L’influenza del modello Ubisoft e i “due Horizon”
Che cosa hanno in comune Forza Horizon 5 e Horizon: Forbidden West? A una prima occhiata, a parte il nome, nulla. Uno è un gioco di macchine semi-arcade, un po’ folle e con una forte componente online. L’altro è un action adventure fantasy, con meccaniche RPG e un focus sulla narrativa.
Eppure, giocandoli, è facile notare qualcosa che li collega. Apri la mappa, setta il navigatore verso la prossima quest/gara, arrivaci osservando gli stupendi paesaggi, avvia l’evento, completalo, ripeti da capo. Dopo cento ore forse hai quasi finito. Ciò che avvicina due videogiochi che sulla carta sono completamente diversi è la struttura che li sorregge, cioè il modello Ubisoft.
Il modello Ubisoft
Parliamo genericamente di modello Ubisoft per quei videogiochi che applicano la base videoludica concepita e implementata dai primi Assassin’s Creed. Mappe open world molto estese, strabordanti di eventi, collezionabili e punti di interesse. Questi vengono mostrati in mappa solo dopo l’uso di apposite torri (o simili) poste in giro. È un modello caratterizzato da una forte ripetitività che fa leva sul concetto di “completamento”, portando il giocatore a voler “pulire” la mappa da qualsiasi obiettivo segnalato.
È di gran lunga il modello più utilizzato dai grossi titoli moderni. Partendo dai giochi, appunto, Ubisoft, che ne fanno tutti utilizzo, passando per The Witcher 3, Ghost of Tsushima, Biomutant, Days Gone, fino ai due Horizon. Il perché è semplice: è uno schema standard che crea quasi automaticamente appeal ed engagement nei videogiocatori.
La maggior parte di questi videogiochi è tutta simile, omologata, quasi prodotta in serie. Nonostante parliamo di giochi che possono sembrare molto diversi, in realtà il gameplay loop è pressoché identico. Breath of the Wild è uno dei pochi prodotti riuscito a differenziarsi notevolmente, innovando la struttura pur rimanendone ancorato. Per tutti gli altri prodotti si può parlare più di variazione sul tema.
Diverso contenitore, stesso contenuto
Sorge quindi un problema. Pur sapendo che la formula è collaudata e funzionante, il cliente non li giocherà tutti, ma solo qualcuno. Serve quindi qualcosa che faccia emergere il proprio prodotto dal marasma. Ciò a cui si ricorre è un elemento che a questo punto diventa cruciale: l’ambientazione.
Ed ecco che gli Assassin’s Creed si ambientano sempre in un periodo storico diverso, i Far Cry in una parte del mondo sempre diversa, Biomutant si butta in un mondo post-apocalittico furry, Ghost of Tsushima utilizza il Giappone feudale, il futuro Hogwarts Legacy utilizza la famosa scuola di Magia e Stregoneria, e così via. Rimanendo tutti, di base, lo “stesso” videogioco.
L’originalità o la novità dell’ambientazione diventa lo spartiacque che fa cadere la scelta sull’uno o sull’altro prodotto equivalente. Il punto non è giocare un gioco diverso, ma giocare sempre lo stesso prodotto calato in una ambientazione differente, una in cui il fruitore vorrebbe trovarsi.
I due Horizon
Torniamo quindi al nostro esempio iniziale: i due Horizon. Due giochi ad una prima occhiata totalmente differenti, si scoprono incredibilmente simili pad alla mano grazie al modello Ubisoft che li uniforma. In particolare Forza Horizon, pur essendo un gioco di guida, riesce ad essere quasi una avventura su quattro ruote, diventano estremamente fruibile anche a chi di auto non è interessato.
I due Horizon fanno quindi ciò che devono per cercare di elevarsi dalla moltitudine, riuscendoci peraltro. Dopotutto il loro nome comune è già un indicatore di come siano direzionati verso l’ambientazione come punto focale.
Forbidden West sceglie di rendersi appetibile utilizzando un mondo tecno-medievale e tribale, con enormi robot dalle forme animalesche da combattere. Civiltà, folklore, luoghi, vestiario e paesaggi vengono particolareggiati e immessi nella mappa, composta da una varietà di ambienti invidiabile. Gli habitat delle macchine da combattere sono inseriti così bene da non stonare minimamente con i lussureggianti paesaggi punteggiati da rovine del “vecchio mondo” ricoperte di vegetazione.
Forza Horizon 5, invece, punta a ricreare fedelmente un pezzo di mondo reale, cioè una parte Messico. Riproduzioni minuziose di città, paesi, luoghi, valli, montagne, giungle e antiche piramidi azteche sono pronte ad ospitare gare in auto di qualunque tipo e forma, tutto condito con la cultura locale. Di nuovo la varietà di ambienti è enorme così da percorrerne le strade ammirando le maestose visuali che il Messico può offrire.
Ambientazioni scollegate
Entrambi i videogiochi fanno enorme sfoggio di queste spettacolari ambientazioni, tanto che è immediatamente percepibile che senza questo elemento sarebbero monchi. L’impegno profuso nella realizzazione di una mappa dettagliata e grandiosa è palese. Non rifaresti così volentieri gare molto simili tra loro, né abbatteresti l’ennesimo robot a colpi di frecce, se non fossero calati in un contesto così meraviglioso da contemplare. La varietà degli scenari diventa la varietà mancante del gioco. Non solo, la loro appartenenza ad una struttura ludica abusata, piatta e generica, fa si che quasi tutta l’identità del gioco sia demandato a l’ambientazione.
Questo è tanto più vero osservando il fatto che entrambi i capitoli sono prettamente identici ai loro predecessori, se non per qualche piccola differenza. Ciò che li differenzia realmente è dove questi si svolgono. Scambiando le mappe tra Zero Dawn e Forbidden West, o tra Forza Horizon 4 e 5, non ci sarebbero praticamente differenze nel giocato. Lo stesso criterio regge anche scambiando le mappe tra i due Horizon. Si può benissimo infilare Aloy ad abbattere robot nel Messico e una gara d’auto off road nell’Ovest Proibito senza che l’equilibrio dei due videogiochi sia minimamente intaccato.
In pratica, nonostante sia così centrale per caratterizzare il prodotto, l’ambientazione è scollata dal modello ludico che sorregge il videogioco. Non vi è vera sinergia con il gameplay, proprio perché inserita a posteriori su un modello basilare standardizzato.
Ovviamente una ambientazione ricca e visivamente mozzafiato giova a qualunque videogioco, ma nei prodotti che utilizzano modelli “prefabbricati” diventa vitale perché non affoghino nel mare di giochi simili. Un altro esempio plateale di questo fatto è la serie strategica dei Total War.
Il piacere di “pulire” una bella mappa
Eppure non si può negare che questo metodo funziona. Sfrecciare a tutta velocità o abbattere T-Rex Robotici tra paesaggi così superbamente realizzati dà tutto un’altra sensazione. Si può dire che i due Horizon siano migliori dei loro predecessori proprio per la qualità realizzativa dell’ambientazione, poiché sul lato del gameplay quasi non differiscono.
I due Horizon rappresentano due ottimi esempi di come il mercato tenda a riproporci un modello consolidato e funzionante sotto molteplici aspetti, camuffandolo in una varietà che non gli appartiene. Una forma diversa, per una stessa sostanza già giocata e rigiocata.
E non sorprende che una formula così vincente venga tanto sfruttata, creando giochi cloni inseriti nelle più disparate location. Nessun’altro media è riuscito a finalizzare un modello così preciso, schematico e adattabile per creare un prodotto con apprezzamento semi garantito. Rimane infatti inequivocabile che anche dopo mille giochi “uguali”, basterà un’altra ambientazione stupenda e saremo di nuovo tutti lì, a “pulire” l’ennesima mappa.
GT