Outer Wilds e la conoscenza come progressione
[DISCLAIMER: Siamo consapevoli del fatto che Outer Wilds sia un titolo poco conosciuto, pertanto riteniamo necessario spendere qualche riga per presentarlo. Chi lo avesse già giocato o chi conoscesse il titolo può direttamente saltare al secondo paragrafo.]
Categorizzare un gioco come Outer Wilds è difficile. Partendo dalla banale definizione di wikipedia si potrebbe ritenere un Action-adventure open world; all’atto pratico, però, è molto più vicino ad puzzle game esplorativo.
Il gioco ci chiederà di esplorare diversi pianeti, studiare la loro conformazioni e le antiche rovine presenti per risolvere un grande mistero. Come in No Man’s Sky i viaggi spaziali sono importanti ma il fulcro dell’esperienza è da ricercare nell’esplorazione dei diversi mondi e nella risoluzione di un oscuro mistero che coinvolge la fine dell’universo stesso.
L’esplorazione dello spazio è molto più contenuta rispetto a No Man’s Sky. Impareremo a conoscere il nostro sistema solare dopo poche ore di esplorazione.
Chi siamo, da dove veniamo e…
Il giocatore è chiamato ad interpretare un alieno che abita un piccolo pianeta insieme alla sua specie. Questa particolare razza denominata “Hearthiani” è specializzata nell’esplorazione dello spazio e degli altri pianeti, alla ricerca di antichi manufatti e monumenti Nomai, una razza di precursori tecnologicamente molto avanzata, ormai estinta.
Non appena avviato il titolo ci ritroveremo sdraiati accanto ad un fuoco, il nostro compagno di campeggio ci dirà che il grande giorno è giunto: siamo pronti per il primo decollo verso lo spazio, dobbiamo solo recuperare i codici di lancio. Nessun dialogo è obbligatorio al di fuori di quello iniziale, l’universo è nelle nostre mani fin da subito. Recuperati i codici non dobbiamo far altro che salire sulla nostra navicella ed esplorare.
Il nostro pianeta Natale ci fa da tutorial, ma niente ci vieta di salire subito a bordo della navicella e partire.
…dove siamo diretti
Come abbiamo spiegato poco sopra, il giocatore interpreta un astronauta alla ricerca di vecchi manufatti e monumenti. La nostra missione, detta cosi, potrebbe sembrare alquanto tranquilla e lineare, magari anche poco avvincente. Ma dopo pochissimo tempo ci renderemo conto che la nostra direzione non è cosi scontata come sembra. Una volta fuori dal nostro pianeta natale scopriremo un sistema solare instabile, vicino al collasso. I diversi pianeti che orbitano intorno al sole sono, chi più chi meno, tempestate da catastrofi naturali e non; il nostro compito sarà scoprire cosa sta succedendo al nostro sistema solare e cercare un modo per impedire la distruzione dell’universo.
Inevitabilmente moriremo molte volte, ma la morte non è solo che l’inizio di questa meravigliosa e a tratti terrificante avventura.
Alcuni esseri sono bellissimi da vedere grazie anche alle loro movenze.
Ricomincio da capo, il game over non esiste.
Ogniqualvolta un asteroide ci colpirà, un vulcano ci scioglierà completamente o il nostro ossigeno finirà, moriremo. Ma con la morte non ci sarà una schermata di game over ad accoglierci, bensì un nuovo risveglio affianco al fuoco proprio come quello che abbiamo avuto appena avviato il titolo la prima volta. Siamo in un loop, immortali ma intrappolati nello stesso identico giorno. Ogni volta ci risveglieremo sotto le stelle e ricominceremo la nostra esplorazione dello spazio come se fosse la prima volta, proprio con Bill Murray in Ricomincio da capo (Groundhog Day del 1993).
Il loop è parte centrale del mistero dell’universo, dell’antica razza Nomai e delle catastrofi che affliggono i pianeti, ma non solo. Questa anomalia temporale è anche la principale colonna che regge il magnifico game design messo in piedi da Mobius Digital.
Dopo ogni morte, anche la più terribile, ritorneremo al falò iniziale. In compagnia del nostro amico Slate.
Il loop presente in Outer Wilds è particolarmente interessante per via della completa mancanza di accumulo che ha il titolo: niente punti esperienza, monete di gioco, armi o strumenti da cercare e collezionare. Non c’è nulla di tutto ciò. Il giocatore viene munito di pochi strumenti subito, e quegli strumenti resteranno con noi per tutto il tempo senza subire upgrade e senza aggiungerne altri. Ogni volta che moriremo ritorneremo esattamente all’inizio del gioco, e tutto quello che avremo fatto o raccolto tornerà al suo posto: reset completo.
Questa particolare scelta di game design ci permette di svincolarci dalla ricerca di loot o upgrade di sorta e ci spinge verso l’esplorazione più pura: pochi strumenti e tanta ricerca.
Dall’inizio alla fine avremo sempre gli stessi strumenti, imparare ad utilizzarli è fondamentale per ottimizzare l’esplorazione.
La conoscenza è la chiave della progressione
Come avrete ben capito Outer Wilds non presenta nessuna forma di accumulo, non ci sono nemmeno abilità da sbloccare. Dall’inizio alla fine il nostro avatar avrà sempre le stesse capacità e strumentazioni. Come si progredisce nella storia allora? Beh, l’unico strumento che effettivamente ottiene una progressione è la nostra mente, ovvero la conoscenza che acquisiamo man mano che esploriamo e sperimentiamo (oltre che la nostra capacità di ottimizzare la navigazione tramite la navicella o l’utilizzo efficiente degli strumenti).
Durante i nostri viaggi potremmo incappare in delle rovine Nomai e studiandole con il nostro traduttore potremmo apprendere che quel luogo un tempo era utilizzato per tracciare una luna che di tanto in tanto scompare. Eccoci qui a smanettare con la tecnologia aliena pronti a risalire alla fonte del loop e perché no, al più grande mistero del mondo: “L’occhio dell’universo”.
Il traduttore ci permette di studiare a fondo la civiltà Nomai per scoprire i loro segreti e obiettivi.
Il gameplay di Outer Wilds è molto razionale: come sostenevamo in apertura, di fatto si tratta di un puzzle game molto complesso, pieno di variabili e di sistemi che vanno prima studiati, compresi e poi usati e manipolati.
Nelle prime fasi si potrebbe rimanere sbigottiti e spiazzati di fronte alle anomalie della fisica quantistica. Ma studiandone i comportamenti, sia in modo empirico che in modo diretto dalle rovine Nomai, inizieremo a comprenderne il funzionamento e a manipolare queste reazioni per continuare ad esplorare.
I buchi bianchi di Rovo Oscuro richiedono sperimentazione empirica per riuscire a comprendere il funzionamento.
L’universo è vivo, si muove: i pianeti compiono le loro rotazioni in modo realistico e le lune che vi orbitano attorno possono alterare i pianeti stessi (proprio come fa la nostra luna con la Terra). La gravità varia da pianeta in pianeta e con essa anche la modalità di esplorazione (un pianeta con alta gravità ci costringe a cercare percorsi di scalata anziché compiere salti molto alti per superare gli ostacoli).
C’è un pianeta ricoperto d’acqua e dilaniato dagli uragani, un altro letteralmente bombardato da mini-asteroidi provenienti dalla luna vicina, un altro ancora che viene ricoperto di sabbia col tempo… tutto è in costante mutamento. Diventa quindi fondamentale agire in modo tempestivo, è importante trovarsi in un determinato punto ad una determinata ora per poter scoprire qualche rovina, o magari un ingresso di una città fantasma sotterranea. Esiste sempre la possibilità di mancare il momento giusto e perdere l’occasione di scoprire qualche punto di interesse, o magari ci schianteremo nel tentativo di raggiungere un’antica tecnologia. In questi casi, è il loop a venire in nostro soccorso: alla prossima morte potremo riprovare e riprovare, imparando dai nostri errori, affinando le nostre abilità e ampliando le nostre conoscenze. In questo aiuta molto la dimensioni ridotta dell’intero universo, navigabile in pochi minuti, soprattutto per i piloti più esperti.
Il mistero della vita, l’orrore cosmico e la fisica quantistica
Spoilerare Outer Wilds sarebbe un delitto terribile:ci farebbe troppo male sapere di aver privato o rovinato le sensazioni che riesce a trasmettere un’intuizione giusta, un pezzo del puzzle perfettamente incastrato. Parlare dei temi che affronta è complicato, lo faremo senza scendere nel dettaglio ma piuttosto spiegandone il mood e alcune situazioni decontestualizzate.
Come abbiamo detto, l’esplorazione dell’universo può essere molto veloce, se si è esperti e informati, ma la scoperta e lo studio di esso è quanto di più vicino a 2001: Odissea nello Spazio, quanto meno nei momenti finali del film o quando entra in scena il misterioso monolite. Il gioco è ricco di momenti inquietanti di difficile comprensione, accompagnati da musiche sempre calzanti e misteriose. Il primo incontro con la roccia quantica ci riporta lo straniamento provato ammirando il monoliti di Kubrickiana memoria, la tensione è alta e la comprensione delle leggi fisiche che regolano il suo comportamento è sfuggente nelle prime battute.
Siamo sicuri che il comportamento bizzarro della roccia quantica farà uscire di testa più di qualcuno. Va studiata!
L’esplorazione dell’universo ci porterà presto a capire che c’è un piano superiore che collega ed intreccia i Nomai, il loop e la creazione dell’universo stesso. Troveremo diverse informazioni riguardo a questo “Occhio dell’universo” e studiarne le relazioni ed i legami che ha con quanto sta succedendo è affascinante quanto terrificante, ineffabili quanto gli esseri partoriti da H.P. Lovecraft.
Le frequenze e le note musicali giocano un ruolo importante, sia come guida nel vuoto dell’universo che come panacea utile a stemperare la tensione. È come se la musica fosse una costante anche attraverso i diversi piani dimensionali, giungendo fino ad un valore creazionistico così come nell’universo creato da Tolkien, ma meglio non andare oltre.
Ogni personaggio principale possiede un strumento musicale e può diventare un punto di riferimento durante l’esplorazioni, basta puntare il microfono direzionale per provare ad orientarsi.
La fisica quantistica che regola molte situazioni, oggetti, momenti e pianeti è difficile da comprendere e complessa da manipolare. Ci sono rocce che scompaiono non appena giriamo lo sguardo e interi luoghi visibili e visitabili solo e soltanto dopo aver compreso il funzionamento della materia quantica. I Nomai sono spariti dall’universo ma si sono lasciati dietro tecnologie, studi, laboratori e città che nascondono misteri pronti per essere svelati.
Io ne ho viste di cose…
Outer Wilds è un tripudio di emozioni, si passa dal sense of wonder più tipico delle space opera alla dolcezza di alcuni momenti rilassati, dallo sgomento provato la prima volta che si ammira l’esplosione di un corpo celeste al terrore cosmico provocato da luoghi impossibili e indecifrabili.
L’impatto visivo del titolo sorprende per direzione artistica più che per potenza grafica. Gli effetti particellari sono curatissimi e l’illuminazione dinamica provocata dalla rotazione dei pianeti intorno al sole può regalare dei momenti di contemplazione unici.
I pianeti sono molto variegati, letali e bellissimi da vedere.
Outer Wilds è un piccolo grande gioiello venuto dallo spazio che ci racconta l’universo con delicatezza e sostanza. Questo è un titolo che mette alla prova la mente e l’intelletto del giocatore prima ancora che le abilità e la capacità di accumulare. Il premio però non è il solito loot, il numerino che cresce o le monete in game. Giocare e completare Outer Wilds restituisce emozioni, esperienze e situazioni che in nessun altro media potremmo mai vivere.
Vivendo ed esplorando questo splendido gioco, forse potremmo sentirci più vicini al povero Roy Betty (Blade Runner, 1982) e anche noi potremmo dire:
“Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
i gemelli clessidra che danzano connessi dalla sabbia intorno al sole,
e ho visto i buchi bianchi di Rovo Oscuro, cosi piccoli eppure così immensi.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di giocare.”
Outer Wilds typical player
VC