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Il videogioco è un’opera aperta

Matteo Chimienti
21 ottobre 2022

“Non ho mai visto tanta gente offesa così”, scriveva Umberto Eco in una postfazione alla sua Opera Aperta, “Sembrava che avessi insultato le loro mamme. Dicevano che non è così che si parla dell’arte. Mi coprirono di contumelie. Furono anni di grande divertimento” 1. E con lo stesso entusiasmo troviamo finalmente nella stessa Opera Aperta di Eco (e nella conseguente disapprovazione del pubblico critico) il tassello mancante della nostra percezione, che ci permette di individuare l’esatta posizione del mondo videoludico nello spettro della critica.

Il discorso critico, qui stimolato da Eco e dal suo contributo sull’indagine intorno alla ”opera d’arte”, non è affatto volto, come si vedrà, ad alcuno sforzo di sollevare il videoludismo intero per riporlo sul piedistallo dorato, limpido e luminoso dell’Arte. Piuttosto, se vogliamo individuare qui un’intenzione pratica, è volto a rivelare il vero volto sudicio dell’arte (scritta con la minuscola), a distruggerne il piedistallo stesso per osservarla più da vicino, faccia a faccia, per provare a definire i lineamenti che con l’età ha assunto ai giorni nostri, anche fossero essi i lineamenti di una certa “indefinitezza”2.

In ultima istanza, per mostrare come, sudicia e umile (aperta e indefinita), sia capace di accogliere più segmenti della nostra realtà, tra i quali si colloca senz’altro il videogioco.

Portaci la ragazza e annulla il debito.

Definire le circostanze storico-culturali, e più semplicemente il modo in cui il videoludismo affronta la problematica dell’arte significa, anche e conseguentemente, individuarne la posizione nel campo della critica.

Per farlo, ci serviremo di alcune delle più influenti considerazioni teoriche dell’avanguardia critica e filosofica, tracciando una coerente linea di pensiero lungo almeno quattro diverse prospettive: una puramente critico-artistica, che ci viene in aiuto dalla suddetta esperienza echiana; una psicologico-culturale, che può spiegarci in un certo senso l’aspetto fondamentale di necessità alla base del fenomeno videoludico tramite il contributo della filosofia benjaminiana e la psicologia transazionista; una socio-economica, offertaci dal pensiero sanguinetiano; e una generalmente filosofica, che ha tutto il carattere di una premessa integrante e necessaria a una tranquilla sopravvivenza del discorso.
Cominciamo, quindi, con quest’ultima.

(S)oggettivismo

Innanzitutto, bisogna avvertire che ciò che qui si introduce è senz’altro di carattere generalissimo (ma non necessariamente assoluto). La nostra premessa prende, infatti, come si vedrà, la forma di un astuto espediente applicabile a qualsiasi forma critica che voglia evitare quell’eterno e insolubile dibattito su quanto di oggettivo e soggettivo possa esserci in un testo o un discorso come il nostro; dibattito, questo, al quale si giunge spesso spontaneamente nelle post-considerazioni o contestazioni di un determinato lavoro critico. Ebbene, non lo eviteremmo affatto se tale dibattito non fosse tanto vano quanto assolute e obsolete sono le concezioni di soggettivismo e oggettivismo implicite in esso. Quindi, diremo che la critica in generale è strettamente legata ad una certa dose di oggettivismo, nella misura in cui si propone di mostrare un certo discorso tramite un’operazione di “montaggio critico”3, e ad altrettanta dose di soggettivismo, nella misura in cui il montaggio è praticato nei modi particolari di chi scrive (o parla).

Ma ancor più che queste considerazioni benjaminiane, per meglio definire il pratico relativismo di ciò che intendiamo come “oggettivismo” ci verrà in aiuto Antonio Gramsci. “Cosa significa «oggettivo»?”, si chiede allora Gramsci nel Quaderno 8 dei suoi Quaderni del carcere.

Non significherà «umanamente oggettivo» e non sarà perciò anche umanamente «soggettivo»? L’oggettivo sarebbe allora l’universale soggettivo, cioè: il soggetto conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario”.

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Q8 (XXVIII), § (177).

Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Q8 (XXVIII), § (177).

Ora, esprimere lo stesso concetto con altre parole sarebbe quasi impossibile, ma molto probabilmente le estenuanti ripetizioni e gli intrecciamenti di “oggettivo” e “soggettivo” sono operati dal filosofo con lo scopo di unire una volta per tutte due parole che nei secoli hanno diviso pensieri e sistemi filosofici, e di comporle in una lucida concezione del mondo che abbia, in ultima istanza, i piedi per terra, dove si riconosce l’esistenza di un “sistema culturale unitario” difronte al quale lo ”oggettivo” ritrova il suo posto nel nostro mondo e non cede spazio ad alcun epistemologico daltonismo.

“Press A to open“

Quanto di “umanamente oggettivo” o “umanamente soggettivo” troviamo nel nostro discorso, ci è reso noto da Eco in più di un’occasione nel suo libro Opera Aperta. Una rapida analisi ci verrà senz’altro in aiuto, per quanto sia possibile ridurre ai minimi termini un discorso così vasto senza cadere in equivoci (nonostante tecnicamente sia impossibile, come vedremo).

Per iniziare, il titolo stesso si riferisce direttamente a una certa “apertura”, la cui “esistenza” è “connaturale a ogni opera d’arte”. 4 Ciò che qui ci interessa, però, è il modo in cui questa apertura è connaturale all’arte, che ovviamente è direttamente legato al modo in cui Eco percepisce l’opera, evidentemente non abbastanza condiviso, e perfino ripudiato, dalla critica del 1962, anno della prima pubblicazione di Opera Aperta. Un anno dopo il gruppo ’63 aprirà le porte alla neoavanguardia italiana, e la seconda pubblicazione del 1967 sarà accolta dal pubblico critico con più comprensione generale. Il destrutturalismo con gli studi dei formalisti russi, l’azione pratica delle avanguardie letterarie, le nuove scienze linguistiche alla luce delle considerazioni jakobsoniane, le teorie sul significato di “significato” fino alla più implicita forma di percezione della teoria dell’informazione stavano gradualmente esercitando la loro influenza tra le consapevolezze critiche.

Sintetizzando prima e applicando poi l’idea di base echiana al nostro argomento, e discorrendo da essa, saremo quindi capaci di cogliere quell’elemento fondamentale della relazione di connaturalità tra apertura e arte che ci indicherà con chiarezza la posizione che il videoludismo assume nel discorso estetico.

Vedremo quindi che:

ogni forma artistica può benissimo essere vista […] come metafora epistemologica: vale a dire che, in ogni secolo, il modo in cui le forme dell’arte si strutturano riflette […] il modo in cui la scienza o comunque la cultura dell’epoca vedono la realtà.

Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 50.

Tuttavia, ovviamente, l’arte non può considerarsi “come sostituto della conoscenza scientifica”, poiché appunto “la conoscenza del mondo ha nella scienza il suo canale autorizzato”; piuttosto, “più che conoscere il mondo, produce dei complementi del mondo”, con un’azione pratica il cui carattere gnoseologico si limita alla metaforizzazione della realtà. A cominciare dalla stessa pagina, Eco procede con un’illuminante e incredibilmente sintetizzante discorso che inquadra in pochi paragrafi una sorta di “storia generale del pensiero estetico e della percezione estetica.“ L’opera conchiusa e univoca dell’artista medievale rifletteva “una concezione del cosmo come gerarchia di ordini chiariti e prefissati”, scritti e stabiliti in una sorta di predefinita enciclopedia medievale dai significati precisi e ben noti a quella ristretta cerchia di lettori che allora era effettivamente a disposizione.

Tuttavia, nell’epoca rinascimentale, “L’apertura e il dinamismo barocco segnano proprio l’avvento di una nuova consapevolezza scientifica: […] il prevalere cioè dell’aspetto soggettivo, lo spostare l’attenzione dall’essere all’apparenza degli oggetti architettonici e pittorici”, della ”impressione e della sensazione”, e ovviamente, “l’abbandono del centro” e “l’assimilazione della visione copernicana dell’universo”. Un relativismo che, insieme ai nuovi approcci empiristici che trovano il loro culmine e la loro rinascita nell’empirismo inglese, è capace di abbattere i “corollari metafisici” dell’epoca precedente.

E ancora:

nell’universo scientifico moderno […] le parti appaiono tutte dotate di uguale valore e autorità, e il tutto aspira a dilatarsi all’infinito, non trovando limite né freno in alcuna regola ideale del mondo, ma partecipando ad una generale aspirazione alla scoperta ed al contatto sempre rinnovato con la realtà.

Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 51.

L’opera aperta si inquadra quindi come principale generatrice di quei complementi del mondo che corrispondono a tale approccio scientifico “moderno”, filtrato, assimilato e riprodotto da quel “sistema culturale unitario”, e che considerato in ultima istanza, e nel lungo termine, genererà i joyciani Finnegans Wake. Ma il nostro esempio, il videoludismo, avrà luce un secolo dopo, e tuttavia non sembra poi così distante dalla nozione echiana della “opera aperta (e più ancora dell’opera in movimento), dell’opera che ad ogni fruizione non risulta mai uguale a se stessa”. Cos’è che succede nel frattempo, se non un logico, razionale passo nella stessa direzione dialettica?

Tale direzione, avendola quindi inquadrata in una graduale apertura che va di pari passo con lo sviluppo degli approcci scientifici (e il conseguente moltiplicarsi delle scienze stesse), arriverà lentamente a farsi complemento di quella macro-tendenza della scienza contemporanea che Eco, citando Pousseur, identificherà intuitivamente nell’espressione di “campo di possibilità”, che interseca in una illuminante relazione di specificazione due termini-concetti “mutuati dalla cultura contemporanea”5.

Il “campo” si riferisce quindi ad un interagire di varie e molteplici forze (e non di un’unica causa) nel susseguirsi di varie e molteplici conseguenze (e non di un unico effetto); allora, le “possibilità” diventano gli elementi agenti su tale campo, diventano le stesse forze e gli stessi prodotti ad un tempo. Sarà chiaro oramai che l’estetica non cede più spazio a quel lontano chiuso e univoco enciclopedismo medievale. La parola non è più strettamente legata ad un’unica definizione dettata ed imposta dall’alto, né tantomeno può esserlo l’opera, il gruppo di parole e le loro relazioni. Tuttavia, fermarsi a porsi tali dubbi e tali considerazioni solo e strettamente in riguardo alla relazione tra parola e significato sarebbe atteggiamento miope, e altrettanto sterile, derivativo, reiterativo e datato.

The Outer Worlds, un’opera aperta.

Pare che lo stesso Eco negli anni Sessanta avesse già superato questo problema quando distingue tra opera aperta e opera in movimento, precisamente come l’una iperonimo dell’altra. Infatti, mentre qualsiasi opera è dopotutto più o meno aperta (in quanto sempre e comunque suscettibile di interpretazione, per quanto enciclopedicamente determinata sia), l’opera in movimento è un tipo di opera altamente aperta che (e perché) vuole essere aperta, cioè che (e perché) si pone come criticamente cosciente di quel campo di possibilità in cui versa la nostra realtà, cioè la realtà così come percepita dalla cultura contemporanea, dall’umanamente oggettivo/soggettivo.

Facendosi cosciente di ciò, quindi, l’opera in movimento si fa aperta direttamente nella sua struttura essenziale, direttamente nei modi in cui si produce e riproduce. In letteratura questo tipo di distinzione non è poi così immediatamente individuabile, per ovvi motivi: poiché essa dopotutto è l’arte della parola (per dirla in breve), e poiché il discorso qui affrontato si origina e prende piede proprio dal discorso sul linguaggio (sul rapporto tra parola e significato). Forse non è un caso che i primi esempi che Eco dà di opere in movimento sono esempi musicali (come le composizioni di Luciano Berio).

Questo tipo di categorizzazione diventa immediato attraverso l’esempio fornito dalla poesia della neoavanguardia italiana:

e ormai un sogno respinto ma in masticazione ma il sogno

ma il sogno stesso era una vita

masticazione e vita e produzione e sogno in cerebro meo

soltanto in cerebro meo dove l’orizzonte è seriamente orizzonte

Edoardo Sanguineti, Laborintus, 1954, vv. 25-27

Oppure:

mi infilo in bocca una mia mano,

scendo nella mia gola più profonda, con il mio braccio, e avanti, e sotto, sempre più

dentro, giù, passe-passe di passe-partout, finché mi afferro infine, lì in fondo fino

al fondo, con il mio dito (che mi è l’indice mio), l’anello del mio elastico sfintere:

e tiro forte, è fatta: mi rovescio le viscere, e mi sembro la scuoiatura del coniglio,

forse: e grido, su dall’ano, ma piano:

venite qui, e vedete: è questo l’uomo nudo,

il vivo e il vero, se lo prendi nell’intimo dell’imo (servito al naturale)

Edoardo Sanguineti, Cataletto 12

Terminando così, con i due punti.

E ancora, per un ultimo esempio:

per preparare una poesia, si prende “un piccolo fatto vero” (possibilmente

fresco di giornata): c’è una ricetta simile in Stendhal, lo so, ma infine

[…]

ho fatto il nome

di Stendhal: ma, per lo stile, niente codice civile, oggi (e niente Napoleone, dunque,

naturalmente): (si può pensare, piuttosto, al Gramsci dei Quaderni, delle Lettere, ma

condito in una salsa un po’ piccante: di quelle che si trovano, volendo, là in cucina,

presso il giovane Marx):

Edoardo Sanguineti, Postkarten 49

Anche se non ci fermeremo, qui, ad analizzare questi “pezzi di poesia”, si può chiaramente osservare come essi siano in fondo aperti non solo nel significato, nel contenuto, ma anche nella struttura, nella forma.

D’altronde, che forma e contenuto in poesia siano strettamente legati come in fondo un’unica cosa è ormai un dato di fatto sin dai tempi di T.S. Eliot, quando nella sua introduzione ai Selected Poems di Ezra Pound, scagliandosi contrò la “spuriousness” della poesia di Whitman, scriveva che

People may think they like the form because they like the content, or think they like the content because they like the form. In the perfect poet they fit and are the same thing: and in another sense they always are the same thing.

Ezra Pound, Selected Poems, edited with an introduction by T.S. Eliot, Faber and Faber Limited, London, 1948 [1928].

In queste opere sanguinetiane, l’apertura non solo è superficialmente visibile negli spazi dei versi, ma anche nella sintassi, nella scelta dei termini, delle loro associazioni. Il contenuto non può fare a meno che dipendere da ciò, e viceversa, originalmente, la forma non poteva fare a meno che originarsi dal contenuto. In questo modo, le possibilità a cui siamo sottoposti quando fruiamo l’opera sono sì aperte, e in un certo senso infinite, ma pur sempre agenti in un campo dato dall’autore, dal suo sistema di pensiero, che tuttavia nel caso delle opere in movimento vuole e cerca di fondare il campo sulle possibilità stesse.  

Ora, se ragioniamo un po’ sui videogiochi e sulle loro modalità d riproduzione (di fruizione del prodotto estetico) vediamo come non solo il videogioco è un’opera aperta nella sua struttura essenziale (proprio come ogni opera d’arte dovrebbe essere, anche se relativamente a quale arte e in quali condizioni storico-culturali), ma osserviamo che il suo avvento nella storia e nella cultura mondiale non è dato solo da una casuale convergenza di sviluppi tecnologici, gusti estetici ed interessi economici. Piuttosto, è dato da un lento, graduale e razionale formarsi di condizioni altamente favorevoli ad esso, tra le quali la direzione (ed eterodirezione) estetica, che trova il suo canale indicato in una sempre più cosciente e intenzionale apertura. Insomma, il videogioco è una necessità estetica.

Per non dimenticare quanto appena detto, quando Gramsci scriveva in uno dei suoi punti sintetizzanti del Quaderno 14 “che ogni fatto è stato razionale”, intendeva che la “storia” (il passato, ciò che è stato ed esistito) ha “avuto la sua ragion d’essere”, ha avuto delle “condizioni su cui la razionalità si basava”.6
Ciò, ovviamente, rimanda a quanto discusso in apertura di pezzo, e cioè alla condizione di Benjamin nella quale si realizzava che la scrittura è un montaggio di parti di realtà che si limita a mostrare, senza dire o formulare nulla, poiché tendente all’oggettivo, ma cosciente di non poter prescindere dal soggettivo. Un montaggio è, in fondo, una rete di informazioni tanto inedita quanto “inedita” è la mente che la percepisce, l’ideologia.

Spostandoci sul piano collettivo e sociale, l’ideologia (la rete) dell’opera aperta ha forse costituito una delle maggiori “condizioni” di esistenza del videoludismo, dopo aver subito studi e anni di sviluppo, per così dire, sottobanco, facendosi rumorosamente strada tra gli estremismi delle avanguardie prima e strisciando poi nascosta, spesso inconsciamente assimilata, persino tra i moderatismi liberal della cultura pop degli ultimi anni. Se il videoludismo è una necessità estetica, l’opera aperta è una necessità storica. Entrambi razionali, e l’una categoria ed estrema espressione dell’altro, hanno creato dei mondi possibili che comunicano, interagiscono e reagiscono direttamente con il fruitore, il videogiocatore.

Insomma, “l’opera si pone intenzionalmente aperta alla libera reazione del fruitore” 7, e avviene in ogni singolo istante, in ogni singolo dettaglio, tanto che senza tale reazione (senza un fruitore, un giocatore) quell’istante non esisterebbe affatto. L’opera d’arte aperta (il videogioco) non esisterebbe senza un fruitore (un videogiocatore) capace di completarla. Chiaro, no?

Come dice Eco,

“L’autore offre […] al fruitore un’opera da finire: non sa esattamente in qual modo l’opera potrà essere portata a termine”, nonostante effettivamente si concretizzerà una forma “che è la sua forma, anche se organizzata da un altro in un modo che egli non poteva completamente prevedere”.

Umberto Eco, Opera aperta, p. 58-59.

L’autore ha solo proposto delle possibilità, ha offerto un sistema: il fruitore lo esplora e se ne fa quasi co-autore. Il videogioco, più di qualsiasi altra opera, diventa quindi un’infinitudine di esperienze volutamente interrotte, che aspettano di essere completate, che soddisfano quella necessità all’apertura interpretativa ed interattiva verso la quale la nostra esperienza artistica, scientifica e culturale si è sempre diretta e si dirige ancora.

L’arte di tutti i tempi [appare] come una provocazione di esperienze volutamente incomplete”, come un’“esperienza frustrata” che stimola “la nostra naturale tendenza al completamento”. Ci propone uno “stimolo che si presenta all’attenzione del fruitore come ambiguo, inconcluso, e produce una tendenza ad ottenere soddisfazione”.

Ivi pp. 138-139.

Non dimentichiamo, infatti, che un fine estetico è un fine per buona parte edonistico. I “movimenti cooperativi” di cui stiamo parlando, come ci ricorda Eco più volte nei suoi saggi, “producono e il piacere e – in casi privilegiati – il godimento8 dell’opera. Ci permettiamo quindi di dedurre che, se ogni opera d’arte è un prodotto estetico, allora non solo ogni videogioco è un’opera, ma ogni opera è un gioco.

Non si confonda, comunque, il tipo di “soddisfazione” da “completamento” di cui parliamo con gli atteggiamenti più o meno “completisti” dei videogiocatori. L’appagamento dello stimolo estetico qui analizzato non ha nulla a che vedere né con lo sforzo di raggiungere il 100% di completamento di un determinato videogioco, né tanto meno con quello di comprendere ogni singolo significato di ogni singola informazione contenuta in un libro. Entrambi gli sforzi sarebbero, infatti, vani; il primo è significativo solo nella misura in cui il sistema ludico pone a disposizione del fruitore alcuni piccoli, isolati obiettivi cumulativi che sono esclusivamente riconosciuti come “completati” o “completabili”, ma la pratica, effettiva fruizione del videogioco è sempre diversa per ogni singolare esperienza individuale e per ogni individuale percezione di essa.

L’atteggiamento completista non è altro che uno dei tanti (e più grossolani o generali) analizzabili atteggiamenti videoludici; e se vogliamo, una breve nota di Eco che cita Ombredane può esporci in termini estetico-psicologici tre diverse attitudini facilmente applicabili a completismo e anti-completismo9.

15 Seconds of Fame. Hitman.

L’incompiutezza che dà il via allo stimolo estetico è piuttosto un’incompiutezza continua e latente al videogioco; in un certo senso, è il motore ed essenza stessa del videogioco. Il terreno o l’erba alta su cui il nostro futuro Big Boss striscerà durante la sua prima missione a Tselinoyarsk, i soldati che deciderà di neutralizzare, quelli che lascerà in pace al loro pattern, quelli che deciderà di interrogare, gli oggetti che porterà via con sé e quelli che ignorerà, l’approccio più o meno violento, o più o meno furtivo, sono tutte possibilità più o meno esplorabili dal videogiocatore, che è il fruitore, colui che prende la decisione, che si adatta alle situazioni intradiegetiche, che osserva e reagisce a ciò che un determinato sistema, un determinato ordine, gli pone davanti.

Il codice

La percezione della realtà virtuale è il primo step per la decisione o l’azione completatrice.
Dice ancora Eco,

Ombredane […] riconosce che alla fine il processo di esplorazione si immobilizza per effetto di una decisione e dà origine a una forma che si cristallizza e si impone.

Umberto Eco, Opera aperta, cit., p. 148.

Con quest’ultimissima osservazione, infatti, notiamo come il videogioco sia effettivamente un ottimo espediente per permettere una propriamente suggestiva e soddisfacente esplorazione del “campo di probabilità” dell’opera. L’interattività di cui si forma è del tipo che può offrire un’esperienza sia totalmente equivoca sia quanto il più possibile univoca, che esplora più possibilità intradiegeticamente alternative, con tutti i significati e le inferenze che il fruitore potrebbe o meno incontrare e percepire.

La maggior parte dei videogiochi permette questo tipo di interazione, e un più chiaro esempio di esplorazione equivoca può essere Hitman, che sembra volerla e intenderla proprio per la sua natura “alternativistica”. In direzione contraria ci sarebbero tutti i souls-like, che impediscono il classico sistema di salvataggio e caricamento e ci costringono ad una condizione di relativa univocità. Tuttavia, se le mere, formali dinamiche di gioco ci danno uno scorcio più esplicito sul tipo di esperienza estetica che il videoludismo ci regala, i contenuti visivi, acustici ed in ultima istanza narrativi ci offrono esperienze capaci di offrire un sistema di relazioni tra significati, i quali rendono l’opera “aperta”.

Infatti, sebbene il sistema meccanico dei souls ci offra un’esperienza apparentemente univoca sul piano puramente tecnico, sul piano contenutistico l’esperienza souls è considerata tra le più ambigue, equivoche e aperte del mondo videoludico. Il processo di soddisfacente completamento di un’azione o di una percezione virtuale non si esaurisce affatto nell’azione stessa, o quantomeno non dovrebbe.

In caso contrario, il fruire si rivestirebbe di un meccanicismo acritico molto simile a quello di una lettura totalmente disinteressata, vuota, priva di quei punti di riferimento e di associazione che possano effettivamente fare della nostra esperienza estetica una parte integrante della nostra realtà psichica. L’opera aperta cesserebbe di essere aperta, e quindi opera, poiché priva di un fruitore che le faccia da interlocutore jakobsoniano: l’atto comunicativo mancherebbe, pertanto di un elemento essenziale. Ad ogni modo, conosciamo un solo tipo di fruitore che possa astenersi dall’essere un interlocutore e rendere il messaggio completamente e perfettamente univoco: la “macchina”.10

Dopo aver ben chiarito, con ricchezza ed efficienza di dettagli, tramite la teoria matematica dell’informazione, che “Una fonte di informazione si trova in una situazione, altamente entropica, di assoluta equidisponibilità” 11, Eco ci illumina sul significato di “significato”.

Ora, una macchina opera la sua selezione delle informazioni del messaggio seguendo esattamente questo “codice dato”, questo ordine imposto alle probabilità e alla disponibilità delle informazioni, percependo il messaggio o come “significato univoco” o come “rumore”.11

Per un cervello umano, invece, la selezione procede per “fenomeni di connotazione”, “ricord[i]”, “echi e rimandi” che legano, collegano, enfatizzano, gerarchizzano le informazioni di un messaggio. Ogni essere umano ha una sua esperienza, una sua realtà psichica, un suo sistema di pensiero, una sua ideologia e quindi necessariamente una sua percezione e una sua selezione, il che rende l’esperienza dello stesso messaggio sempre e comunque (in minor o maggior misura) diversa per ogni interlocutore.  Questo è il motivo per cui ogni opera d’arte è aperta, per quanto medievale ed enciclopedica possa essere.

Allora ciò che ci distingue da un NPC non è solo la nostra capacità di reazione agli eventi circostanti (che tecnicamente è propria anche dell’NPC), ma le nostre modalità di percezione delle informazioni in primis, che permettono reazioni di carattere ben più “imprevedibile”, in quanto più o meno indirettamente legate ad un preesistente sistema di pensiero in continuo sviluppo: la cd. “variabile impazzita”.13

Come esseri umani noi cogliamo solo quegli insiemi che hanno un senso per noi come esseri umani. Vi sono infiniti altri insiemi su cui non sapremo mai nulla. È ovvio che per noi è impossibile sperimentare tutti i possibili elementi che vi sono in ogni situazione e tutte le loro possibili relazioni. […] ciò che noi vediamo è certamente funzione di una media calibrata di altre nostre esperienze passate. […] Ne consegue che le percezioni che risultano da tale operazione non costituiscono affatto delle assolute rivelazioni di ciò che sta fuori, ma rappresentano predizioni o probabilità basate su esperienze acquisite.

Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 126.

L’IA di Campbell ci ordina di spegnere la console in Metal Gear Solid 2.

I diversi atteggiamenti videoludici menzionati prima ne possono essere un grossolano esempio, ma qualsiasi azione, qualsiasi risposta agli eventi circostanti, sia essa di carattere puramente tecnico-meccanico come il freeze di Snake o di carattere decisionale-narrativo come il “Count me in” di Geralt a Iorveth, insomma, qualsiasi “completamento” estetico attivo, è parte integrante della fruizione aperta dell’opera e parte integrante della stessa. Allora potremmo chiamare “completamento” estetico passivo tutta quella sezione del processo di fruizione che concerne la percezione e la selezione delle informazioni percepite.

Nonostante la distinzione teorica, tuttavia, bisogna ricordare che, nel videogioco, questi due tipi di “completamento” sono strettamente interconnessi in un infinito e molteplice rapporto di causa-effetto, ed insieme costituiscono l’atto fruitivo dell’opera.

Per spiegare questo pensiero in altri termini, Eco cita J.P. Kilpatrick:

la selezione di alcune informazioni, e dunque una organizzazione, una proprietà obbligata della ricezione di un messaggio, che rompe la condizione di “equidisponibilità” o “equiprobabilità” (di “disordine entropico di partenza”) e impone un “codice” (un “ordine come sistema di probabilità”) che si sovrappone al disordine di partenza).

J.P. Kilpatrick, “The Nature of Perception” in Explorations in Transactional Psychology, New York Un. Press, 1961, pp. 41-49.

In poche parole, in un videogioco, ad ogni fruizione, ogni azione, ogni decisione attiva (narrativa o no) è il prodotto della propria percezione, che a sua volta è il prodotto della nostra esperienza acquisita e delle nostre sensazioni più o meno immediate. Ma la fruizione videoludica non finisce là, poiché è proprio l’apparato visivo, narrativo (o comunque contenutistico) a farsi oggetto della nostra percezione, sviluppando ulteriormente quella nostra esperienza acquisita, arricchendo la nostra realtà psichica, influenzando il nostro sistema di pensiero, che quindi è sempre lì: prima e dopo l’azione virtuale.

Le decisioni che prenderemo in Spec Ops: The Line non avranno grandi impatto a livello di trama, sebbene siano strutturate in un modo che possa farcelo credere; piuttosto avranno influenze di tipo più inconscio, empatico, sensazionale. Questi processi, accumulati durante tutta l’esperienza di gioco fino a giungere al finale, ci lasceranno con un risultato critico che ci coglie direttamente dentro, tra ideologia e sensazioni, senza che sia esclusivamente inficiare sulla trama. Il nostro sistema di pensiero viene quindi preso in causa non solo per determinare una nostra decisione di gameplay, ma anche per riflettere sulla nostra stessa esperienza, a volte persino “col senno di poi”.

Il decostruzionismo silenzioso di “Spec Ops: The Line”.

A nostro parere, l’azione critica di Spec Ops: The Line, in questo senso, è un’azione decostruttivista, volta a mettere in discussione gli sparatutto in generale e mostrarne le contraddizioni. Sia nel caso in cui un fruitore possa non cogliere l’azione rovesciante del finale in relazione alla maggior parte degli sparatutto, che non percepisca il motivo per il quale ad un certo punto durante il gioco la vita e il danno subito dai nemici non è più visibile sullo schermo, alla fine alcune delle sensazioni o delle idee che ne trarrà rientreranno in quel contesto critico, perché per quanto un’opera possa essere aperta, è l’autore a tracciare il campo delle sue possibilità.

Dopotutto,

The memories you have and the role you were assigned are burdens you have to carry. It doesn’t matter if they were real or not. That’s never the point… There’s no such thing in the world as absolute reality. Most of what they call real is actually fiction. What you think you see is only as real as your brain tells you it is. […] And whatever you choose will be you.

Solid Snake in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, Hideo Kojima, Konami, 2001, finale.

Fango

Se si ha l’impressione che con questo pezzo abbiamo infangato il nome di uno dei più grandi scrittori italiani, di un grande filosofo tedesco, di alcuni psicologi francesi e di un grande politico e filosofo della sinistra italiana, allora forse non è ancora abbastanza chiaro che nel fango desideriamo strisciare con tutto il corpo, come tutti gli esseri umani, grandi o piccoli che siano. O, come Snake, indossando una mimetica color sterco, dai toni un po’ intellettuali.

Vogliamo tirare giù la statua della Minerva, avvolta di funi e catene, strapparle le radici di pietra via dal piedistallo dove sta armata e impettita, trascinarla da noi con la forza di un tir rosso ruggine, qui e ora, dove cammina la gente, dove infondo è sempre stato e sempre sarà il suo posto reale.

A coloro che si spaventano facilmente delle analogie arrischiate, risponderò che anch’io detesto fare analogie pericolose: ma amo le analogie feconde

Roman Jakobson, Essais de linguistique générale, Paris, ed. de Minuit, 1963, p. 38

d’altronde,

è altrettanto pericoloso rifiutarsi di individuare dei rapporti per una ingiustificata fobia delle analogie, propria degli spiriti semplici o delle tendenze conservatrici.

Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 56.

Abbiamo visitato motivi estetici, psicologici, tecnici, filosofici, letterari; ma abbiamo ignorato quelli economici, non meno importanti ma piuttosto pericolosi. Daremo un breve scorcio del rapporto estetica-economia solo ora, in conclusione, perché esporre la questione economica prima di quella più prettamente ideologica ha un gusto economicista che non condividiamo affatto.

Come abbiamo potuto vedere, l’apporto ideologico ed estetico delle nuove tendenze d’arte è forte e resistente nell’ideazione storica del videoludismo e nel suo sviluppo. In egual (ma non maggior) misura potrebbe esserlo il profitto. Sappiamo bene quanto si dice del mondo videoludico, costa tanto e guadagnano molto: ma l’idea è ovviamente troppo relativa per capire cosa s’intende. Il mondo del cinema non è da meno, e il mercato della letteratura è più frequentato che mai. Siamo sommersi dalla poesia, i racconti, i romanzi, i film e i videogiochi, di gusto diverso per gusti diversi, per la soddisfazione di più tendenze parallele e coesistenti in un pubblico sempre più fluido e variegato, per non dire esigente.

Ed è proprio questo il punto: l’esigenza. Quanto un’opera intenda soddisfare l’esigenza del pubblico (e di quale pubblico) è un dato che ci dirà molto su quanto l’opera intenda guadagnare. Quindi, esattamente come per il cinema, la letteratura, la pittura eccetera, non si può parlare di interesse economico per una categoria artistica come il videoludismo; piuttosto, se ne potrebbe fare una stima analizzando opera per opera, ma non avremo mai un dato esatto. La questione è come sempre più liquida.

Per spiegarla, prenderemo brevemente in esame un concetto sanguinetiano espresso nella sua opera critica Ideologia e linguaggio. Il discorso si basa interamente sul fenomeno dell’avanguardia, non necessariamente letteraria, e si svolge dall’idea che quest’ultima possiede un suo “doppio movimento interno”14, che è il motore o la modalità di azione dell’opera, e uno stato psichico dell’autore.

La doppia natura è data quindi da

  • un “momento eroico-patetico”, che si configura come “l’aspirazione eroica e patetica a un prodotto artistico incontaminato, che possa sfuggire al giuoco immediato della domanda e dell’offerta, che sia insomma commercialmente impraticabile”;
  • un “moneto cinico”, che invece si pone come “il virtuosismo cinico del persuasore occulto che immette nella circolazione del consumo artistico una merce capace di vincere, con un gesto sorprendente e audace, la concorrenza indebolita e stagnante di produttori meno avverti e meno spregiudicati”.15

Questi momenti, facendo parte di un unico movimento, “stanno, nella verità storica, dentro un solo e medesimo istante”. 16
Pertanto, alla forza innovatrice e rivoluzionaria di un eventuale gesto artistico anti-mercato e contro-eterodirezione si aggrappa come un parassita sempre e comunque un interesse anche e soprattutto economico. Ora, questo discorso, se rivolto alle avanguardie, si fa chiaro, esplicito e visibile, perché proprio esse furono in grado di portarlo a galla, alla luce dei riflettori.

Tuttavia, se è vero che il videoludismo è il prodotto razionale di una tendenza all’opera aperta che, in coerenza con i canoni di sviluppo generalmente storico-culturali, si fa sempre più volutamente e consciamente aperta, e se pensiamo che le prime sperimentazioni di apertura cosciente sono proprie delle avanguardie, allora sarà chiaro che il discorso è più o meno latente al videoludismo in generale. Si può quasi “calcolare” una sorta di griglia di gradazione tra più o meno eroismo patetico ingenuo e più o meno cinismo economico sfacciato. In fondo, è un’analisi questa che già facciamo ogni qualvolta tentiamo di identificare ed individuare una certa opera e il suo tipo.

Ciò che comunque talvolta può sfuggirci è che, in un modo o nell’altro, lo si voglia o meno, troveremo inevitabilmente le nostre opere aperte “sui sudici banchi del mercato”.17

MC


NOTE:

1 Per approfondire: Umberto Eco, Opera Aperta, Tascabili Bompiani, Trabaseleghe, marzo 2016 [Bompiani/Portico, 1962], p. VI.

2 Ivi, p. 37.

3 Cfr. Arcades Project, Walter Benjamin. Qui il filosofo tedesco ci mostra la sua idea di “montaggio critico”, il cui risultato è dato appunto da un serie di elementi della realtà esistente, oggetti della realtà, (citazioni, riferimenti, eccetera) posti in ordine e in relazione tra di loro in modo tanto unico e particolare quanto unica e particolare è l’ideologia stessa dell’autore, nella quale troviamo necessariamente il relativo soggettivismo in funzione. Tuttavia, il materiale fondamentale utilizzato per il lavoro è sempre e soltanto costituito dagli oggetti della realtà, ed è ciò che Benjamin intende quanto scrive: “Non ho nulla da dire. Solo da mostrare”.

4 Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 128.

5 I corsivi sono tratti da: Umberto Eco, Opera Aperta, cit., p. 50-51.

6 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere.

7 Umberto Eco, Opera aperta, p. 41.

8 Umberto Eco, Lector in fabula, p. 5, Bompiani, Milano, 1979.

9 “si potrebbe distinguere l’individuo che abbrevia la sua esplorazione e decide di sfruttare una struttura percepita prima di aver utilizzato tutti gli elementi di informazione che avrebbe potuto raccogliere; l’individuo che prolunga la sua esplorazione e si proibisce di adottare le strutture che si presentano; l’individuo che mette d’accordo i due atteggiamenti sia per confrontare più decisione possibili che per integrarle nel miglior dei modi in un percetto unitario progressivamente costruito”, Umberto Eco cita l’Intervento al Simposio La perception (pp. 95-98) di Ombredane, pagina 149 di Opera aperta. Applicato al videoludismo, il primo giocatore è il classico disinteressato che “salta i video” e va avanti senza soffermarsi su nulla; il secondo è il completista puro; il terzo è quello che sintetizza i due estremi per godersi un’esperienza spontanea e interessata.

10 Vd cit. poco più in basso.

11 Ibid.

12 Ivi, pp. 97, 102, 126.

13 Outer Worlds, Eric DeMilt, Obsidian, 2019

14 Edoardo Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Milano, Feltrinelli, 1965, p. 62.

15 Ivi, p. 62.

16 Ivi, p. 65.

17 Ibid.


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