Si scrive Death Stranding, si legge Sons Of Liberty 2
[DISCLAIMER: L’ARTICOLO CONTIENE SPOILER SU METAL GEAR SOLID E NEON GENESIS EVANGELION]
Il cuore del discorso era l’incapacità di dimenticare della Rete, a fronte di una impossibilità di andare avanti per l’intera razza umana nel caso in cui determinate faccende si fossero riverberate nel sociale senza alcuna selezione pregressa e senza alcuna verifica di attendibilità (qualcuno ha detto fake news?). Insomma, saremmo scivolati in un pantano senza fine da cui solo l’intervento delle IA avrebbe potuto salvarci, dei moderni censori, dei deus ex mac(c)hina capaci di proiettarci verso un uso consapevole dei potenti mezzi telematici del nuovo millennio; e se questa lungimiranza ancora non vi spaventa, in parallelo vengono sviluppati quattro ulteriori discorsi. Il primo, strettamente legato a quanto appena discusso, è sulla gestione di quei dati da parte dei privati non solo per bonariamente “controllare” il processo evolutivo e dirigerlo su lidi più sereni, ma anche per modificare gusti personali e creare le classifiche di vendita proiettando i processi artistici su delle standardizzazioni produttive, semplicemente ricevendo analisi di mercato al fine di profittare.
Il secondo, brevemente sfiorato quando è falsamente rivelato che S3 stia per Solid Snake Simulation, una simulazione paramilitare atta a creare esperienza “reale” attraverso un’interazione “virtuale”, riguarda il Videogioco, il quale è strutturato secondo un’interazione troppo spesso violenta e a favore del singolo, non della comunità, sia nelle esperienze cooperative classiche che nei multiplayer competitivi dove – rispettivamente – bisogna ottenere un vantaggio o sfruttando l’altro o sull’altro: insomma l’uomo è sempre un mezzo e mai un fine. Kojima si rivolge poi alla società attuale dei consumi nel terzo punto, ben esemplificato dai dialoghi codec tra Raiden e Rose: questi ultimi rappresentano l’incomunicabilità umana all’interno di un nucleo fondamentale, quello di coppia (indipendentemente dal sesso, data la componente androgina di Raiden), e la conclusione dell’esperienza della comunicazione verbale, descrivendo una società distante, fredda e totalmente alienata da un utilizzo deviato delle nuove tecnologie. I wouldn’t even know the real me myself dice il nostro Jack alla sua bella, non mi conosco nemmeno io, figurati come puoi farlo tu.
La crisi della comunità si è riverberata sull’individuo, che davanti al disfacimento della prima evita gruppi di discussione più grandi (avoid larger forums, dice Kojima) e si ritira in comunità amene, comunità piccole dove ottiene consenso e non crescita. Insomma, il Game Director nipponico aveva visto non solo cosa sarebbe successo con la nascita dei social, ma anche cosa sarebbe accaduto con il diffondersi dei veleni attraverso di essi: l’abbandono di tale piattaforme, il ritiro in luoghi virtuali meno ampi, la chiusura dell’individuo anche sulla Rete.
Quest’ultima è una tematica molto simile, se non sovrascrivibile, a quella trattata nell’immenso anime di Hideaki Anno, Neon Genesis Evangelion. Come in Metal Gear Solid 2, è probabile che se ci si concentra unicamente sugli Angeli, gli Evangelion, la Nerv, il Third Impact, ci sarà sempre un passaggio che non sarà chiaro e l’intera esperienza risulterà deludente: Anno e compari hanno scritto molto spesso per accumulo, con l’intento di confondere lo spettatore e farlo sintonizzare con l’opera a livello emotivo, quasi escatologico, più che in termini di razionalità.
Alla fine tutti gli aspetti non strettamente psicologici o inerenti alla raffigurazione dei personaggi, specchio poi di un “modello” di spettatore a cui si rivolgevano gli autori nella desolazione di un certo tipo di subcultura di metà anni novanta, non sono altro che un gigantesco MacGuffin per condurre alla chiosa finale: nel momento in cui Shinji uccide il Fifth Children – e viene realizzato lo scarto rispetto a quando si era rifiutato di distruggere l’Eva 3, pur non sapendo chi ci fosse dentro – la realtà viene meno perché non ha più senso di esistere. Se sono gli altri, nel modo in cui ci vedono e nel modo in cui noi vediamo loro, processati dalle nostre categorie di senso, a costituire la percezione di ciò che è vero, allora nessun principio di giustificazione superiore può spingerci al punto di cancellarci a vicenda, giustificando l’omicidio. Infatti, ciò significherebbe annullare noi stessi, costringerci in un mondo di incomunicabilità, una regressione a organismi basilari; e non per niente Shinji, nell’ultimo episodio, diventa un bozzetto. L’unico modo per sfuggire all’incomunicabilità è accettare l’altro, assorbirlo nel proprio essere, non più a livello fenomenologico ma di noumeno. Sembra quasi che il nostro Hideo abbia voluto allargare ulteriormente la sfera dei destinatari del messaggio, rivolgendolo non più solamente agli Otaku a cui Anno si rivolgeva direttamente, bensì alla più ampia quantità di persone, videogiocatori o meno, le cui esperienze comunicative stanno per essere – o sono già state – terribilmente compromesse.
Sembra quasi che nel successivo passaggio, il tutto venga ulteriormente amplificato: gli uomini non sono fatti per vivere soli, ci dice una voce femminile, sono fatti per ritrovarsi insieme, per aiutarsi l’un l’altro. E se noi come persone non ci riusciremo, se non potremo essere uniti… insomma, l’antifona è chiara. Solo (ri)partendo da un concetto comune e condiviso di società, saremo in grado di andare avanti come umanità; e questo non può essere lontano dalla cessazione dell’incomunicabilità. Siamo molto, molto vicini al Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo promosso dalla Seele nel già citato Neon Genesis Evangelion.
come motore dell’intera esperienza: difficile non collegarlo al progetto S3. Potrebbe non essere solo un caso: e se la Selezione per la Sanità Sociale, l’unico modo secondo le IA di mantenere la nostra società coesa nel prossimo futuro, fosse portata a termine semplicemente agendo in connessione con gli altri? Sembra quasi un voler chiudere il cerchio. Così come GW e soci evidenziarono i problemi di maturità della nostra razza di fronte a un grande ammasso di informazioni trovando una cura nel controllo esasperato, così a livello totalmente “meta” Hideo Kojima pare rivolgersi a una società, la nostra, già finita e fratturata, spiegandoci come sono le connessioni che creiamo, in gioco e fuori dal gioco, a definirci umani e a creare la realtà che percepiamo. E, conseguentemente, a poterci salvare.
In conclusione, l’impressione è quella che il carcerato, evaso dalla cella da lui stesso creata, sia tornato su un discorso a lui caro e che per motivi strettamente commerciali aveva dovuto parzialmente sacrificare sull’altare della “necessità di serialità”, dando a un gioco strettamente filosofico e concettuale un prequel, ma soprattutto un parodistico sequel, di cui forse egli stesso non sentiva alcun bisogno. E allora il primo pensiero, sfuggito dalla gabbia, è stato forse quello di riprendere il suo titolo più provocatorio e criptico: per dargli un vero prosieguo, dopo una riflessione durata quasi due decenni e che molto ha in comune con quanto elaborato da altri artisti in differenti campi, a dimostrazione – se ve ne fosse il bisogno – di non trovarci di fronte a un esercizio di stile ma a una domanda che la modernità pone con forza durante questi anni e a cui è obbligatorio replicare.
Dove eravamo rimasti?
AAS