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The Last Express: plus ça change…

21 aprile 2023

Parigi, primi anni novanta. Un giovane newyorkese si gode un periodo sabbatico studiando cinema, girando documentari e innamorandosi dell’Europa. Un’amica e collega, raggiungendolo dopo un viaggio notturno in treno da Berlino, interrompe il suo idillio con queste parole:

Tomi […] suggested to me the idea of doing a game that was set on a train. […] She evoked the idea of a train standing in a station at night and said: Look, that’s European 20th century history at a glance1.

Jordan Mechner

Se si potesse racchiudere in un unico aneddoto un’opera complessa come un videogioco, questo appena citato sarebbe la perfetta rappresentazione di ciò che è The Last Express: un’intuizione avuta in uno stato di particolare grazia, macchiata però da una hybris spensierata.

Prince of the Lost 48K

Jordan Mechner comincia a realizzare videogiochi da giovanissimo e in completa autonomia, come tanti altri esponenti della scena garage del periodo. Apple II, la sua piattaforma di riferimento, sarà al tempo stesso casa e maestra: le limitazioni hardware gli insegneranno il game design.

Quelle, e i film.

Il suo desiderio è infatti di riuscire a trasporre il dinamismo del racconto cinematografico nelle proprie opere e Prince of Persia, il titolo che lo porterà al successo, nasce proprio da quest’esigenza. Trovando soluzioni derivative ma geniali e costretto a lavorare di sottrazione, Mechner è tra i pochi designer dell’epoca capaci di utilizzare i verbi del gameplay per raccontare una storia. A testimoniare l’unicità del gioco sarà la nascita di un filone detto “cinematic platform” che però produrrà pochissimi equivalenti (Another World di Érich Chahi e, solo a distanza di molti anni, Limbo e Inside di Playdead).

“I took the videotape of my brother and put that on a TV screen in darkened room. Put a 35mm camera on a tripod, aimed it at the TV screen and then took a picture, did a frame advance on the VCR, took another picture, frame advance, frame advance, frame advance. Then I took that roll of film containing about 35 frames down to the local Photomat […] (2)”

Finito il college e forte dei guadagni e delle royalties ricevute Mechner decide di staccarsi dal mondo dello sviluppo, che lo ha tenuto impegnato nei dieci anni precedenti, per dedicarsi ad altre sue passioni. Questo fino a quando non verrà coinvolto nel “fatal incontro” citato nell’introduzione, una spinta ricevuta in un momento preciso della sua vita che lo porterà ad azzardare su tutto, dai temi al design alla produzione.

Smoking Car

Con i fondi rimasti a disposizione Mechner e pochi collaboratori cominciano a dedicarsi in modo ossessivo al nuovo progetto, un gioco ambientato sull’Orient Express durante la sua ultima corsa avvenuta a pochi giorni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Si decide di essere il più possibile fedeli nella ricostruzione ambientale, riuscendo a mettere le mani su tantissimo materiale che si pensava fosse andato distrutto ma che viene invece recuperato tramite un gruppo di ferrovieri in pensione. Si renderizzano mappe originali, menu e suppellettili del vagone ristorante, lo stesso treno sarà ritrovato in un deposito ad Atene e catalogato in ogni sua parte con centinaia di fotografie.

Questa meticolosità costringe il team a cercare molto presto dei finanziatori e a dover aumentare l’organico fino a sessanta elementi, un numero decisamente importante rispetto alla media degli studi coevi.

The Last Express (1997). A sinistra i dipinti di Alphonse Mucha usati come riferimento per disegnare i personaggi, a destra le prime prove di trucco (immagine di Veronika Zýková, “Story was of first importance”, 25fps.cz, 2012)

La lavorazione è caotica ma salvata da felici intuizioni e colpi di fortuna. Basti pensare che prima ancora di avere un impianto di gioco definitivo vengono effettuate due settimane di riprese, con circa trenta attori, per realizzare tutte le animazioni e le scene d’intermezzo. Questo approccio decisamente inusuale viene però gestito con maestria. Scegliendo per la rappresentazione dei personaggi uno stile Art Nouveau ispirato tanto a Mucha quanto a Toulouse-Lautrec, nonché a disegnatori di Bande Dessinée come Schuiten o Giardino, si opta per una soluzione ibrida.

Per ricreare un effetto pittorico le animazioni sono composte da singoli frame, in modo da poter usare il girato a seconda delle esigenze. Altra accortezza è quella di non aver previsto nessun lip synch, così da non essere costretti dal doppiaggio e lasciandosi la possibilità di cambiare elementi di trama in ogni momento. Gran parte dello sviluppo prosegue costantemente su questo delicato equilibrio, tra ingegno e sregolatezza.

A stranger in every seat

Tanta attenzione nel riprodurre il contesto è una precisa scelta artistica di Mechner che vuole mettere in scena, citando Dumas come ispirazione3, una base credibile e storica per rafforzare una narrazione fictionale.

The Last Express inizia in medias res con il giocatore che si trova, senza nessun punto di riferimento o conoscenza del proprio ruolo, a interpretare un personaggio di cui non sa neanche il nome e che è subito coinvolto nella risoluzione di un omicidio. È in questo modo che si introduce una delle meccaniche principali, cioè l’investigazione. Anche se ascrivibile al genere delle avventure grafiche TLE non ne presenta le caratteristiche ritenute canoniche fino a quel momento, come enigmi ambientali o legati alla gestione dell’inventario, ma fa dell’osservazione logico deduttiva degli altri passeggeri e il confrontarsi con loro, oltre che al frugare tra i loro beni personali, il fulcro del gameplay.

Il principale antagonista è la gestione del tempo, che scorrerà indipendentemente dalle azioni compiute. Tutti gli NPC hanno specifiche routine di comportamento legate all’orario, così come il treno proseguirà la sua corsa in modo inevitabile. Sarà quindi compito del giocatore capire, ricominciando più volte o utilizzando una funzione di rewind (che avrà importanza ancora maggiore nell’opera successiva di Mechner, Prince of Persia: The Sands of Time), dove e quando farsi trovare per ottenere il finale più soddisfacente o per scoprire tutti i segreti dell’Orient Express.

La signora scompare

Tale impostazione prevede quindi una grande attenzione nella scrittura dei comprimari ed è qui che si incontra il principale difetto del titolo. Trovandosi a tre giorni dallo scoppio della Grande Guerra, il treno viene utilizzato come metafora sociale di classe e come rappresentazione di un destino ineluttabile. I suoi occupanti non sono altro che l’espressione della situazione europea prebellica: un industriale tedesco diventato ricco con il commercio di armi, un nobile russo che ha ripudiato tutto per abbracciare l’ideale anarchico e in aperto contrasto con un Conte filo-zarista, un gruppo di rivoluzionari serbi appartenenti alla Crna Ruka coinvolti nell’attentato all’Arciduca Francesco Ferdinando, e molti altri.

A fare da collante a tutte queste storie sarà Robert Cath, il nostro avatar: medico statunitense, poliglotta, un “agente del cambiamento” che con le sue capacità porterà ordine in questo microcosmo composto non esattamente da stereotipi ma più da visioni distorte attraverso un inconsapevole orientalismo.

The Lady Vanishes, directed by Alfred Hitchcock

Pur volendo trovare delle attenuanti, dato che il gioco non vuole essere altro che un giallo con richiami ad Agatha Christie o Alfred Hitchcock, la scelta di creare una cornice così complessa lo trasforma inevitabilmente in un’opera politica che però viene banalizzata da un filtro di esotismo contrapposto al pragmatismo occidentale.

One Way

[Attenzione, questo paragrafo contiene spoiler]

La semplificazione dei valori e delle motivazioni che muovono gli attori della vicenda è ben rappresentato dalla storia che coinvolge Alexei Pyotrevich Dolnikov, l’anarchico, e il suo rivale Vassili Alexandrovich Obolensky. La loro faida resta marginale rispetto alla trama principale, almeno fino a quando Alexei non rischia di far saltare tutti in aria con una bomba. Il suo piano viene sventato da Robert, il quale ne deride anche gli ideali e la dedizione a una causa, mentre nel frattempo si prodiga a curare lo zarista con un magico infuso indiano. La tranche narrativa si chiude con un monito alla Russia che:

“[…] must open up to the world if she wants to survive”

George Abbot, “The Last Express”

sottolineando come debba abbandonare ogni cosa per abbracciare, forse, il capitalismo. Tutto si risolve a suon di slogan, in maniera caricaturale.

Altro momento emblematico a sostegno di questa analisi è la forte demarcazione tra ciò che accade prima e dopo Budapest. Gli eventi di gioco si risolvono quasi nella loro totalità e la loro incidenza si riduce drasticamente: ci sarà una lotta con gli indipendentisti, si abbandoneranno i personaggi non più necessari sganciando parte del convoglio e si vivrà l’inevitabile storia d’amore.

Ah, l’amour!

Il viaggio fino a Costantinopoli attraverso i Balcani dura due giorni ma viene rappresentato in soli due minuti, stridendo con la più volte sottolineata attenzione ai dettagli. Fino a quel punto si è seguito in modo precisissimo l’originale itinerario dell’Orient Express, il gioco stesso ci informa volta per volta dell’ora e del luogo esatti (24 luglio 1914: 19:39 Parigi, 21:16 Eperney, 21:41 Shalon-sur-la Marne, 03:38 Strasburgo; 25 luglio 1914: 10:18 Monaco, 12:45 Salisburgo, ecc.). Varcato il confine ungherese i serbi, con il loro dirottamento, introducono però una forza irrazionale che in qualche modo cancella tutto questo. Il treno non farà più fermate e il tempo diventa irrilevante, quasi a voler indicare l’Oriente come regno ‘libero” e terra di piaceri esotici, che si contrappone all’ossessione occidentale per la puntualità come segno di modernità e sviluppo4.

Nel suo libro “Inventing Ruritania: The Imperialism of the Imagination” Vesna Goldsworthy ci ricorda le parole di Jonathan Harker, l’eroe di “Dracula”, che mentre attraversa lo stesso territorio confida in una precisione degli orari tipicamente vittoriana chiedendosi:

It seems to me that the further east you go the more unpunctual are the trains. What ought they to be in China?5

Jonathan Harker

TLE presenta un’analogia simile, con i Balcani visti come luogo in cui la logica scompare e in cui ci si può lasciare andare liberamente all’amore. I sentimenti prendono spazio e per un breve momento si può fingere di essere qualcun altro.

L’omicidio trova una soluzione “realistica” tra Monaco e Vienna, mentre il finale a Costantinopoli introduce ulteriore esotismo facendo sconfiggere l’ultimo nemico attraverso l’ipnosi e inserendo un elemento esoterico fuori contesto. Se l’omaggio a “Indiana Jones and the Raiders of the Lost Ark” e alla scena dell’Arca dell’Alleanza è evidente, essendo questo un film a cui Mechner è molto legato e fonte di ispirazione anche per il precedente Prince of Persia6, i richiami alla novella russa del Principe Ivan alla ricerca dell’uccello di fuoco non fanno che rimarcare la convinzione di Est come terra del fantastico.

Golden Age

C’è però un ulteriore tematica degna di attenzione, quella della nostalgia. Si percepisce infatti un’affezione verso un’idealizzata età dell’oro prebellica, intesa non come periodo di megalomania o grandeur, ma come momento di globale tendenza verso il Modernismo. Il treno/microcosmo ci ricorda infatti di un momento in cui tutti l’umanità si è trovata insieme, percorrendo una strada inevitabile ma ancora piena di speranza nei confronti del futuro.

L’atomizzazione dei nostri giorni non ci fa rendere conto di quanto la felicità sia collettiva e non individuale, come decenni di dogmi neoliberisti ci hanno insegnato7. Ce ne accorgiamo solo quando un cataclisma, che sia una guerra, una pandemia o una crisi ambientale, sta bussando alla porta.

E allora, per quanto possano essere naif, i personaggi diventano in alcuni momenti persone verso le quali si prova una naturale empatia perché a loro, come a noi, è stato tolto qualcosa.

Ironico che queste sensazioni si trovino nelle storie secondarie che lambiscono marginalmente il percorso del protagonista, in fondo anche lui una vittima di se stesso e della sua “way of life”.

… plus c’est la même chose

The Last Express esce nel 1997, dopo cinque anni di lavoro. Per una serie di contingenze, tra cui la pessima situazione finanziaria del publisher Brøderbund, il gioco non viene pubblicizzato e le copie distribuite sono pochissime. L’investimento di $ 5.000.000, molto alto per l’epoca, rientra solo in minima parte.

Nonostante i limiti, veniali e attribuibili più a delle specifiche influenze culturali tipiche di quel periodo che a mancanze autoriali, è uno degli ultimi esperimenti a grosso budget di un’industria allora ancora capace di prendersi dei rischi. Pochi titoli hanno una così forte impronta espressiva, una precisa direzione artistica tanto cocciuta da sfiorare l’autolesionismo e questo non può che farne un’opera da provare, a prescindere dai gusti.

Come delle scatole cinesi, per continuare a guardare a oriente, giocarlo oggi è come fare un viaggio nel tempo dentro un viaggio nel tempo. Passeggeri affacciati a un finestrino che ci mostra, come nella sequenza dei credits in cui ci vengono fatti vedere su una mappa i cambiamenti geopolitici europei dal 1914 in poi, che più le cose cambiano più restano le stesse.

EF


NOTE:

1, 3, 6 “The Last Express – A conversation with Jordan Mechner”, Stay Forever Podcast, 2019

2 “How Prince of Persia Defeated Apple II’s Memory Limitations | War Stories”, Ars Technica, 2020

4 Vesna Goldsworth,”Inventing Ruritania, The Imperialism of the Imagination”, Hurts, 2013

5 Ibid., pp 97

7 Marcello Tarì, “Non esiste la rivoluzione infelice: Il comunismo della destituzione”, Derive e Approdi, 2017


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