Final Fantasy XIII: la linearità come punto di forza
Sebbene Final Fantasy XIII abbia ricevuto voti alti dalla critica al lancio (Metacritic di 83 su PS3), da molti è considerato il peggior capitolo della serie, la pecora nera, tanto da non considerarlo addirittura un “vero Final Fantasy”.
I motivi per cui questo capitolo abbia attirato a sé numerosi hater e difensori di una presunta autenticità della serie sono molteplici, ma due in particolare hanno suscitato le critiche più feroci: l’eccessiva linearità e il combat system ritenuto troppo facile e “automatico”.
Se per quanto riguarda il combat system siamo più che certi che la critica derivi da un giocato parziale, da un sentito dire o da un abbaglio, lo stesso non si può dire della linearità. Ebbene si, Final Fantasy XIII è un gioco lineare, è vero. Affermare il contrario significherebbe negare l’evidenza. L’errore però è nel considerare la linearità come un difetto. Anzi, viceversa, in Final Fantasy XIII la linearità è un punto di forza, una base di design sulla quale si poggia l’intera struttura del gioco.
Per muovere un’analisi critica che voglia essere un minimo credibile e strutturata, bisogna partire da un assunto: non si può assolutamente affermare che un gioco sia brutto o bello perché lineare.
Nelle prossime righe proveremo a capire i motivi di design dietro alla linearità di Final Fantasy XIII e soprattutto l’efficacia di questa struttura in relazione a trama, coerenza narrativa e progressione di gameplay.
La differenza tra voto della critica e voto del pubblico è abbastanza impressionante.
Contesto narrativo
L’universo narrativo di Final Fantasy XIII si regge sulle spalle di due “pianeti”: Gran Pulse, verdeggiante e selvaggio, e Cocoon, artificiale e iper tecnologico.
In entrambi i pianeti sono presenti i così detti “Fal’Cie”: esseri meccanici ed eterni, responsabili del mantenimento dell’ordine. Sono, infatti, considerati delle entità divine che agiscono in modo misterioso sull’equilibrio del mondo, e sul destino degli umani.
Gli abitanti di Cocoon sono governati dal Sanctum, una teocrazia. Tale istituzione ritiene che questo pianeta artificiale sia stato costruito dai fal’Cie per proteggere gli umani dal mondo selvaggio di Gran Pulse. La popolazione è indotta a credere che i fal’Cie di Gran Pulse non vogliano altro che distruggere Cocoon, e che il pericolo sia scongiurato proprio grazie alla guida del Sanctum, a sua volta benedetto dai fal’Cie di Cocoon.
Ecco come appare Cocoon visto da gran Pulse, una sorta di paradiso controllato al di sopra di un inferno selvaggio.
I fal’Cie, esseri ineffabili, possono scegliere dei campioni tra gli esseri umani e affidare loro un compito da svolgere. Gli umani selezionati dagli Dei, denominati l’Cie, vengono marchiati da una sorta di tatuaggio, acquisiscono poteri sovrannaturali e sono chiamati a compiere un’impresa non sempre chiara e cristallina.
Molti l’Cie passano l’intera vita a cercare di capire quale sia il loro scopo; una volta scoperto e compiuto verranno tramutati in cristalli, pronti per essere “scongelati” quando il proprio fal’Cie lo riterrà opportuno (potrebbero volerci secoli). Nel caso in cui un l’Cie non riesca a capire o compiere la missione affidatagli entro un tempo limite, diventerà un “Cie’th” un essere vuoto, mostruoso, aggressivo e senza nessuna coscienza della sua vita passata. Ovviamente un l’Cie designato da un fal’Cie di Cocoon è considerato dal Sanctum una sorta di eroe, e la sua impresa viene venduta come un onore. Al contrario, gli l’Cie di Gran Pulse sono considerati nemici di Cocoon, terroristi che attentano alla stabilità del pianeta artficiale stesso.
Da queste doverose premesse di contestualizzazione narrativa, che aprono diversi quesiti filosofici inerenti al destino e alla natura stessa del concetto di Dio, parte l’epopea dei nostri protagonisti.
Struttura narrativa coerente
[DISCLAIMER: di qui in poi sono presenti anticipazioni di Final Fantasy XIII]
La trama di Final Fantasy XIII è incentrata intorno a un gruppo di persone che, a seguito di una concatenazione di eventi, divengono l’Cie per conto di un Fal’Cie di Gran Pulse.
Questo evento li renderà immediatamente ricercati dalle autorità di tutta Cocoon e, pertanto, saranno braccati e considerati dei terroristi.
Non solo. Come abbiamo detto poco sopra, il destino di uno l’Cie ha una scadenza imprecisata che spinge i protagonisti a stringere i tempi per non diventare Cie’th.
Risulterà a questo punto chiaro che, con queste due grosse premesse, la linearità assuma un valore coerente con il racconto. I protagonisti devono necessariamente agire in modo più rapido possibile per evitare di diventare dei gusci senza anima. Nel mentre, sono braccati dal governo e, di conseguenza, impossibilitati a girovagare liberamente per le città che incroceranno durante il loro cammino. Il design del gioco parte da questo assunto: sono ricercati e hanno una scadenza. In quest’ottica diventa fondamentale non consentire al giocatore di rompere la coerenza interna della trama, oltre che al mood e all’atmosfera di urgenza.
Le forze governative braccano costantemente i protagonisti.
A riprova del fatto che questa forte linearità sia una scelta consapevole e non un errore di design possiamo prendere in esame il Capitolo 8, in cui per la prima volta la trama sembra accogliere un momento di svago. Due dei protagonisti si ritrovano in una città simil-Las Vegas; provano a divertirsi, a svagarsi un po’. Gli stessi personaggi diranno frasi come “possiamo perdere tempo così?” o “dimentica per un attimo le difficoltà”.
Questo intero capitolo ci dimostra la consapevolezza dei designer riguardo alla direzione intrapresa. Lo svago è li davanti a noi, abbiamo letteralmente un parco divertimenti immenso a disposizione ma la trama e il contesto non consentono questo divertimento e, per estensione, nemmeno il Game Design. Dopo un po’ di gironzolare tra le varie attrazioni verremo sorpresi dalle truppe governative, che si mostreranno in tutta la loro forza e determinazione. Non a caso, proprio nel capitolo che fino a quel momento si presentava come il più allegro e disteso, assisteremo ad una delle scene più drammatiche del gioco: quasi una dimostrazione inequivocabile che non c’è spazio per le distrazioni.
Nel Capitolo 8 c’è un piccolo momento dedicato alle attività secondarie tipiche del genere. Presto, però, la situazione diventerà drammatica.
Obbligare il giocatore a seguire una via predefinita, senza caricarlo di attività accessorie, è perfettamente funzionale al racconto e coerente con la trama, evitando così clamorose dissonanze (tipiche del genere JRPG). Anche quando il gioco ci concederà un po’ di apertura questa sarà ben integrata nella trama. Arrivati al Capitolo 11, infatti, avremo l’unica vera open area del gioco, piena di mostri, di side mission legate alla caccia e di esplorazione di un ambiente sconosciuto e selvaggio.
L’apertura acquisisce senso sia per Game Design che per coerenza narrativa. Non è un caso che a partire dalla fine del Capitolo 9, e per tutto il Capitolo 10, abbiamo avuto per la prima volta tutto il party riunito e completamente nelle nostre mani, potendo sperimentare le varie strategie. Arrivati su Gran Pulse avremo modo di mettere alla prova la nostra bravura affrontando i mostri, opzionali, più temibili dell’intero gioco.
Lato trama, ancora, tutto è coerente: la minaccia su Cocoon non è più così impellente, i personaggi hanno ormai deciso che non staranno agli ordini dei fal’Cie, inoltre sul nuovo pianeta non sono presenti le forze governative pronte a inseguirle in ogni dove. Per la prima e unica volta sono liberi di scegliere autonomamente, così come lo è il giocatore.
Nel Capitolo 11 si apre la mappa. Gran Pulse è grande e ricca di mostri unici, e noi avremo il party al completo.
Una lenta progressione, ma coerente e ben strutturata
La scelta di rendere lineare questo capitolo acquisisce senso anche dal punto di vista del gameplay, praticamente incentrato esclusivamente sul combat system. A differenza di alcune critiche assolutamente fuorvianti, il sistema di combattimento di Final Fantasy XIII è uno dei più complessi nell’intero genere. Avremo a che fare con ruoli fluidi, atb (attack time battle) non stoppabile, pre-settaggi di battaglia, catena, crisi e studio della IA dei nostri compagni e delle caratteristiche dei nostri nemici.
Sarebbe inutile dilungarsi troppo nello spiegare questo intricato e profondo sistema. Basta sapere, però, che non è per niente facile da padroneggiare e che sarà sempre in grado di proporre una sfida degna di nota. Probabilmente lo stereotipo per il quale il gioco sia “facile” deriva dal fatto che per gran parte della prima metà del gioco, almeno quattro o cinque capitoli, il titolo ci obbliga a utilizzare un sistema monco, privo della libertà e del tatticismo che si raggiungerà solo nelle zone più avanzate.
Questa scelta limitante potrebbe riflettersi in un’esperienza castrata, ma anche in questo caso vi è sottesa una scelta precisa. La progressione centellinata del combat system è coerente con lo sviluppo della trama e soprattutto con quello dei personaggi, i quali scopriranno le loro reali capacità in modo graduale, arricchendo il sistema. Durante l’intero gioco non faremo altro che avanzare di combattimento in combattimento, obbligati ad utilizzare un party predefinito dal gioco che cambia di capitolo in capitolo in base alle necessità del racconto.
La condizione dei protagonisti, descritta in precedenza, rende coerente questa sequela di scontri e gli sviluppatori sono riusciti a costruire una progressione estremamente precisa attraverso i tredici capitoli che compongono il gioco.
Il combat system prevede una preparazione tattica al di fuori della battaglia che poi ci permetterà di cambiare strategia al volo durante i combattimenti.
Come detto, quasi in ogni capitolo il party cambierà forma, il combat system svelerà lentamente le diverse meccaniche acquisendo una grande complessità e il giocatore sarà chiamato via via a sperimentare e assimilare le varie aggiunte che poi esploderanno nei capitoli più avanzati.
Ecco: questa lenta e programmata progressione del gameplay ha tratto in inganno moltissimi giocatori che hanno, purtroppo, solo scalfito la complessità tattica del sistema degli optimum.
Nei primi quattro capitoli sarà sufficiente usare l’attacco automatico, alternato a qualche saltuario cambio di ruolo dei personaggi per avere la meglio; ma già dal quinto capitolo il gioco inizia a chiedere un più raffinato tatticismo. Questo avviene in modo controllato e, per certi versi, quasi metanarrativo.
Ad esempio, nel Capitolo 5 saremo chiamati ad interpretare Hope, il ragazzino inesperto che sta iniziando a muovere i primi passi in questo mondo pericoloso e aggressivo. Il giocatore, così come Hope, sarà chiamato a rispondere agli insegnamenti dei capitoli iniziali e dovrà necessariamente imparare a scambiare i ruoli e a sfruttare la catena e la crisi. Non a caso il segmento finisce con il primo vero e proprio Boss, che richiede una discreta padronanza degli optimum.
Il boss del Capitolo 5 ci costringe, per la prima volta, a utilizzare efficacemente il cambio di ruolo dei personaggi.
Proseguendo, ci verranno mostrati anche nuovi ruoli che ogni capitolo consentirà di sperimentare. Questa progressione lunga e lenta rischia di sembrare un gigantesco tutorial, e in parte lo è.
Ciò non toglie, però, che il gameplay sia ben strutturato e che vada di pari passo con lo sviluppo della trama e delle tematiche. Insomma, anche in questo caso, il design lineare e asciutto, aiuta molto ad entrare nei meccanismi del gioco tanto quanto nella complessità dell’universo narrativo e della trama in sé. Ogni capitolo è, quindi, caratterizzato da una struttura lineare che esalta la narrazione, lo sviluppo dei personaggi, la progressiva complessità del gameplay e la costruzione delle tematiche.
Dunque si può facilmente ritenere che l’intera struttura trovi giovamento dalla linearità di fondo, e riesca a creare una sinergia eccellente tra giocato, racconto e messa in scena.
Una maturazione inusuale per il genere e per il periodo storico
Final Fantasy XIII, forse per la prima volta nella serie, riesce quindi a presentarci un racconto estremamente coerente, riducendo al minimo le incoerenze e le dissonanze. Il gioco non dimentica, però, di essere un JRPG, come emerge dal complesso combat system; ma dimostra una maturità che poche volte possiamo riscontrare nel genere. A maggior ragione se si pensa che lo sviluppo del titolo è iniziato su Playstation 2 e solo successivamente venne rinviato direttamente su Xbox 360, Playstation 3 e PC per un’ uscita fissata al 2009.
Lo sviluppo del gioco è partito su Playstation 2. Qui l’immagine commentata da Toriyama.
In questo JRPG non si potrà andare in giro a giocare carte, a blitzball o a cercare l’anello disperso della vecchietta disperata sul ciglio della strada: e questo è un bene. I game designer hanno compiuto delle scelte coscienti, che possono piacere o meno; ma è altresì considerabile infantile la forma mentis tipica del giocatore medio che cerca e richiede sempre di più, sempre più contenuto e attività. Anche quando non sono necessari.
A volte la sottrazione è funzionale agli elementi che compongono un’opera, come
Siamo forse fin troppo abituati ad accettare il patto tra sviluppatore e giocatore che ci fa chiudere un occhio quando vediamo Geralt perdersi nella ludopatia più sfrenata mentre sua “figlia” è in pericolo e braccata da nemici pericolosissimi. Capiamo bene che a volte la coerenza viene meno in favore di un arricchimento del ventaglio di attività offerte al giocatore, ma anche la via opposta merita un plauso. Anzi, forse meriterebbe un’attenzione ancor più “rumorosa” perché non cerca disperatamente di intrattenere e allungare la permanenza sul gioco, prima ancora di comunicare.
Certamente questo game design lineare è anche dovuto ad uno sviluppo un po’ travagliato che ha costretto gli sviluppatori a prendere delle decisioni forti in modo da concentrare al massimo le loro energie su quello che ritenevano importante: introdurci un complesso universo narrativo, raccontarci una storia ricca di spunti filosofici e immergerci in un complesso combat system. Ebbene, ci sono riusciti. Non senza problemi o punti critici, come appunto l’eccessiva sensazione di “tutorial”.
Ci sono diverse ragioni per la linearità del gioco. Con una quantità limitata di tempo di sviluppo e risorse, abbiamo reso il gioco lineare per massimizzare e fornire lo stesso tipo di esperienza di gioco a tutti i giocatori. Questo approccio ha avuto un grande vantaggio nel fornire ai giocatori abbastanza tempo per familiarizzare con il nuovo combat system e l’universo narrativo. Ma d’altra parte, ha portato i giocatori a pensare che la maggior parte del gioco fosse un tutorial. Credo che questo fosse un grosso difetto del gioco.
Motomu Toriyama (Game Director)
A questo riguardo, Final Fantasy XIII non è esente da difetti. La sensazione di tutorial sicuramente potrà perseguitare il giocatore per molto tempo ma ha una struttura molto pesata e pensata. Il suo particolare game design lineare e controllato esalta il racconto, la trama. il world building e il favoloso combat system.
Certamente merita una possibilità anche perché potrebbe iniziarvi alla interessantissima trilogia della Fabula Nova Crystallis.
VC