifer, si ha la sensazione che gli autori abbiano deciso di usare il fumetto come sola ispirazione e di apporre modifiche importanti.
La prima modifica sostanziale è sicuramente quella fatta sul protagonista, ad iniziare proprio dal motivo che lo ha portato nella città californiana. Mentre nella serie viene specificato che Lucifer sia scappato dall’Inferno perché annoiato dalla monotonia, nel fumetto è Dio a mandare suo figlio sulla terra con lo scopo di risolvere crimini ultraterreni in cambio di favori.
Questa premessa traccia una differenza netta nella caratterizzazione del personaggio nelle due produzioni. Il satanasso disegnato a matita è si un british man tutto fascino e perdizione come nella serie ma, al contrario di quello in completi firmati ed ossa, è un freddo calcolatore che usa gli umani come pedine per raggiungere i suoi scopi.
Anche il personaggio di Amenadiel cambia radicalmente ma la sua trasformazione si colloca nel divenire della suo percorso personale. Se, infatti, nelle prime apparizioni le due versioni sembrano coincidere e mostrano un personaggio dalla condotta morale intransigente e totalmente devoto alla figura di quel padre impegnativo, nel corso degli episodi si assiste ad un ammorbidimento fino a rendere i due fratelli alleati non solo nelle dinamiche terrene ma anche nell’andare addirittura contro Dio e le sue bislacche entrate in scena.
La differenza decisiva però è rappresentata dal personaggio di Chloe Decker. La detective infatti non è presente nel fumetto e nasce solo sulla pellicola. La scelta di inserire una storia d’amore è sicuramente una captatio benevolentiae verso il pubblico ma il merito degli sceneggiatori è stato quello di non banalizzare il lato romance della storia e di renderlo invece parte integrante dell’evoluzione di molti personaggi del cast.
Il continuo alternarsi e intrecciarsi dei piani narrativi sopra descritti e la peculiare caratterizzazione dei personaggi dona alla serie una coralità non scontata che non solo arricchisce l’intera storia ma spezza la catena potenzialmente monotona del crimine vs giustizia tipica del genere crime.
[Disclaimer: seguono spoiler su Lucifer]
Inferno e Paradiso 2.0
Trovare un finale che accontenti tutti e che non sia banale è sempre un’impresa piuttosto complessa. Diventa, però, una vera missione quando si è al cospetto di una serie che, tra meriti e demeriti, ha suscitato l’interesse di molti.
Nel caso di Lucifer gli autori sono stati bravi nell’optare per un finale non ruffiano e soprattutto non scontato, capace di accontentare anche chi sognava l’happy ending tra nuvole di panna montata e tuniche dalle tinte pastello.
Dall’analisi più approfondita dell’episodio invece si evince che il finale si sdoppi in due come a voler metter dei sigilli impressi a fuoco su entrambi i piani portati avanti nel corso delle sei stagioni.
Il primo finale è un esempio di coralità. Come in una sorta di inchino finale degli attori di uno spettacolo teatrale, viene mostrato il futuro di ogni personaggio. L’apertura del finale è solo implicita e destinata a rimanere nelle trame segrete della storia e nella fantasia dello spettatore.
Il secondo finale, invece, mostra lo stravolgimento dell’idea di Inferno e Paradiso rispetto ai canoni forniti dall’arte e dalla religione. L’Inferno non è più luogo di dannazione eterna ma offrirà un’occasione di redenzione a chi, con l’aiuto di Lucifer in versione Freud, riuscirà a lavorare sul proprio loop infernale e ad accedere infine alla Città d’Argento.
Il Paradiso invece diventa una sorta di cooperativa celeste. Ogni Angelo infatti, oltre ai propri doni di serie, avrà il compito di vegliare sul genere umano. Le incursioni sulla terra saranno necessarie in tal senso ai fini di una comprensione più completa del genere umano e delle sue peculiarità. Viene quindi sdoganata la convinzione che creature celesti ed esseri umani debbano condurre vite separate ma soprattutto viene meno la centralità di Dio che decide di condividere il proprio potere tra tutti i suoi figli.
“What Is It You Truly Desire?“
“Cosa desideri davvero?” questa domanda non è solo il mojo di Lucifer ma un principio fondatore dell’intera storia narrata nel corso delle sei stagioni.
Il desiderio non è più isolato nei confini ideologici del vizio e della perdizione ma si eleva a spinta quasi divina, foriera di cambiamenti e rivoluzioni.
Se fosse intento degli sceneggiatori quello di portare lo spettatore a interrogarsi sui massimi sistemi non è dato saperlo, e forse non è neanche così importante. Quello che rimane però dalla visione di questa serie è una fantasia piacevole, una di quelle che può far sorridere quando anche il solo osservare la realtà fa scuotere la testa con disappunto.
Se addirittura il Diavolo in persona è riuscito a fare pace con se stesso e a trovare il proprio posto nel mondo, allora c’è speranza per tutti. O magari no.
SL