Hard Times – Tempi duri
2013. Elezioni politiche in Italia e in Australia, si vota in Conclave per il futuro Papa, Berlusconi lentamente smette di essere il CEO del nostro paese, escono sul mercato GTA V, The Last of Us, Bioshock Infinite e viene lanciata l’attuale generazione di console. Non è un anno comune, un anno banale, un anno come gli altri.
Tra i mirabolanti avvenimenti che verranno ricordati di questo piccolo lasso di tempo umano di inizio decennio, ce n’è uno che è passato – forse – troppo in sordina: è l’anno di “Papers, Please”, titolo indie dello sviluppatore americano Lucas Pope. Lo scopo dell’opera era permettere al videogiocatore di indossare i panni di un incaricato alla gestione dell’immigrazione di frontiera di un piccolo paese fittizio appartenente a un simil-patto di Varsavia, nel periodo dell’ultimo inasprimento della Guerra Fredda di inizio anni Ottanta.
Il gioco di Pope riusciva in modo straordinariamente efficace a rappresentare la fase terminale dell’esperienza sovietica, ponendoci in una condizione totalmente degradata e degradante: ci rendeva galoppini di un Leviatano che si ergeva alle nostre spalle, un Leviatano che ci spingeva a scegliere tra la salute e le condizioni di vita dei nostri cari e l’etica dell’essere semplicemente umani non seguendo le direttive del Comitato Centrale, ponendoci in continuazione dei quesiti morali come quello di decidere se dividere una famiglia per via di un permesso scaduto o un timbro apposto in maniera scorretta, al fine di eseguire correttamente il nostro lavoro e pagare le bollette di luce e gas.
Un piccolo gioiello, da cui è stato estrapolato persino un corto cinematografico.
Sei anni dopo, abbiamo avuto la fortuna di poter redigere un provato per Hard Times-Tempi Duri, titolo indie italianissimo sviluppato dai Radical Fiction e disponibile adesso in Early Access su Steam.
Se già dai primi minuti di gioco l’impressione di trovarci di fronte a un gioco che per finalità è possibile accostare a quello di Pope era fortissima, dopo qualche ora è diventata assoluta. Hard Times è il “Papers, Please” di una democrazia liberale. Pone il videogiocatore, con una violenza inaudita, nei vestiti di un senzatetto, di un ultimo, di un dimenticato. Così come Papers, Please – per mostrare le brutture e le storture di un sistema ormai al punto di collasso – ci chiedeva di immedesimarci nei compiti di un censore della comunità, allo stesso modo Hard Times ci conduce a interiorizzare una condizione che è onnipresente nella nostra comunità, ma troppo spesso sottovalutata o considerata un fastidio dalla società stessa: quella di una persona che vive sulla strada.
La naturale osservazione, che emerge immediatamente e con gran forza, riguarda la funzione sociale del videogioco.
Caratteristica primaria di questa forma d’arte è senza dubbio l’interattività, intesa anche come capacità di riversare la personalità e la coscienza del videogiocatore all’interno di una costruzione narrativa – in senso lato – imposta dal creatore. A differenza degli altri mezzi di espressione, il videogioco consente quindi di ottenere una responsività totale del fruitore al messaggio, visto che ne è parte attiva e magmatica; qualsiasi esperienza – in potenza e sempre nell’ambito di una struttura non-simulacro – potrà dimostrarsi decisamente più immersiva rispetto a un’equivalente narrativo o un racconto per immagini.
Il gioco è una potentissima critica al nostro sistema sociopolitico che, in barba alle concezioni del “mitigare la lotteria naturale attraverso il welfare” di John Rawls, si avvia sempre più verso una sperequazione nel dualismo tra libertà e sicurezza; se si unisce a questo la disparità, sempre più evidente, nella distribuzione della ricchezza, non resta altro che prendere atto di come le moderne città liberali assomiglino sempre di più a degli incubi di distopica gentrificazione, in cui essere povero è una colpa e la visione di quella colpa non è né gradita né accettata dal resto dei consociati, quasi come uno scarring effect, un effetto cicatrice che marchia a vita il singolo soggetto.
Dicevamo della funzione sociale del videogioco. Date le sue caratteristiche di immersività e interattività, vivere la strada risulta un pugno nello stomaco in Hard Times. Sotto la forma candida, fumettosa e talvolta caricaturale disegnata da Ivan Preziosi si nasconde il germe della violenza e della sopraffazione della società verso il più debole, costretto ad arrangiarsi e continuamente sottoposto a scelte etiche pur di sopravvivere: rubare, scippare, frugare nell’immondizia, occupare gli spazi architettonici della città con giacigli di fortuna, correndo via dal fascista di turno che per semplice divertimento decide di ridurre in fin di vita il nostro senzatetto.
Ci viene incontro un sistema di crafting abbastanza intuitivo, capace di fornirci strumenti di sopravvivenza in grado anche di violare gli spazi sopra menzionati.
L’inverno è freddo, spietato, senz’anima. Pregherete per una coperta e un fuoco acceso: Hard Times è un gioco complesso, che non fa sconti come la strada stessa, come la nostra società, è una specie di Pathologic della disuguaglianza in cui ci si muove per istinto, con l’unico obiettivo di sopravvivere ancora un giorno.
Sarebbe interessante introdurre nel dibattito pubblico sul ruolo dello Stato nell’economia – quale contributo ad adiuvandum com’è sempre quello artistico – anche un videogioco come Hard Times, un videogioco che non scade mai nella semplice provocazione ma è spesso gentilmente feroce nel centrare il punto, sin dalla schermata di avvio che si apre con una particolare ordinanza comunale in materia.
Sarebbe interessante introdurre nel dibattito pubblico sul ruolo dello Stato nell’economia – quale contributo ad adiuvandum com’è sempre quello artistico – anche un videogioco come Hard Times, un videogioco che non scade mai nella semplice provocazione ma è spesso gentilmente feroce nel centrare il punto, sin dalla schermata di avvio che si apre con una particolare ordinanza comunale in materia.
Comprate Hard Times. Giocate ad Hard Times. Discutete di Hard Times.
Discutete della nostra società.
AAS