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Ebbene sì, The Phantom Pain è un Immersive Sim

Con la recente uscita di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom (Nintendo, 2023), si è riaperta la discussione su Immersive Sim, struttura dell’open world e gameplay emergente e, un po’ ovunque, solo gli ultimi due temi hanno occupato uno spazio centrale nel dibattito. Risulta quindi doveroso rimettere la chiesa al centro del villaggio, concentrandosi sul primo – o quasi – Immersive Sim open world “made in Japan”: Metal Gear Solid V: The Phantom Pain (Konami, 2015).

Innanzitutto, è bene precisare che con Immersive Sim si definisce una categoria di videogiochi quantomai sfumata, ma con delle caratteristiche abbastanza precise da delinearne i tratti principali, tra cui il gameplay emergente e sistemico.
Benché il significato di alcuni di questi termini sia universalmente riconosciuto, risulta comunque opportuno ragionare delle caratteristiche principali che rientrano sotto l’etichetta di Immersive Sim: proprio a causa della sua ambiguità, questa etichetta ha generato, e genera tutt’ora, diversi contrasti.

Innanzitutto, l’Immersive Sim non può essere considerato di per sé un genere, ma una filosofia di design al servizio dei generi stessi. Un survival horror può essere Immersive Sim esattamente quanto un gioco di ruolo. Ed è da questa nozione che bisogna partire per analizzare il tutto.

Eresia? Forse no. La filosofia seguita da The Phantom Pain è, infatti, aderente a quella di un Immersive Sim; una struttura prettamente occidentale che Hideo Kojima, dopo piccole sperimentazioni viste nei vari capitoli di Metal Gear Solid, ha voluto implementare nella quinta installazione della serie – anche per motivi narrativi.

Cos’è un Immersive Sim?

Il termine è stato coniato da Warren Spector, vero e proprio pioniere di questa filosofia di design: non a caso il primo gioco riconosciuto come Immersive Sim è Ultima Underworld: The Stygian Abyss nel 1992, prodotto proprio da Spector e sviluppato da Blue Sky Productions, che successivamente cambierà nome in Looking Glass Studios. Ultima è (più o meno) considerato il capostipite, anche se ci sono titoli ancora più vecchi e acerbi in cui se ne riconoscono alcune delle caratteristiche principali, come ad esempio in Portopia Serial Murder Case (Enix, 1983) o The Legend of Zelda (Nintendo, 1986).

Questi ultimi due titoli hanno, in effetti, qualche elemento tipico dell’Immersive Sim, ma solo dal 1992 in poi c’è stato un filone che utilizzava appieno questa formula, rimaneggiandola in diverse salse: System Shock (Looking Glass Studios, 1994), il suo sequel System Shock 2 (Irrational Games e Looking Glass Studios, 1999), Thief: The Dark Project e Thief II (Looking Glass Studios, 1998 e 2000), Deus Ex (Ion Storm, 2000) e Arx Fatalis (Arkane Studios, 2002).

Ultima Underworld: The Stygian Abyss già presentava un 3D in grado di fornire diversi accessi ai luoghi oltre che una struttura della trama aperta che ci permette di saltare dei pezzi qualora si conoscesse dove e andare, o se ci si ritrovasse nel posto giusto per puro caso.

Possiamo affermare, con una certa sicurezza, che proprio nel decennio che va dal 1992 al 2002 si è consolidato l’Immersive Sim attraverso queste poche software house, capaci anche di formare qualche giovanotto interessante come Ken Levine (BioShock, 2007; Bioshock Infinite, 2012) Harvey Smith (Thief: Deadly Shadows, 2003; Dishonored, 2012) o Raphael Colantonio (Dark Messiah: Might and Magic, 2006; Prey, 2017).

Ragionando a contrario, se è possibile affermare che un gioco non sia pienamente un Immersive Sim, è altrettanto realistico definirne positivamente il perimetro: i cinque elementi portanti di un Immersive Sim sono stati ormai codificati1.

Il primo risiede nella cd. “player agency”, ovvero l’interattività necessaria a influenzare e cambiare il mondo di gioco, data ai singoli fruitori. Ciò significa che ai giocatori viene concessa la possibilità di prendere decisioni nel gioco in maniera libera.
Non si tratta di opzioni banali come quella di scegliere i vestiti per l’avatar o se potenziare i punti vita anziché il mana; piuttosto, si tratta di lasciare al giocatore la piena scelta di approccio dopo avergli dato un semplice o vago obiettivo, come “raggiungi il caveau della banca”, “uccidi X”, “recupera Y”, attraverso la possibilità di manipolazione del level design e/o del combat system. In questo modo, è il giocatore a decidere se realizzare l’obiettivo eliminando tutti gli ostacoli o raggiungerlo silenziosamente. Insomma, gli sviluppatori identificano un traguardo senza suggerire un modo esclusivo di giungervi.

Ovviamente, questo tipo di game design prevede un’area giocabile piuttosto vasta. Storicamente i giochi con un approccio da Immersive Sim prediligono una open map, distribuita su più livelli, ricca di passaggi, di opportunità di movimento e disseminata di strumenti e oggetti interattivi che ci permettono di dominare il level design con sistemi sandbox.

Tornano alla mente le missioni da assassino nei Dishonored, in alcuni Hitman, oppure i furti in Thief: solo sfruttando ciò che si è imparato è possibile manipolare e dominare il level design, cimentandosi con le meccaniche sistemiche, per raggiungere un dato obiettivo. Il grado di manipolazione del level design, del combat system o dell’intelligenza artificiale cambia in base alla flessibilità delle meccaniche sistemiche inserite nel singolo gioco

Il secondo aspetto riguarda le meccaniche sistemiche, cioè meccaniche di gioco che hanno regole generali sempre valide e interattive, indipendentemente dalla sezione specifica.
Nel videogioco moderno, capita spesso di imbattersi in momenti in cui bisogna interagire con un strumento che poi sarà utile poco più avanti o sempre per lo stesso tipo di azione, ripetuta con gli script: ne sono un valido esempio i pezzi di legno o i cassonetti in The Last of Us (Naughty Dog, 2013).

Al contrario, nei giochi con meccaniche sistemiche ogni oggetto interattivo ha le sue caratteristiche sempre valide e sarà il giocatore a valutare come sfruttare quelle caratteristiche nel gameplay. Un’asse di legno può essere usata per superare un varco, colpire un nemico, raggiungere posti sopraelevati, ripararsi dai colpi o come distrazione, se lanciata lontano. In Prey, Deus Ex e Thief è possibile aprire alcuni passaggi in numerosi modi: forza bruta, esplosivo, hacking o persino lanciando oggetti su interruttori fisici. Addirittura, in Thief vengono date delle frecce con corda che si possono attaccare a qualsiasi superficie, permettendo un’esplorazione unica e mai direttamente guidata dagli script.

In Prey, a sinistra, è possibile usare il cannone Gloo per dominare il level design in modo completamente libero. In Tears of The Kingdom, a destra, le assi di legno sono ovunque e il loro uso non è limitato a una funzione specifica.

In Prey, in alto, è possibile usare il cannone Gloo per dominare il level design in modo completamente libero. In Tears of The Kingdom, in basso, le assi di legno sono ovunque e il loro uso non è limitato a una funzione specifica.

Il terzo elemento è il gameplay emergente, cioè un insieme di situazioni complesse che emergono da interazioni relativamente semplici, basate su sistemi che si combinano tra loro piuttosto che dalle più classiche meccaniche di gioco pre-confenzionate e scriptate.
Gli sviluppatori forniscono al giocatore un certo numero di strumenti e abilità che possono essere utilizzati in maniera del tutto creativa, in un determinato sistema di regole strettamente legate alla IA e le routine degli NPC. Nessuno script, solo regole e strumenti.

Arkane Studios, in Dishonored, non fa altro che fornire obiettivi molto semplici, a cui si aggiungono strumenti, abilità e set di regole che interagiscono tra loro, lasciando al giocatore completa scelta su come procedere. Sarà quindi possibile attaccare una mina ad una bottiglia e lanciarla, per creare una granata o, qualora fosse elettrica, portarla con sé e stordire i nemici. Una meccanica molto semplice, come “prendere oggetti e lanciarli”, collabora con la possibilità di attaccare una mina su qualsiasi superficie e ci permette di creare del gameplay emergente, forse nemmeno contemplato dagli sviluppatori.

Ovviamente, le meccaniche sistemiche sono elementi che contribuiscono a generare gameplay emergente: molto spesso sono legate alla fisica e alla manipolazione diretta di oggetti o di strumenti, ed è possibile costruire un’utilità coerente, logica e assoluta. Da una semplice meccanica è scaturita una situazione complessa attraverso la comunicazione di diversi sistemi.

Il vero tallone d’Achille dei videogiochi Immersive Sim, è la cd. “consistency”, quarta caratteristica. Mantenere una coerenza totale è quasi impossibile per via dell’artificialità del mondo dall’altro lato dello schermo, per forza di cose intrinsecamente soggetto a limitazioni tecnologiche o errori logici.
Aldilà della morte del giocatore, negli Immersive Sim quasi tutto quello che accade su schermo è coerente con le regole del gioco e non sarà possibile incappare in Game Over situazionali alla stregua del “il tuo compagno è morto” o “ti stai allontanando dall’area della missione”.
Negli Immersive Sim più curati è possibile addirittura eliminare tutti gli NPC, anche quelli che sembrano importanti, con notevoli conseguenze.

Ovviamente, non sempre è possibile lasciare totale liberta di rompere la struttura narrativa saltando un pezzo di trama o eliminando un personaggio chiave, visto che alcune storie non possono (o non vogliono) prescindere da momenti guidati. Pertanto, molti sviluppatori usano degli espedienti per rimanere coerenti narrativamente, togliendo un po’ di liberta ai giocatori e perdendo coerenza logica: ad esempio, eliminando la possibilità di attaccare in determinate aree per tutelare alcuni NPC narrativamente fondamentali, o ancora meglio rendere questi NPC inavvicinabili attraverso la costruzione del level design. Ma un vero Immersive Sim che si rispetti dovrebbe evitare il più possibile di bloccare artificiosamente delle meccaniche e infatti ci sono titoli come Prey, Deathloop o Thief che hanno una coerenza pressoché totale.

Insomma, un gioco è tanto Immersive Sim quanto più lascia spazio al al giocatore di compiere azioni coerenti con le regole e con le proprie scelte. La coerenza e la logica di questi giochi non sarebbe così impressionante se il titolo non prevedesse anche una reattività in grado di restituire delle conseguenze , evitando il più possibile i “Game Over concettuali”.

L’ultimo elemento che caratterizza gli Immersive Sim è proprio quello relativo alle conseguenze, a stretto contatto con la coerenza. Sinteticamente, il titolo necessita di una reattività complessa rispetto alle scelte che il giocatore compie. Non si tratta solo di scelte che sono necessariamente prese in sezioni predefinite – del tipo “uccidi o risparmia” – ma soprattutto di quelle che si compiono in un normale flusso di gameplay. Un certo grado di reazione si verifica anche a seguito di scelte che il giocatore ha preso d’istinto, o in maniera inconscia, non sapendo che poi avrebbero portato a delle conseguenze. Basti pensare al cd. Chaos System“, che regola le numerose modifiche al mondo di gioco di Dishonored, dalla quantità di guardie al comportamento di alcuni NPC.

In una delle prime missioni di Deus Ex: Human Revolution (Eidos Montréal, 2011) ci sono degli ostaggi in un laboratorio: se il giocatore si perderà in chiacchiere con gli NPC nella lobby anziché darsi una mossa, arrivato sul posto li troverà già morti. Nella stessa missione poi, pur essendo puntuali, sarà possibile ancora fallire. Nel caso in cui riesca a salvare quegli ostaggi, ciò provocherà una serie di conseguenze, sia grandi che piccole. Un personaggio ritornerà più volte nel corso dell’avventura, fornendo informazioni, armi, nuove quest e strumenti e saranno presenti una grande varietà di dialoghi, conversazioni ed e-mail differenti, in cui si fa menzione al fatto che il protagonista sia stato in grado di salvarli (o meno).

Queste, a grandi linee, sono le cinque caratteristiche che definiscono la filosofia Immersive Sim. Gli Immersive Sim determinano un’accezione del videogioco piuttosto atipica che punta a immergere l’utente all’interno di un mondo con regole definite e interpretabili, cercando di dare importanza e fiducia al fruitore, incoraggiandolo a costruire il suo personale modo di giocare.

Kanji e Immersive Sim

Dopo questa disamina sugli Immersive Sim, è arrivato il momento di tornare in Giappone. Va ribadito, in primis, come la filosofia Immersive Sim sia nata in Occidente, soprattutto intorno a quelle poche software house che poi, sciogliendosi o modificandosi, hanno diffuso i propri dipendenti in altre compagnie. Una prima eccezione a questa tendenza è datata 2015, l’anno di uscita di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain.

A questo punto, è automatico analizzare il gioco seguendo i cinque criteri precedentemente descritti, a partire dalla player agency, in modo da dimostrare come The Phantom Pain possa essere etichettato come un Immersive Sim.

Sebbene alcune missioni presentino delle sezioni “sui binari” in cui bisogna scappare a cavallo mentre si è inseguiti dai nemici, o altre in cui bisogna necessariamente distruggere alcuni boss con delle gimmick, possiamo notare come la stragrande maggioranza delle missioni in The Phantom Pain siano quasi tutte strutturate con una forte Player Agency: uccidi/rapisci il comandante della base, salva i prigionieri, distruggi le attrezzature elettroniche, ruba i rifornimenti. Ci viene fornito un semplice obiettivo da raggiungere situato in una open map più o meno grande, e la missione prevede differenti tipi di approccio.

C’è possibilità di scelta tra lo stealth o l’assalto frontale, il giorno o la notte, in solitaria o accompagnati, le armi silenziate o i missili, partendo dalle fogne o scalando alcuni edifici e con aiuti o meno. Insomma, lapproccio è totalmente rimesso al giocatore.

Avviando una missione in The Phantom Pain si può scegliere a che ora scendere in campo, con chi, con quali vestiti, se e con quale veicolo, con quali strumenti e armi.

Se è vero che non siamo ai livelli di complessità e libertà visti in in Prey, Dishonored o Thief1, è comunque presente una buona varietà che può essere mixata in corso d’opera, senza che l’approccio diventi monolitico. Questo accade soprattutto grazie alla possibilità di dominare, gli spazi e i nemici utilizzando numerosi gadget, quali scatole, diversivi gonfiabili, rumori, super salti a bordo di un mech o sfruttando la mimetica ottica.

La Player Agency in The Phantom Pain è ancora più evidente quando si è fuori dalle missioni, e quindi in free roaming. La filosofia di fondo degli Immersive Sim è presente, e per capirlo basta fare delle piccole comparazioni tra le possibilità concesse da The Phantom Pain e il modo in cui si comportano altri titoli senza lo stesso numero di componenti Immersive Sim, come Assassin’s Creed (Ubisoft, 2007), Horizon Zero Dawn (Guerrilla, 2017) o The Witcher 3 (CDProjekt, 2015). Questo grossa differenza è anche dovuta al buon numero di meccaniche sistemiche.

A tal proposito, va sottolineato come The Phantom Pain presenti una serie di meccaniche sistemiche davvero notevoli e rare, soprattutto considerando come The Legend of Zelda: Breath of the Wild (Nintendo, 2017) non fosse ancora uscito.
Innanzitutto troviamo un complesso sistema di detection dei nemici: è fattibile distrarli con rumori provocati da oggetti lanciati o attraverso la radio, con dei compagni svenuti in vista, con un’esplosione in lontananza o facendo cadere (e rompere) oggettistica varia come i vasi o scatole. Ancora, è possibile sfruttare la notte o le tempeste di sabbia dinamiche per essere meno visibili e persino la pioggia per coprire i rumori, amplificando l’efficacia delle armi elettriche.2

In più le abilità dei compagni sono utilizzabili in qualsiasi contesto: D-Dog può distrarre o uccidere un nemico, mentre a Quiet è delegata la copertura dalla distanza – letale o meno. Persino il cavallo diventa una copertura semovente e il suo sterco fa sbandare i veicoli dei nemici. Ancora, salire a bordo di un piccolo mech permette di essere molto più veloci, di combattere a distanza ravvicinata con più forza, di saltare più in alto e trasportare carichi più pesanti. Si possono anche infliggere diversi status ai nemici: stordirli corpo a corpo oppure a distanza con oggetti contundenti, come il proprio pugno metallico o con una cassa rifornimenti lanciatagli dall’alto, oppure addormentarli con granate soporifere e dardi tranquillanti, arrivando a ucciderli o rapirli con il “Fulton”.3

Ognuna di queste soluzioni presenta delle conseguenze sistemiche. Per esempio, se un nemico viene colpito alla testa con un dardo soporifero si addormenterà all’istante, mentre ci impiegherà più tempo se il colpo è indirizzato alle gambe. Ci sono poi e numerose altre varianti legate anche al tempo di stordimento e alla reazione che il soldato avrà una volta svegliatosi: se è stato stunnato con il corpo a corpo, si ricorderà di quanto accaduto appena ripresosi, andando in allerta; viceversa, se sedato, si sveglierà intontito e tornerà alla sua normale routine.

Inoltre, la mobilità di Venom Snake permette delle manovre complesse e creative: tuffarsi in avanti, passare sotto un ostacolo, strisciare, rotolare, colpire i nemici da proni o stesi sulla schiena. Il tutto arricchito dall’utilizzo di tantissimi gadget che permettono ulteriore flessibilità come scivolare su una scatola per scendere rapidamente un pendio.4
Questi sono solo esempi di meccaniche di gioco utilizzabili a piacimento dal giocatore, e non relegate a specifici momenti di trama come capita nella maggior parte degli action. Tali meccaniche sono supportate anche da una IA piuttosto complessa, che può generare gameplay emergente in qualsiasi momento.

L’IA complessa muove i nemici in The Phantom Pain. Da essa si generano alcune situazioni emergenti come un nemico che, avvertendo un rumore, si sgancia dalla sua ronda e modifica il proprio percorso offrendo una finestra per metterlo KO. Può altresì accadere che un soldato stordito si risvegli e avverta i propri compagni via radio, mandando l’intera base in allerta alla ricerca del colpevole – oppure no, perché in precedenza è stato sabotato il sistema di telecomunicazioni.

Un’altra situazione intrigante si verifica nel momento in cui un nemico, preso in ostaggio, e rivela il numero e la posizione dei suoi commilitoni, con conseguente capacità del videogiocatore di dominare gli spazi grazie alla conoscenza.

A differenza dei migliori Immersive Sim, però, manca la possibilità di manipolare profondamente il level design. Nonostante gli edifici presentino diversi ingressi, va rilevato che non ci sono strumenti o oggetti, manipolabili attraverso il motore fisico, in grado di aprire vie nuove, uniche e originali. Tuttavia, l’ambiente può essere comunque modificato dal giocatore in qualche misura. Le armi fisse sono adatte a essere divelte o trasportate, e i veicoli dei nemici rubati; in questo modo, in caso di allerta, non potranno essere utilizzati per inseguire il videogiocatore in fuga. Ancora, spegnere dei generatori di corrente lascia le basi al buio, e partiranno le conseguenti investigazioni. Per ultimo, è consentito finanche usare il sistema Fulton per creare nuovi punti di estrazione o giocare un po’ con la fisica.

(A sinistra) La stessa recinzione in Deus Ex sarebbe scavalcabile costruendo una scala con delle scatole o magari usando il super salto, al contrario di ciò che accade in The Phantom Pain. – La pistola a tranquillanti rischia di risultare talmente efficace da sovrastare tutte le altre opzioni, in opposizione al bilanciamento curatissimo degli Immersive Sim (a destra).

(In alto) La stessa recinzione in Deus Ex sarebbe scavalcabile costruendo una scala con delle scatole o magari usando il super salto, al contrario di ciò che accade in The Phantom Pain. – La pistola a tranquillanti rischia di risultare talmente efficace da sovrastare tutte le altre opzioni, in opposizione al bilanciamento curatissimo degli Immersive Sim (in  basso).

In base allo stile di gioco, i nemici adotteranno equipaggiamenti diversi. Questa varietà genera situazioni in cui, a titolo esemplificativo, headshottare non sarà possibile per via di guardie con l’elmetto oppure con visori notturni e più telecamere nel caso in cui il fruitore fosse solito infiltrarsi di notte e stealth. Al contrario, utilizzare un approccio diretto porterà i soldati avversari a dotarsi di armi più potenti, giubbotti pesanti e scudi.

In quasi tutte le missioni il gioco rimane coerente: le summenzionate meccaniche funzionano sempre allo stesso modo, purché ci siano le condizioni fisiche per attuarle. In The Phantom Pain tutti gli strumenti sono utilizzabili in qualsiasi situazione.
Ma la coerenza non è solo questo. Infatti, come abbiamo detto poco sopra, la coerenza (o consistenza, che dir si voglia) è uno degli elementi più difficili da integrare nei videogiochi e praticamente solo gli Immersive Sim riescono a farlo con un certo grado di profondità.

In ogni caso, la coerenza è comunque ben coordinata con la reattività e le conseguenze. Per esempio, se veniamo scoperti non c’è il Game Over, ma si attivano una serie di sistemi che complicano il gioco. Proprio in questo eccelle The Phantom Pain: una forte reattività del gameplay.5

Insomma, il gioco è molto reattivo e tende a stimolare il suo utente a trovare nuove soluzioni: questa struttura ha il nome di “Revenge System”.6

Il cut content come arma di distrazione di massa

Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è passato alla storia come un titolo estremamente criticato per via di uno sviluppo travagliatissimo, persino con missioni ripetute in cui cambiano solo alcune condizioni di gameplay, senza che avanzi la trama. Addirittura, manca un pezzo importante che avrebbe portato su un’isola e, in generale, presenta dei momenti in cui si percepisce la mancanza di qualcosa (quella passeggiata in auto con Skull Face è molto strana).

Probabilmente perché la questione Kojima-Konami è diventata presto assorbente rispetto al resto, non si è data la giusta rilevanza a un fatto storico: una software house giapponese ha abbracciato il design Immersive Sim.
Sebbene The Phantom Pain non ne rispetti appieno il canone, ha anticipato quello che sarebbe avvenuto due anni più tardi con Breath of the Wild: la creazione di un gioco giapponese, con struttura open world, capace di spingere ancora di più sulla filosofia Immersive Sim rendendola, forse per la prima volta, veramente mainstream. Va specificato, però, come nemmeno Breath of the Wild rispetti in pieno i cinque canoni qui descritti, ma certamente possiede una manipolazione del level design più evidente, poi migliorata e approfondita dal successivo The Legend of Zelda: Tears of The Kingdom (Nintendo, 2023).

A parere di chi scrive, gli Immersive Sim sono considerabili la massima espressione del medium a livello tecnologico, ancora di più della grafica, della trama e dei giochi giganteschi strapieni di attività; per questo motivo, e non solo, sviluppare Immersive Sim è più meritevole di elogio da parte della critica, con quest’ultima che ha il dovere di riconoscere, e saper spiegare, questo tipo di design. D’altronde, si tratta di una filosofia che permette di creare dei giochi che rendono il fruitore un partecipante attivo dello sviluppo delle dinamiche di gameplay, trattandolo come una persona in grado di pensare, di scegliere e di interpretare quello che è su schermo.

Questo sforzo richiesto al giocatore non è però fine a sé stesso. Anzi, permette la trasmissione di messaggi e sensazioni attraverso esperienze più complesse e sfaccettate. rispetto ai giochi in cui è prevista una certa passività.7

In questo senso, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain merita di essere ricordato anche per la filosofia scelta dagli sviluppatori, legata a doppio filo con le tematiche e la narrativa: ecco che il “Now do you remember? Who you are? What you were meant to do?” di Big Boss a Venom Snake assume un significato diverso.

Hideo Kojima ha ripoposto anche in Death Stranding (Kojima Production, 2019) diversi elementi riconducibili a questa filosofia di sviluppo. La speranza è che la critica specializzata ne prenda atto e che sia in grado di educare i videogiocatori a vivere questo medium anche in modo più attivo e complesso.

VC


NOTE:

1 Ad esempio, Snake non può scalare tutte le pareti e non può manipolare ogni oggetto fisico presente su schermo per modificare il level design.

2 Come visto in maniera ancora più complessa in The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

3 Una sorta di paracadute al contrario che lancia i malcapitati in cielo, dove poi saranno recuperati da un velivolo.

4 Ecco, questo genere di gameplay si ritrova solo in giochi con meccaniche sistemiche.

5 La reattività è assente a livello narrativo, a esclusione un singolo personaggio che può essere eliminato o risparmiato, generando delle notevoli conseguenze di trama)

6 Qui se ne possono esplorare tutte le combinazioni.

7 Come non citare Prey e il suo discorso sulla memoria?


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